A 250 giorni dall’insediamento di Donald Trump, l’economia statunitense mostra un quadro contrastante, come evidenzia un recente dossier dell’Economist. L’inflazione si attesta al 2,9%, la disoccupazione al 4,3%, mentre l’S&P 500 cresce del 9,8% dall’inizio del mandato. Le politiche protezioniste di Trump, con tariffe su oltre 60 paesi annunciate il 31 luglio, hanno scosso i mercati e alimentano timori di inflazione e rallentamento economico. La crescita del PIL al 3% nel secondo trimestre è sostenuta da un calo delle importazioni, ma emergono segnali di fragilità: gli indicatori da guardare sono i consumi in calo, l’edilizia ferma e il mercato del lavoro in affanno. I mercati finanziari oscillano e il dollaro si indebolisce, mentre le criptovalute brillano grazie a una riserva strategica di bitcoin. La fiducia dei consumatori vacilla, colpita dalla guerra tariffaria. Un’economia resiliente, ma sotto pressione.
Dazi e primi segnali di tensione economica
Trump, osserva il settimanale britannico, ha stravolto il commercio globale con dazi su oltre 60 paesi, rivisti il 31 luglio dopo le minacce del “Liberation Day” di aprile. Sebbene meno pesanti del previsto, queste tariffe preoccupano gli investitori, che temono un aumento dell’inflazione e un freno alla crescita. È presto per valutare l’impatto complessivo, ma il PIL del secondo trimestre, cresciuto al 3%, beneficia di un calo delle importazioni, dopo un primo trimestre penalizzato dal loro boom pre-dazi. Tuttavia, i segnali di stress sono evidenti: vendite al dettaglio in calo, avvii edilizi ai minimi dal 2020 e un’offerta di lavoro ristretta dalla stretta migratoria. Il mercato del lavoro mostra crepe: a luglio si sono registrati solo 73.000 nuovi posti, ben sotto le attese, e ad agosto erano appena 22.000 contro i 75.000 previsti. Il manifatturiero taglia l’occupazione, i dati precedenti sono rivisti al ribasso, ma la disoccupazione resta bassa al 4,3%.
Mercati finanziari: un percorso accidentato
Per l’Economist i mercati azionari Usa hanno vissuto un’altalena dall’elezione di Trump. L’entusiasmo iniziale si è spento con l’annuncio delle tariffe il 2 aprile, causando un crollo dell’S&P 500. La parziale revisione dei dazi ha favorito un recupero, portando l’indice appena sopra i livelli pre-elettorali (+9,8%). Il dollaro, invece, si è indebolito da marzo, appesantito da timori sulla crescita e dalle tariffe. L’annuncio di aprile ha accentuato la caduta, seguita da un lieve rimbalzo e una nuova discesa da metà maggio, alimentata da voci su un possibile posizione della Fed favorevole a tassi bassi e dall’aumento del debito pubblico. Intanto, l’euro guadagna terreno, sostenuto dall’impegno europeo sulla spesa per la difesa. I rendimenti dei Treasury a dieci anni oscillano: in rialzo post-elezione, in calo da gennaio per attese di politica monetaria più morbida, poi di nuovo su per i piani fiscali di Trump, con un recente lieve ritracciamento.
Criptovalute in ascesa, inflazione in agguato
Le criptovalute, ricorda la testata, erano attese come protagoniste del secondo mandato Trump, che ha promesso di rendere gli Usa la “superpotenza del bitcoin”. A marzo, la Casa Bianca ha istituito una riserva strategica di bitcoin, ma l’effetto iniziale è stato modesto, con prezzi in calo dopo le tariffe di aprile. Una tregua commerciale con la Cina il 12 maggio ha però spinto il bitcoin a un record, mantenendolo sopra i livelli d’insediamento. Sul fronte inflazione, i primi mesi hanno visto il tasso vicino al target Fed del 2%, ma i dazi, con un costo medio del 10% per le imprese, iniziano a pesare sui consumatori. Ad agosto l’inflazione è salita al 2,9% (da 2,7% a luglio), con prospettive di ulteriori rialzi.
Consumi e fiducia: il peso dei dazi
La fiducia dei consumatori è crollata all’insediamento di Trump, ricorda l’Economist, con un rimbalzo a giugno e luglio, seguito da un nuovo calo ad agosto e settembre. Gli americani avvertono l’impatto dei dazi, con prezzi in aumento e timori di licenziamenti se le imprese soffrono. Il PIL del primo trimestre (-0,5%) ha risentito di un boom di importazioni pre-dazi, che non ha compensato il calo atteso di consumi e scorte. Nel secondo trimestre, il crollo delle importazioni ha “gonfiato” la crescita al 3%, ma i problemi di misurazione suggeriscono fragilità. In sintesi, l’economia USA regge, ma il protezionismo trumpiano rischia di minarne la solidità.