Il processo iniziato ieri a Washington è già definito storico. Sul banco degli imputati è seduto Mark Zuckerberg e la sua azienda Meta. L’accusa è di aver creato un monopolio nel settore dei social media/network, comprando sia Instagram nel 2012 sia Whatsapp nel 2014, unendoli a Facebook, con l’intento di “neutralizzare” i concorrenti. Chi muove tale accusa è la Federal Trade Commission (Ftc) americana, un’agenzia governativa a tutela della concorrenza e dei consumatori.
COSA RISCHIA META, TRA FACEBOOK, INSTAGRAM E WHATSAPP
Tra le prove dell’accusa, presentate dall’avvocato della Ftc Daniel Matheson, ci sono alcune mail e note di Zuckerberg. Come riporta la Bbc, nel 2011 il miliardario in un’email diceva: “Sembra che Instagram stia crescendo rapidamente”. L’anno dopo era più allarmato, sostenendo che la propria azienda era “così indietro che non capiamo nemmeno quanto siamo indietro… Temo che ci vorrà tempo per recuperare”. E poi, in una nota del 2012 Zuckerberg discuteva dell’importanza di “neutralizzare” Instagram. “Una prova schiacciante” secondo l’avvocato Matheson per cui Zuckerberg e soci “hanno deciso che la concorrenza era troppo dura e che sarebbe stato più facile acquistare le quote dei rivali che competere con loro”.
Il processo, che dovrebbe durare un paio di mesi, è storico perché potrebbe portare Meta a vendere o Whatsapp o Instagram, o addirittura entrambe. Un colpo che sarebbe durissimo. Al momento è comunque uno scenario improbabile, considerando che nel mondo dei social ci sono altri attori rilevanti e la Ftc potrebbe faticare a dimostrare l’esistenza di un vero monopolio, dopo che al momento degli acquisti aveva dato luce verde.
LA DIFESA DI META
E infatti è proprio la base su cui si fonda la difesa di Meta. La posizione di Meta è che esistono diverse altre piattaforme che fanno concorrenza, come per esempio X (ex Twitter), TikTok e Snapchat. Per l’avvocato del gruppo di Zuckerberg, Mark Hansen, l’obiettivo delle acquisizioni di Instagram e Whatsapp era “migliorarli e farli crescere insieme a Facebook”. Tanto che il loro acquisto ha migliorato l’esperienza dei consumatori. Che non sono pochi: nel 2024 Meta ha dichiarato di avere 3,27 miliardi di utenti attivi al giorno.
ZUCKERBERG E IL RAPPORTO CON TRUMP
L’altra mossa di Zuckerberg, oltre a difendersi nella corte federale di Washington, è di cercare di far cadere o mitigare il caso. Come? Facendo pressioni su Donald Trump. Secondo il Wall Street Journal, infatti, il fondatore di Facebook e alcuni suoi consiglieri hanno incontrato il presidente Usa nelle scorse settimane per cercare un accordo. Anche perché le prime accuse rivolte contro Meta dalla Ftc sono del 2020, nell’ultima fase del primo mandato di Trump, quando le relazioni tra i due erano tese.
Oggi, invece, la situazione è diversa. Zuckerberg, da una generale convergenza con i democratici, si è riposizionato in maniera neanche troppo velata a favore di Trump. Già dai tempi della sua campagna presidenziale. Nel 2023 gli account su Facebook e Instagram del tycoon sono stati riattivati dopo il ‘ban’ del 2021. Zuckerberg ha poi lautamente finanziato il comitato elettorale trumpiano. E ha scelto alcune figure molto vicine a Trump come consiglieri di amministrazione di Meta, tipo Dina Powell McCormick e il capo dell’Ufc (Ultimate Fighting Championship) – il principale circuito di mma al mondo – Dana White. Inoltre, ha allineato i suoi social – Instagram e Facebook – con le posizioni gradite ai repubblicani americani, levando il fact checking e le politiche di moderazione dei contenuti. Apertura dopo apertura Zuckerberg si è riscoperto trumpiano, segno che a certi livelli i soldi e gli affari vincono su qualsiasi ideale.
CHI È ANDREW FERGUSON, IL TRUMPIANO ANTI BIG TECH
Zuckerberg non ha smentito l’incontro con Trump rivelato dal Wsj, preferendo sviare la domanda. La speranza del miliardario è che il presidente Usa possa alzare il telefono e sentire il direttore della Ftc, Andrew Ferguson (nella foto). D’altronde è stato Trump a mettere il 38enne Ferguson a capo dell’agenzia con responsabilità antitrust. Ma qui arriva l’elemento interessante. Ferguson può essere definito di fatto un trumpiano, ma appartenente a un’ala “populista, che alle Big Tech ha dichiarato guerra” rispetto invece alla corrente più tecnocratica legata alle piattaforme digitali rappresentata da Elon Musk, spiega Stefano Feltri nella sua newsletter Appunti. Lo scontro interno è forte, ma Trump potrebbe non intervenire. D’altronde la scelta di Ferguson rivela – sempre secondo Feltri – che “l’amministrazione Trump continuerà a usare l’antitrust come l’amministrazione Biden”, cioè contro le grandi concentrazioni di potere economico e politico.