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Quanto spendono i cittadini per la difesa del proprio paese? Report Mediobanca

La spesa mondiale per la difesa pro-capite risulta la più alta dal 1990, raggiungendo i 306 dollari a persona, pari a 0,8 centesimi di dollari al giorno. Ecco che cosa emerge da un report di Mediobanca.

Nuovo record per la spesa mondiale per la difesa l’anno scorso.

Nel 2023 la spesa globale militare ha raggiunto infatti il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari (2,3% del Pil mondiale, +0,1 p.p. sul 2022), pari a 6,7 miliardi di dollari al giorno, registrando un incremento del 6,8%, il più marcato dal 2009.

È quanto rileva l’ultimo report dell’Area Studi Mediobanca sui i conti annuali di oltre 330 multinazionali industriali mondiali suddivise per comparto. L’analisi contiene inoltre un approfondimento sui trenta principali big della Difesa con ricavi individuali superiori a 1,5 miliardi di euro, di cui 15 hanno sede negli Stati Uniti, dieci in Europa e cinque in Asia.

“L’aumento della spesa mondiale nel 2023 va attribuito principalmente alla guerra in corso in Ucraina e all’escalation delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente”, si legge nel rapporto.

Ma quanto spendono i cittadini per la difesa del proprio paese?

Tutti i dettagli.

SPESA MONDIALE PER LA DIFESA PRO-CAPITE DEL 2023, LA PIÙ ALTA DAL 1990

In particolare, la spesa mondiale per la difesa pro-capite risulta la più alta dal 1990, raggiungendo i 306 dollari a persona, pari a 0,8 centesimi di dollari al giorno, evidenzia Mediobanca.

Il 37,5% della spesa globale fa capo agli Stati Uniti ($916mld), seguiti da Cina con il 12,1% ($296mld), Russia (4,5%), India (3,4%) e Arabia Saudita (3,1%); l’Italia è dodicesima con l’1,5% del totale mondo: $35,5mld, pari a $97mln al giorno, con incremento del +5,5% atteso per il 2024. Costa Rica, Islanda e Panama non sostengono alcuna spesa per la difesa.

LA SPESA MONDIALE PER LA DIFESA IN RAPPORTO AL PIL

La classifica cambia se si considera l’incidenza sul Pil: di gran lunga al primo posto si colloca l’Ucraina con il 36,7%, in ulteriore accelerazione sul 2022 (25,9%) e sul 2021 (3,2%, quando era in 15esima posizione). Seguono alcuni Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, con la Russia in settima posizione (5,9%), gli Stati Uniti in 22esima (3,4%), la Cina in 69esima (1,7%) e l’Italia in 75esima (1,6%, era 1,4% nel 2013 e 2,8% nel 1963).

 

QUANTO SPENDONO I CITTADINI PER LA DIFESA DEL PROPRIO PAESE?

Secondo Mediobanca, i cittadini che spendono maggiormente per la difesa del proprio Paese sono Qatar (15,7 dollari pro-capite al giorno nel 2023), Israele (8,2) e Stati Uniti (7,4).

L’1,7 dollari al giorno dell’Italia rappresenta oltre il doppio della media mondiale (0,8 centesimi), circa tre volte in meno dell’Ucraina e il 20% in meno della Russia. La quota di spesa pubblica dedicata alla difesa è più elevata in Ucraina e Bielorussia con oltre la metà del totale, mentre l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica (121esima) con il 3,0%, inferiore alla media mondiale del 6,9% che invece è superata da Russia (16,1%) e Stati Uniti (9,1%).

IL PERCORSO DELL’ITALIA VERSO L’OBIETTIVO DEL 2% DEL PIL PER LA SPESA DIFESA

Come richiesto dalla Nato nel 2014, ricorda il rapporto dell’istituto di Piazzetta Cuccia, l’Italia sta progressivamente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del Pil, sebbene persistano forti dubbi sull’effettiva fattibilità di tale traguardo entro il 2028.

Dal Bilancio ordinario della Difesa, Mediobanca cita Rid che ha ricavato le spese per la Funzione Difesa vera e propria, ottenute sottraendo dal Bilancio della Difesa complessivo le spese per i Carabinieri e i Carabinieri Forestali e le spese per gli interventi non direttamente connessi con l’operatività dello strumento militare. Alla Difesa, nel 2024, vanno 20,962 miliardi di euro, contro i 19,604 miliardi del 2023, ovvero quasi 1,4 miliardi di euro in più.

