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Soleimani

Total, Siemens, Deutsche Telekom. Ecco le aziende più colpite dalle sanzioni Usa contro l’Iran

L'analisi di Giovanni Castellaneta, ambasciatore, già presidente di Sace, sulle prospettive economiche dell'Iran

Le relazioni tra Stati Uniti e Iran rimangono tese e potrebbero peggiorare ulteriormente negli ultimi mesi quando dal 5 novembre diventerà operativa l’ultima tranche di sanzioni economiche volte a colpire le esportazioni di petrolio dalla Repubblica islamica. La strategia del presidente Donald Trump sembra simile a quella adottata nei confronti della Corea del Nord: alzare la tensione e cercare di mettere il Paese all’angolo della comunità internazionale per provocare, almeno nelle intenzioni, un regime change che favorisca un assetto politico più favorevole a Washington.

LE SANZIONI USA E IL RUOLO DELL’IRAN

Teheran però non è Pyongyang: oltre le dimensioni, con una superficie cinque volte quella dell’Italia e una popolazione di oltre 80 milioni di persone in larghissima parte giovani e istruiti, la situazione interna al Paese è molto più complessa, così come lo sono le relazioni esterne grazie ai rapporti economici importanti con Cina, India e Turchia oltre che con diverse potenze occidentali. Tra di esse, l’Italia gioca un ruolo fondamentale: siamo infatti il primo partner commerciale dell’Iran a livello di Paesi Ue, con 2,5 miliardi di euro di interscambio nei primi sette mesi di quest’anno.

L’IMPATTO SULL’INTERSCAMBIO

Il riacutizzarsi dell’incertezza e delle tensioni diplomatiche hanno tuttavia portato a un calo dell’interscambio complessivo in ambito europeo dell’8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Si tratta di un campanello d’allarme significativo e che dovrebbe spingere il nostro governo, così come quelli dei nostri principali partner europei, ad agire affinché l’Ue elabori una posizione omogenea volta a trovare una mediazione tra gli Usa e l’Iran.

ECCO LE AZIENDE CHE SARANNO PIU’ COLPITE

È infatti chiaro che le sanzioni economiche imposte da Washington a Teheran, a causa del principio di extraterritorialità delle leggi americane, danneggiano indirettamente le aziende di altri Stati che fanno (o facevano) affari in Iran: Total , Siemens , Deutsche Telecom, British Ariways sono solo alcune delle grandi aziende europee che hanno deciso di ridurre o eliminare del tutto i propri investimenti nel Paese.

COSA FA SACE

La nostra Sace che negli scorsi anni era pronta a garantire una copertura assicurativa per progetti fino a 5 miliardi di euro e Invitalia che aveva elaborato un progetto simile alternativo pur se di ridotte dimensioni sono ora ferme. Le imprese italiane hanno adottato per il momento un atteggiamento più attendista, con Eni che potrebbe decidere di non investire più in Iran dopo essere stata una protagonista nel settore estrattivo per decenni sin dai tempi di Enrico Mattei. L’effetto delle sanzioni sull’esportazione di idrocarburi provocherà infatti una serie di conseguenze a catena estremamente negative.

GLI EFFETTI SUL PETROLIO

Il prezzo del greggio aumenterà (con beneficio degli altri produttori, dalla Russia all’Arabia Saudita), ma nel contempo, a causa del divieto di effettuare transazioni in dollari statunitensi e la chiusura delle banche straniere in Iran, si bloccheranno i flussi di investimenti da destinare a infrastrutture e quindi alla crescita dell’economia locale penalizzando ancora di più le classi meno abbienti del Paese.

LO SCENARIO ORIENTALE

Un aiuto consistente potrebbe giungere dai Paesi dell’area orientale, che sono diventati negli ultimi anni tra i principali acquirenti di greggio iraniano. Pechino potrebbe aggirare abbastanza facilmente le sanzioni operando transazioni in yuan, favorendo allo stesso tempo l’utilizzazione della sua valuta per gli scambi internazionali in concorrenza con il dollaro americano.

LE PROSPETTIVE

Come poi succede in questi casi, una volta conquistate fette del mercato, di solito quelle presidiate dalle nostre Pmi, diventa difficile riprendere i vecchi clienti. Ne consegue che l’Italia, pur restando un partner fondamentale per Teheran, rimane un attore troppo piccolo per poter giocare un ruolo decisivo in questa partita. Per tutelare in maniera efficace i nostri legittimi interessi economici, il nostro governo dovrebbe fare fronte comune con Francia, Germania e magari Regno Unito (lo storico amico/nemico dell’Iran), per favorire una mediazione tra Usa e Iran. L’imminente apertura della nuova sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si svolgerà tra due settimane a New York, potrebbe fornire a questo scopo un terreno diplomatico ideale.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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