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Pirelli

Ecco come Tronchetti Provera spalancò le porte alla Cina in Pirelli

Pirelli ha una presenza cinese maggioritaria nell'azionariato, ma il vertice è espressione del socio minoritario, Marco Tronchetti Provera. L'approfondimento di Mario Seminerio sul blog Phastidio.

Il governo italiano ha deciso di esercitare le prerogative conferite dal cosiddetto Golden Power in relazione al rinnovo dei patti tra azionisti di controllo di Pirelli. Situazione aziendale rilevante perché la società italiana ha una maggioritaria presenza cinese nell’azionariato ma il vertice aziendale è espressione del socio italiano, che fa capo a Marco Tronchetti Provera.

Andiamo con ordine. Il patto di sindacato è formato da due soci, Marco Polo International Italy, dietro cui vi sono i cinesi del colosso Sinochem, che ha il 37,01% del capitale, e Camfin, col 14,1%. Camfin è controllata col 55,37% dei diritti di voto dalla Marco Tronchetti Provera Spa (MTP), che tuttavia possiede solo il 31,79% dei diritti economici. Il primo azionista di Camfin, per diritti economici, è la società cinese Longmarch Holding Sarl (un nome che dice tutto), che tuttavia ha solo il 20,29% dei diritti di voto. Potenza dei patti parasociali.

tronchetti

Quindi, Tronchetti Provera controlla Camfin senza avere la maggioranza del capitale, neppure relativa. A sua volta, Camfin col 14,1% delle azioni, esprime la guida di Pirelli & C. Spa. Oltre a Marco Polo International srl, che ha il 37% del capitale, nell’azionariato di Pirelli ma fuori dal patto di controllo, sono presenti tra gli altri i cinesi di Silk Road Fund col 9,02% e gli italiani di Brembo col 6%.

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I PATTI DI SINDACATO

Il vecchio patto di sindacato prevedeva un consiglio di amministrazione formato da 15 membri:

(i) 9 amministratori designati da China National Tire & Rubber Corporaton Ltd. (controllata da Sinochem e azionista di Marco Polo International), ivi incluso il Presidente di Pirelli;
(ii) 3 amministratori designati da Marco Tronchetti Provera & C. S.p.A., ivi incluso il Vice Presidente e Amministratore Delegato, dott. Marco Tronchetti Provera;
(iii) 3 amministratori designati dagli azionisti di minoranza.

A fine 2022 tale pattuizione è scaduta ed è stata rinnovata per tre anni, prevedendo un cda fino a 15 membri, 8 dei quali indipendenti. Attraverso il voto di lista, il cda deve avere 12 membri della lista di maggioranza (di cui 5 indipendenti) e tre scelti tra quelle di minoranza. La lista di scontata maggioranza (Marco Polo e Camfin), deve includere:

  • il dott. Marco Tronchetti Provera, 1 candidato non indipendente e 1 candidato indipendente designati da MTP;
  • 9 candidati incluso il Presidente di Pirelli ed il dott. Giorgio Bruno per ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato di Pirelli, designati da CNRC;
  • ulteriori 3 candidati indipendenti alle posizioni 13, 14 e 15 della lista, designati da CNRC.

Per farvela breve, Tronchetti Provera si assicura l’a.d. di Pirelli per un altro triennio. Dopo il quale? Si vedrà. Almeno, questa pareva essere l’idea dei cinesi. Del resto, quando si ha la maggioranza delle azioni di un’azienda, si tende ad avere l’ambizione di governarla da posizioni non di seconda fila. Al netto dei vari accrocchi tipo azioni a voto plurimo e altre pattuizioni secondo le quali i voti si pesano e non si contano.

LE RICHIESTE DI PECHINO SU PIRELLI

Ma, ad un certo momento, Tronchetti si è innervosito e preoccupato. I cinesi di Sinochem, che hanno acquisito ChemChina che era l’entità di cui Tronchetti aveva favorito l’ingresso nel 2015, pare siano sempre più assertivi e obbedienti alla dottrina di Xi Jinping. Secondo il Financial Times, che avrebbe visionato documenti, Tronchetti avrebbe detto in audizione parlamentare che Sinochem lo scorso anno ha chiesto ai dirigenti Pirelli che Pechino sia informata in anticipo di ogni meeting con governi stranieri e figure diplomatiche, incluse quelle in pensione e persino se italiane. Inoltre, che ogni evento aziendale che implichi presenza di funzionari pubblici stranieri o italiani sia organizzato direttamente da Pechino.

In un altro documento dello scorso novembre, i rappresentanti del Partito comunista cinese presenti in Sinochem avrebbero chiesto a tutte le società del gruppo Pirelli, incluse le filiali cinesi, di attenersi alle linee guida del “piano di azione triennale” di Xi Jinping per accelerare il moderno sistema di business cinese entro tutte le aziende controllate da Sinochem. In particolare, “la leadership di partito deve essere esercitata in ogni aspetto della governance aziendale, e le principali questioni gestionali, come decise dal consiglio di amministrazione, devono essere esaminate e discusse” dalla commissione interna di partito

In precedenza, nel 2020, il Pentagono ha designato ChemChina come azienda del complesso militare-industriale cinese, aprendo la strada a sanzioni e limitazioni di accesso al mercato statunitense. Ce n’era abbastanza per far scattare l’allarme. E così, dopo la notifica di rinnovo del patto di controllo di Pirelli, il governo Meloni ha iniziato a pensare ad una operazione molto difficile. Come proteggere una importante azienda italiana senza sfregiare la credibilità del paese sui mercati finanziari globali e senza suscitare la collera e le conseguenti reazioni di Pechino, soprattutto in vista della delicata fuoriuscita italiana dal memorandum della Via della Seta, firmato dallo sciagurato governo Conte 1?

