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Sommessi consigli all’Italia sul Recovery Plan

L'analisi di Alessandro Napoli, tra i fondatori dell’Istituto di ricerche Cerpem ed esperto di politiche di sviluppo regionale applicate ai Balcani

 

Vorrei davvero invitare a non confondere l’emergenza dei tempi del lockdown e le sue conseguenze da tamponare con il ritardo che ci portiamo dietro da decenni prima del lockdown e che va invece aggredito agendo sui fattori di debolezza strutturale. A me pare che tra allentamento del Patto di Stabilità e risorse del New Generation Fund (Ngf) siamo a due passi dal poter profittare di mezzi che ci permettano non di tamponare falle, ma di imprimere una svolta.

Non mi piace l’espressione “cambiare il modello di sviluppo”, perché la trovo tanto altisonante quanto vuota di contenuti, quanto ancora persino stupida perché lo sviluppo economico non è qualcosa su cui si possa agire con esperimenti di laboratorio come l’espressione che citavo lascerebbe intendere. Ma se può servire come messaggio accessibile e in grado di mobilitare risorse umane e materiali, ebbene che la si pronunci, al pari di come si è fatto in passato con altre espressioni sloganistiche come New Deal o Ricostruzione.

Per accedere alle risorse del Ngf dobbiamo approntare un Piano operativo. Lascio a un’altra occasione lo spazio per esprimere i miei dubbi sui tempi entro i quali siamo chiamati ad approntarlo, così come su una serie di temi aperti legati all’assenza di un regolamento che disciplini sia la costruzione del Piano sia la gestione delle risorse del Ngf. Per esempio riguardo le priorità, le politiche e le azioni, il quadro finanziario, il quadro organizzativoamministrativo, le modalità di disimpegno automatico in caso di risorse non spese entro tempi prestabiliti (quali saranno?). Spero che dai servizi della Commissione vengano risposte ai temi aperti e ai relativi interrogativi.

Nel momento in cui scrivo, questi temi e i relativi interrogativi non trovano risposte, così come non mi è chiaro chi e come realizzerà quel Piano, senza il quale pensare di attingere alle risorse del Ngf mi pare vaneggiamento. Concentrandomi invece su una generale strategia di fondo, credo di dover invitare a andare al di là della lista di priorità generiche e di generici obiettivi che tocca al momento ascoltare.

Vorrei un Piano che sia un Piano, costruito secondo un quadro logico di obiettivi, politiche, azioni, strumenti attuativi. Che non sia, per dirla in sintesi, una lista della spesa ma, per l’appunto, un Piano. Su un punto però insisto: se le risorse del Ngf sono, e hanno da essere, l’occasione per cambiare strada affrontando i nodi strutturali che da qualche decennio tengono l’economia italiana prigioniera di una path dependence, è proprio sull’identificazione precisa e lo scioglimento di quei nodi che il Piano dovrà concentrarsi. E non sulle chiacchiere di una vulgata alla moda. Abbiamo bisogno di una politica industriale che ci svincoli dalla condizione di Paese di piccole imprese tradizionali senza campioni nazionali produttori di ricerca e applicatori di innovazioni tecnologiche e organizzative, di un ruolo dello Stato promotore e investitore, di grandi imprese in grado di competere a scala internazionale, di un sistema nazionale di istruzione che spenda meno in spese correnti e che investa, invece, per far superare all’Italia la sua condizione di arretratezza macroscopica in materia di disponibilità di forza lavoro ad alta e altissima qualificazione. Sono queste le basi per costruire una nuova Italia, un’Italia competitiva.

Estratto di un articolo pubblicato sul quadrimestrale di Start Magazine “Digital Europe – Il ritorno dell’Unione e l’occasione dell’Italia”, qui la versione integrale)

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