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Superbonus, ecco cosa possono fare governo e banche

Superbonus. "Il governo metta mano al portafoglio e consenta almeno alle banche di compensare le somme che i clienti verseranno a partire dal prossimo 16 marzo. Anche solo per 20 miliardi su 120, il giorno dopo le banche torneranno a comprare crediti dalle imprese ed avremo posto finalmente termine a questo poco edificante balletto". L'analisi di Giuseppe Liturri

 

A proposito di Superbonus ed altre agevolazioni per l’edilizia, le dichiarazioni rilasciate ieri, dopo il primo giro di tavolo tra le parti coinvolte, sono tutte nella direzione di un’apertura da parte del governo a favore della soluzione che abbiamo ipotizzato proprio nell’articolo di sabato.

La proposta Abi-Ance che prevede la possibilità per le banche, che ricevono i pagamenti dei contribuenti a mezzo F24, di compensare con i crediti di imposta in portafoglio quanto debbono poi riversare allo Stato.

In questo modo, i crediti in carico alle banche diminuirebbero e queste ultime avrebbero spazio per ulteriori acquisti dalle imprese edili gonfie di crediti di imposta per sconti in fattura concessi a chi ha realizzato le opere, ma che non trovano compratori.

Si parla di circa 19 miliardi di crediti che le banche in questo modo potrebbero acquistare e, ipotizzandoli esigibili in quattro rate annuali, l’impatto sulle casse statali sul 2023 dovrebbe essere di circa 4/5 miliardi.

Ma la strada per giungere a questo obiettivo appare ancora lastricata di ostacoli. Infatti non vi è coincidenza di posizioni tra il ministro Giancarlo Giorgetti e l’associazione che riunisce le banche attive in Italia (Abi). Quest’ultima – anche ascoltando quanto dichiarato dal direttore generale Giovanni Sabatini in audizione parlamentare solo il 14 febbraio scorso – non dispone di ulteriore capacità di debiti fiscali da compensare ed ha bloccato gli acquisti. E sostiene di poter tornare ad acquistare nuovamente solo attraverso le modalità appena illustrate. Giorgetti invece ritiene che le banche abbiano ancora capacità autonoma di acquisto di crediti da poter compensare, senza dover fare ricorso alla compensazione delle somme che incassano dai rispettivi clienti.

Alla luce di tali ultimi eventi, ribadiamo ed integriamo l’analisi già fatta negli ultimi giorni.

Può essere una posizione politicamente legittima quella del governo che pone fine al regime di cessione dei crediti da bonus edilizi per il futuro, pur con la necessità di prevedere misure ad hoc per i crateri sismici e gli incapienti e la necessità di un periodo transitorio più comodo per proteggere il legittimo affidamento di coloro che avevano comunque avviato l’iter senza però aver presentato la comunicazione di inizio lavori (CILA).

Infatti, una misura di tale intensità si giustificava ed era da manuale di economia a maggio 2020, ma non lo è più dopo circa 3 anni. Dopo tanto tempo, lo squilibrio insostenibile tra domanda ed offerta ed i conseguenti prezzi fuori controllo sopravanzano il beneficio arrecato alla crescita del PIL ed all’occupazione.

È quindi comprensibile lo stop alle cessioni – che mettono il turbo all’avvio dei lavori perché ampliano la platea dei beneficiari, comprendendo anche chi non ha debiti fiscali da compensare e chi, pur avendoli, non ha comunque liquidità sufficiente – e l’avvio di una fase “a regime” con agevolazioni inferiori.

Ma è per il passato che l’azione del governo è gravemente carente e reticente. Il governo ci sta provando in tutti i modi ad attenuare l’impatto dei bonus già maturati sulle casse statali. Con ciò tradendo clamorosamente il legittimo affidamento dei contribuenti. Dapprima il famoso “impatto sulla finanza pubblica” tanto decantato e temuto nelle dichiarazioni del governo (Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti in testa), clamorosamente smentito proprio dall’intervento del rappresentante di Eurostat in audizione parlamentare e ripreso dal dossier che accompagna la discussione parlamentare del Decreto Legge 11 del 16 febbraio.

In tale intervento – commentato qui poche ore dopo l’audizione – è stato lucidamente spiegato che la distinzione tra crediti di imposta “pagabili” e “non pagabili” non impatta sul debito pubblico (ovviamente nel senso, che è pur sempre debito, e non, come qualche buontempone ha concluso, che non costituisce debito). Ed incide solo sulla distribuzione temporale del deficit – cioè la differenza annuale tra entrate ed uscite dello Stato – a seconda che sia rilevato tutto nell’anno di maturazione dei crediti (se ritenuti “pagabili”) oppure nei 4 o 5 anni in cui ridurranno le entrate tributarie (se ritenuti “non pagabili”).

L’effetto di questo ragionamento è che la riclassificazione dei crediti da Superbonus da “non pagabili” a “pagabili” dovrebbe peggiorare il deficit del 2020, 2021 e 2022 e migliorare il 2023, 2024, 2025, 2026, perché saranno alleggeriti dalle quote annuali anticipate tutte agli anni precedenti.

Quindi per il governo è legittimo, ancorché per qualcuno non condivisibile, appellarsi ad impatti di finanza pubblica per spendere diversamente il budget 2023; è privo di fondamento farlo con riferimento al passato.

