La risposta di Roberto Gualtieri, alle critiche nei confronti della sua gestione come Ministro dell’economia, non si è fatta attendere. In una lunga intervista a Repubblica ha cercato di buttare acqua sul fuoco: “il superbonus – questo il titolo – doveva finire nel 2021. Prima delle proroghe ha evitato il collasso”. Quindi spiega: “Se il Superbonus si fosse chiuso al 31 dicembre 2021, come avevamo previsto nella norma originaria del governo Conte II, non ci sarebbe stato alcuno sforamento rispetto alle previsioni: anzi saremmo stati anche sotto lo stanziamento. E le proroghe le hanno volute tutti, anche chi è oggi al governo”.
Insomma: di notte tutti i gatti sono bigi. Quindi inutile cercare capri espiatori. Lo aveva detto anche Giuseppe Conte con una seppur piccola differenza. In questo secondo caso l’invocazione era a non picconare oltre misura un istituto che, nell’immaginario dei 5 stelle, resta un piccolo capolavoro. Per il Sindaco di Roma, più semplicemente, è una dichiarazione di correità, rivolta a tutte le forze politiche italiane. Ovviamente senza distinzione di rito, ma soprattutto di ruoli. Come se fosse compito dell’opposizione e non di Via XX settembre difendere la trincea più che del rigore, in questo caso della semplice decenza, finanziaria.
PERCHÉ IL RAGIONAMENTO DI GUALTIERI NON CONVINCE
Seguiamo allora il ragionamento del Ministro ed il suo riferimento al testo del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020. Il cosiddetto decreto “Rilancio”. Un piccolo mostro di 266 articoli, più 7 allegati e 2 tabelle. Il cui titolo era “misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Ancora viva nella memoria la conferenza stampa di Giuseppe Conte. In poco più di un’ora il Presidente del consiglio aveva spiegato che il decreto recava in grembo risorse pari a 55 miliardi di euro, pari “a due finanziarie”. Sarebbero state usate per rispondere al “vostro grido di allarme”, cari telespettatori, che “non c’è mai sfuggito”.
Questo quindi il contesto. Del bonus si parla all’articolo 119, in cui si stabiliscono le agevolazioni ed i limiti di spesa per oggetto: 60 mila euro per l’isolamento termico, 30 mila per l’impianto di climatizzazione, 48 mila per il fotovoltaico. In caso di en plein (non a caso parola derivata dal gioco della roulette) la cifra, tutt’altro che modica, di 138 mila euro. Niente male per i fortunati possessori del biglietto vincente. Quanto ai moltiplicatori fiscali, evocati da Gualtieri, nemmeno parlarne. Vi sarebbero stati con un incentivo più basso, che avrebbe richiesto una condivisione della spesa. Nel caso indicato dal decreto era invece semplice “helicopter money”, seppure vincolata nel fine. Quanto era rispettato, senza dar luogo a truffe clamorose.
Le spese dovevano essere sostenute nel periodo 1 luglio 2020 – 31 dicembre 2021. Termini modificati (30 giugno 2022) nel corso della discussione parlamentare. Quel periodo inizialmente previsto era troppo stretto per consentire il completamento di un iter amministrativo che si presentava complesso e travagliato. Sarà stato forse per questo che, nella sua intervista, il Sindaco, come già ricordato, confessa candidamente: “anzi” se si fosse rispettata quella scadenza “saremmo stati anche sotto lo stanziamento”. Che, allora, era previsto in poco più di 14 miliardi da scalettare in ben 13 anni: dal 2020 al 2032. Avrebbe fatto la fortuna di poco più di 100mila proprietari edili. (14 miliardi diviso 138 mila euro a testa). Non proprio una grande idea ai fini del rilancio complessivo di un’economia vessata dal Covid.
LE RAGIONI DI GUALTIERI
Ha invece ragione quando ricorda, prendendone seppur tardivamente le distanze, che “il superbonus era una misura fortemente richiesta dal partito di maggioranza relativa, i 5stelle”. Peccato solo che la sua analisi si interrompa qui. Quello, come altri successivi, fu un passo importante per gettare le basi di una futura alleanza – quella del “campo largo” – di cui ancora oggi si celebrano o le “magnifiche sorti e progressive”. Dalle cui spira Gualtieri ebbe, per la verità, la forza di sottrarsi con la sua presa di posizione sul “termovalorizzatore” di Roma. A dimostrazione di quanto, oggi, sia difficile convivere nel partito di Elly Schlein.
Per quanto riguarda l’andamento del debito pubblico una precisazione va, tuttavia, fatta. Gualtieri cita le previsioni, noi stiamo ai fatti. “L’ultima Nadef – afferma – firmata da me a fine 2020 prevedeva un debito al 151,1 del Pil. Oggi siamo al 142,1. Sono quasi dieci punti in meno”. Secondo i dati di Bankitalia nel dicembre 2018 (il Conte II nacque agli inizi di gennaio 2019) il debito era stato pari al 134,4 per cento del Pil, per poi salire alla fine del 2020 (il Conte II cessò di esistere nel gennaio 2021) al 154,9 per cento del Pil. La discesa si realizzò nei due anni successivi, raggiungendo a fine 2022, il 144,4 per cento del Pil. Indubbiamente più di 10 punti in meno. Ma rispetto alla gestione stellare della premiata ditta Conte-Gualtieri.