 

OLTRE IL 2028

Pertanto. l’obiettivo del 2% del Pil nel 2028 è una soglia che resta molto lontana e che, se sarà mantenuto questo trend di crescita della spesa militare, non potrà essere raggiunta entro il 2028. Lo stesso Ministro Guido Crosetto lo ha già fatto capire in più di un’occasione: il 2% potrebbe slittare a dopo 2028, ricorda Mediobanca.

Da qui al 2028 la spesa militare dovrà crescere approssimativamente di 10 miliardi: una sfida, ma una sfida sui cui esiti è lecito sin da ora nutrire qualche dubbio, prosegue il rapporto.

LA FRAMMENTAZIONE DELL’INDUSTRIA DELLA DIFESA EUROPEA

Dopodiché, l’analisi di Mediobanca indaga i problemi dell’Europa, che rendono l’industria della difesa europea subalterna a quella americana, ritenendoli “riconducibili a tre fattori tra loro collegati”.

Innanzitutto la frammentazione istituzionale delle politiche di difesa: in questo settore le prerogative statali sono più impermeabili all’autorità sovranazionale e il baricentro del potere rimane sostanzialmente nei singoli Stati membri, con iniziative comunitarie per creare un mercato unico della Difesa sporadiche e tra loro non coordinate. Dopodiché l’estrema frammentazione in cui è organizzato il settore della Difesa non permette di affrontare sfide a livello sistemico.

Infine, le limitate spese degli Stati membri: come lamentato senza eccezioni da tutte le amministrazioni americane degli ultimi settant’anni, la propensione alla spesa per la difesa degli Stati europei è limitata e sub-ottimale e, misurata dal rapporto tra bilancio della difesa e Pil, rimane pari all’1,5%, ben al di sotto della soglia del 2% che i paesi Nato (ovvero la maggioranza degli Stati membri della Ue) si sono impegnati a raggiungere. Dopodiché la scarsa propensione a cooperare.

I PROGRAMMI PER LA DIFESA SVILUPPATO PRINCIPALMENTE A LIVELLO NAZIONALE

Inoltre, evidenzia Mediobanca, la maggior parte dei programmi comunitari per la difesa è sviluppata unicamente a livello nazionale, con alcune eccezioni (principalmente circoscritte all’ambito aerospaziale). Solo due infatti sono le industrie trans-europee (Airbus, aeromobili, e MBDA-Matra BAE Dynamics Alenia, missilistica), cui fanno da contraltare i campioni nazionali dei principali Stati, ma questi produttori sono slegati l’uno dall’altro, non lavorano in sinergia e mancano accordi fra le aziende. Le iniziative volte a promuovere l’integrazione della difesa comunitaria si sono nel tempo scontrate con il problema strutturale dato dall’ampio margine di autonomia rimasto a livello nazionale, sottolinea il rapporto.

NECESSARIO CONSOLIDAMENTO…

Secondo Mediobanca, per uscire da questa situazione di inferiorità dell’industria della difesa europea e rendere più competitive le imprese del vecchio continente sono possibili due vie, tra loro non escludentesi.

La prima opzione consiste nel consolidamento industriale, ovvero nel favorire un processo di concentrazione del mercato attorno a pochi grandi attori. È di fatto quanto avvenuto negli Stati Uniti a cavallo degli anni Novanta, quando una serie fusioni e acquisizioni portarono oltre cento aziende a confluire nei cinque attuali colossi.

… E SVILUPPO PROGETTI CONGIUNTI

La seconda opzione passa attraverso lo sviluppo di progetti congiunti, il che costituisce probabilmente il maggior potenziale inespresso dell’industria della difesa europea.

La partecipazione a progetti cooperativi, ovvero sistemi industriali il cui committente non è un solo Stato ma un consorzio di Stati, non è una novità: ne sono un esempio il caccia multiruolo di quarta generazione Eurofighter Typhoon, l’aereo da trasporto A-400M, le fregate Fremm, l’elicottero NH90.

Sebbene alcuni di questi progetti abbiano avuto una vita particolarmente difficile, conclude Mediobanca, con un significativo allungamento dei tempi e incremento dei costi, i vantaggi della cooperazione si misurano in termini di maggiore efficienza, economia di scala e migliore interoperabilità. Quello che gli Stati europei dovrebbero fare è mettere la propria autonomia in secondo piano e impegnarsi in modo più cooperativo per colmare i gap esistenti.

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