Allo stesso modo, non è corretto invocare il “costo di 2000 euro a testa”. Infatti, qualsiasi misura di spesa pubblica grava sulle casse statali e, in ultima istanza, anche sui contribuenti. Anche la sanità e l’istruzione “costano”. Tutto sta nel decidere verso quale destinazione spendere e quale ritorno per i cittadini preferire. E, soprattutto, nel valutare correttamente la spesa a preventivo, per non trovarsi con buchi da ripianare.

E non c’è dubbio che la spesa per i bonus edilizi abbia concorso ad almeno 1/5 del tasso di crescita registrato dal PIL nel 2021 e 2022.

Ma che il governo non solo debba – per rispetto il legittimo affidamento dei contribuenti – ma possa affrontare senza problemi il pagamento dei 120 miliardi di bonus finora maturati è una conclusione a cui ci permettiamo di arrivare in base a quanto dichiarato dal ministro Giancarlo Giorgetti il 9 novembre 2022 in audizione parlamentare. Più di tre mesi fa. Era già tutto nei conti e nessuno ha lanciato allarmi. Cosa è cambiato ora?

Merita riportare testualmente quanto è agli atti:

Per quanto riguarda il “Superbonus 110%”, è necessario fare alcune considerazioni. Con l’aggiornamento delle previsioni tendenziali di finanza pubblica, effettuato in sede di predisposizione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, sono stati valutati rilevanti maggiori oneri per alcuni bonus edilizi previsti a legislazione vigente rispetto a quanto era stato stimato in sede di adozione delle agevolazioni.

Tali maggiori oneri concorrono a definire le previsioni tendenziali e i relativi saldi tendenziali di finanza pubblica, illustrati nella precedente Nota e aggiornati recentemente con la Nota integrata trasmessa alle Camere. L’incremento, rilevato sulla base delle informazioni aggiornate al 1° settembre, segnala uno scostamento complessivo di 37,8 miliardi di euro sull’intero periodo di previsione. In particolare, per gli anni 2023-2026, i maggiori oneri determinano un maggior onere, con il conseguente peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno, che potrebbe pregiudicare l’adozione di altre tipologie di intervento. Peraltro, la stima degli oneri per il Superbonus 110% potrebbe subire un ulteriore incremento a fine anno considerando anche i dati al 30 settembre pubblicati da ENEA”.

Quindi i maggiori oneri sono già tutti nei tendenziali di finanza pubblica, sia debito che deficit. Solo che per quest’ultimo sono spalmati su più anni perché considerati crediti “non pagabili”, in base alla classificazione provvisoria di Eurostat. Le forti limitazioni alla circolazione, introdotte da governo Draghi, mirano appunto a non pagarne una parte. Peccato che se lo Stato non paga, le imprese falliscono. I maggiori 38 miliardi di crediti valgono appunti 8/10 miliardi l’anno di minori entrate. È tutto già nei conti ed i numeri citati da Giorgetti a novembre sono stati puntualmente ripetuti (quasi alla lettera) da un dirigente del Mef nell’audizione parlamentare del 2 febbraio.

Suona quindi come totalmente strumentale la grancassa che ha cominciato a suonare nelle ultime settimane circa il “buco” nei conti. Non c’è nessun “buco”, o meglio c’è stato, ma se ne è già tenuto conto nella prima Nadef del governo Meloni. E l’intervento di Eurostat, anche qualora considerasse “pagabili” i crediti da bonus edilizi, come visto, rileva poco o nulla.

Quando invece si passa a guardare i movimenti della cassa, allora le cose cambiano parecchio. Perché cambia il cosiddetto “ricorso al mercato”, cioè le emissioni di titoli per finanziare il fabbisogno. E si comprende, ma non si giustifica, anzi si biasima, il comportamento del governo.

La trasferibilità dei crediti aumenta la probabilità che il contribuente li compensi e che quindi che costituiscano un’effettiva minore entrata per lo Stato e quindi maggiori emissioni di titoli pubblici, con aumento dello stock di debito. Ecco perché il governo Draghi intervenne già a fine 2021, bloccando la cedibilità senza limiti. La circolazione è il rubinetto che regola l’impatto sulle casse statali. L’ha ripetuto anche Eurostat: più circola e più diventa “pagabile”. E le parole hanno un senso.

Allora, qualsiasi cosa (di scarso rilievo) decida Eurostat, il governo metta mano al portafoglio e consenta almeno alle banche di compensare le somme che i clienti verseranno a partire dal prossimo 16 marzo. Anche solo per 20 miliardi su 120, il giorno dopo le banche torneranno a comprare crediti dalle imprese ed avremo posto finalmente termine a questo poco edificante balletto.

4 o 5 miliardi di maggior debito pubblico per ciascuno dei prossimi 4 anni sono una goccia nell’oceano. Tanto più se si considera che i circa 9 miliardi stanziati nel primo trimestre 2023 per mitigare l’impatto dei costi energetici sulle imprese si ridurranno almeno del 40% grazie al calo del prezzo del gas. Quindi, anche sul 2023, i soldi ci sono.

Se è vero, come è vero, che il governo ha già messo a bilancio i 120 miliardi, ora rinunci a cavalcare il cavallo di Troia costituito dal blocco alla circolazione dei crediti. A causa del quale, alla mezzanotte di ogni Capodanno fino al 2026, i contribuenti potrebbero trovarsi con carta straccia nei propri bilanci.

Quegli incentivi – pur con evidenti difetti di progettazione e gestione – hanno creato sviluppo ed occupazione. Ora è il momento di onorare gli impegni, senza sotterfugi.

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