LA RISPOSTA DEL GOLDEN POWER

La soluzione, per ora, è stata trovata con questo esercizio del Golden Power. La motivazione è la protezione della tecnologia di sensori Pirelli che, inseriti nei pneumatici, trasmettono

[…] dati del veicolo riguardanti, tra l’altro, gli assetti viari, la geolocalizzazione e lo stato delle infrastrutture. Le informazioni così raccolte possono essere trasmesse a sistemi di elaborazione cloud e super calcolatori per la creazione, tramite intelligenza artificiale, di complessi modelli digitali utilizzabili in sistemi all’avanguardia come Smart city e digital twin.
La rilevanza di questa tecnologia CYBER è individuabile in una pluralità di settori: automazione industriale, machine to machine communication, machine learning, manifattura avanzata, intelligenza artificiale, tecnologie critiche per la sensoristica e attuatori, Big Data e Analytics.

Quindi, per il governo italiano, la tecnologia dietro questi sensori è strategica, oltre che un rischio di sicurezza nazionale. In realtà, molti osservatori esterni, tra cui lo stesso Financial Times, non credono alla tesi della criticità estrema di una tecnologia da Internet of Things. Ma qualcosa bisognava fare, per ora.

Ma il governo Meloni ha prescritto anche altro, oltre alla protezione delle informazioni strategicamente rilevanti e che come tali non devono arrivare a Pechino. Secondo la ricostruzione di Repubblica, che avrebbe messo gli occhi sulla bozza del Dpcm, sostanzialmente confermata dal comunicato stampa di Pirelli, emesso nel tardo pomeriggio di domenica 18 giugno,

La prescrizione più significativa è quella che prevede che “l’amministratore delegato di Pirelli tratto dalla lista di maggioranza sia indicato dal socio Camfin“, cioè la società italiana guidata da Marco Tronchetti Provera che controlla il 14% del capitale. In pratica questa prescrizione modifica il patto di sindacato firmato nel maggio 2022 tra Sinochem e Camfin e che prevedeva che, a partire dal 2026, l’indicazione dell’ad di Pirelli non spettasse più al socio italiano. Nella sostanza, invece, su dodici amministratori tratti dalla lista di maggioranza, quattro dovranno essere indicati da Camfin, lasciandone dunque solo otto ai cinesi (e non nove come previsto dal patto).

Inoltre, deve essere reintrodotta la figura del direttore generale, responsabile dell’implementazione di business plan, budget e gestione ordinaria di Pirelli. Sempre secondo Repubblica,

Tutte le figure con deleghe dell’azienda dovranno inoltre essere scelte tra gli amministratori di emanazione Camfin e tutti i direttori e vicedirettori dell’azienda dovranno essere scelti o dal vicepresidente esecutivo (oggi è Tronchetti) o dall’ad (che nel prossimo triennio dovrebbe essere Giorgio Bruno, indicato da Tronchetti).

Inoltre, il governo ha stabilito che per alcune decisioni strategiche del cda si preveda un voto di almeno i 4/5 del consiglio di amministrazione. Cioè 12 consiglieri su 15. Il che significa che i cinesi non possono fare nulla senza l’assenso dell’amministratore delegato e di almeno tre altri consiglieri Camfin o espressi da altre liste, tra cui quella di Assogestioni.

IL TRONCHETTI DELL’INFELICITÀ CINESE

Per farla breve, le misure legano le mani ai cinesi sulla governance aziendale e potenziano ulteriormente la compagine italiana (anzi, in sostanza le assegnano pieni poteri), che pure ha solo il 14% delle azioni. Difficile pensare che questa soluzione resterà stabile. Lo stesso Tronchetti, secondo il Financial Times, si sarebbe recato a Hong Kong per convincere i boss di Sinochem a scendere dal 37% al 10%, ricevendone un rifiuto.

Ma come siamo arrivati ad avere i cinesi in Pirelli? È una storia lunga e complessa che ruota attorno a Camfin a e un sistema di scatole cinesi (perdonate l’ironia, del tutto volontaria), a cui per un anno hanno partecipato anche i russi di Rosneft, poi accomodati all’uscita per le criticità legate alla prima invasione dell’Ucraina, nel 2014. Corsi e ricorsi storici. E poi arrivò ChemChina. Tutto sempre con accordi che avevano al centro “la continuità e autonomia dell’attuale struttura manageriale del gruppo Pirelli”, cioè di Tronchetti. Formula che ha sfidato il tempo, sin quando non è apparsa all’orizzonte la “dottrina di Xi Jinping”.

Come finirà? Noi, che siamo dei patetici liberali mercatisti, avremmo piacere di vedere il controllo societario nelle mani di chi ha la maggioranza delle azioni, come principio generale. E tuttavia, la storia del capitalismo (senza capitali) italiano ci ha insegnato altrimenti. Ma ora, con la situazione internazionale che ci ritroviamo, col ruolo crescente dei governi ma anche con l’ascesa delle azioni a voto plurimo, qualcuno potrebbe essere tentato di dire che noi italiani alla fine siamo dei veri precursori ed innovatori. Dei trend setter, che non sono cani alla moda.

Resta un problema di fondo: per fare impresa servono capitali. Quelli propri e quelli dei finanziatori, in armonica composizione. Certamente è una plastica ironia il fatto che i cinesi (quelli veri) stiano cercando di far valere il peso delle azioni, lentamente ma inesorabilmente, spazzando via la logica delle scatole cinesi che è alla base del nostro capitalismo con pochi capitali. E ora, speriamo che Pechino non si incazzi troppo con l’Italia.

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