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Trump

The Wall Street Journal: caro Trump, sei sicuro che la guerra dei dazi contro la Cina non sia anche un boomerang per gli Usa

Trump sta punendo la Cina ma sta anche mettendo in pericolo la crescita degli Stati Uniti. A volte le guerre commerciali finiscono male per tutti. L'editorial board del Wall Street Journal

Il presidente Trump sostiene che le guerre commerciali sono facili da vincere, ma questa previsione sembra quanto mai pessima, vedendo la carneficina finanziaria provocata della sua ultima minaccia di nuovi dazi sulle merci cinesi. La sua guerra commerciale è ormai diventata una guerra valutaria, il che innalza il potenziale danno economico a un livello superiore.

La carneficina di lunedì 5 è seguita alla decisione della Cina di fissare il cambio yuan-dollaro al di sotto di 7 a 1, il livello più basso dal 2008. Trump ha twittato che si tratta di «manipolazione della valuta», ma che cosa si aspettava? Questa non è tanto una ritorsione quanto il riconoscimento da parte di Pechino e dei mercati valutari che la diminuzione dei flussi commerciali con gli Stati Uniti e l’indebolimento dell’economia cinese creano minore domanda globale per lo yuan. Trump con i suoi dazi è l’architetto dello yuan più debole che sostiene di non volere. Nella serata di lunedì 5 il Tesoro americano ha intensificato lo scontro, definendo ufficialmente la Cina un manipolatore di valuta, il che potrebbe far scattare altri dazi. Ma Pechino ha un motivo per impedire qualsiasi ulteriore svalutazione per impedire la fuga di capitali. La fuga del 2015-16 ha visto Pechino spendere circa 1000 miliardi di dollari dei suoi 4.000 miliardi di riserve valutarie, per difendere lo yuan. Un deprezzamento troppo profondo potrebbe anche innescare una crisi del debito, dato che i cinesi farebbero più fatica a rimborsare i loro debiti in valuta estera con uno yuan svalutato.

Anche altre economie asiatiche stanno affrontando le conseguenze della guerra di cambio. Una delle vittime di lunedì 5 è stata la Corea del Sud, che fa parte di un emergente Blocco yuan, fatto di paesi che commerciano con la Cina. Ma la Corea fa anche parte del blocco del dollaro, con debiti non finanziari e societari per circa 255 miliardi di dollari, pari al 16% del pil e all’86% di tutto il debito societario denominato all’estero. Le società finanziarie coreane devono 305 miliardi di debiti in dollari, pari al 19% del pil. Le oscillazioni dei tassi di cambio potrebbero stressare i debitori, e anche Seul deve affrontare i timori di fuga di capitali.

Il Giappone ha un problema opposto, ma ugualmente serio. Il declino dello yuan di lunedì 5 ha portato a un apprezzamento dello yen, perché gli investitori sono fuggiti verso asset più sicuri. Ma il Giappone è il più grande creditore del mondo, vantando ai dati dello scorso anno un patrimonio netto all’estero di 3200 miliardi di dollari. I risparmiatori giapponesi hanno parcheggiato all’estero i loro soldi in attività denominate in dollari, in cerca di rendimenti più elevati. Uno yen più forte riduce i rendimenti denominati in yen di questi investimenti, ammaccando gli utili delle imprese e delle famiglie con effetti negativi per l’economia giapponese.

Dove finisce questa convulsione valutaria non lo sa nessuno. Uno degli assunti commerciali di Trump è che egli può manipolare i mercati a piacimento, modificando i dazi in su o giù. Ma i mercati valutari hanno la tendenza ad amplificarne gli effetti, creando perdite inaspettate. I mercati non sanno quanta pressione finanziaria può sopportare un’azienda di Shenzhen prima di diventare inadempiente sulle sue obbligazioni in dollari, e nemmeno Trump lo sa. Per Trump, tutto questo fa parte del suo grande showdown commerciale con il presidente cinese Xi Jinping. Era furioso la scorsa settimana quando i suoi negoziatori sono tornati dalla Cina senza progressi significativi. Così ha tirato due ceffoni con i nuovi dazi, che secondo lui imporranno più dolore alla Cina che agli Stati Uniti. Ma se il presidente ritiene che gli Stati Uniti siano immuni da tutto ciò, i mercati dicono il contrario. L’indice Dow Jones Industrial Average è ora inferiore al suo livello del gennaio 2018, quando è cominciato questo gioco dei dazi, nonostante due anni di forti profitti delle aziende americane. L’incertezza sui dazi ha ridotto la crescita del Pil degli Stati Uniti al 2% dal 3%. Gli investimenti delle imprese sono in calo e la produzione globale è quasi in recessione.

Trump sta punendo la Cina. Sta anche mettendo in pericolo la crescita degli Stati Uniti, liberando un vaso di Pandora di rischi commerciali e valutari che minano i benefici della sua riforma fiscale e della deregolamentazione. A volte le guerre commerciali finiscono male per tutti.

 

Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza

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