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Commissione Ue

Siete proprio sicuri che la Commissione Ue sarà soft con l’Italia giallo-rossa sui conti pubblici?

Il commento di Gianfranco Polillo

 

Festeggeremo il capo d’anno con fuochi f’artificio, o sarà il solito piagnisteo, segnato da pentimenti e nuove malinconie? Molto, se non tutto, dipenderà dal verdetto della Commissione europea e dall’atteggiamento dei nuovi esponenti del governo. Saranno capaci di negoziare per giungere ad un diverso schema nella regolazione finanziaria o si limiteranno ad accogliere qualche mancia, sotto forma di una maggiore flessibilità? Forse è troppo presto per anticipare conclusioni, ma la vicenda va seguita con attenzione. E non solo per capire le conseguenze che quelle scelte avranno sulla situazione economica. Ma per comprendere se il “grande complotto”, che alla fine ha costretto Matteo Salvini a gettare la spugna, in effetti, ci sia stato o non si sia trattato di una sua semplice allucinazione: semmai indotta da quei “cattivi maestri”, che hanno fatto l’impossibile per irritare inutilmente l’intera Europa.

Finora i numeri dicono poco. Ed ancor meno gli andamenti della congiuntura. L’eccesso di liquidità che caratterizza tutti i mercati finanziari ha fatto crollare gli spread. In una spirale negativa senza fine che riguarda sia il Bund tedesco, che rende il meno 0,7 per cento, sia i Treasury americani, che hanno subito, negli ultimi mesi, una flessione del relativo rendimento di oltre il 50 per cento. L’Italia ne ha naturalmente beneficiato (spread ai minimi dell’anno) grazie anche alla buona novella della soluzione in positivo della crisi di governo. Pagheremo quindi minori interessi sul debito pubblico accumulato. O meglio: copriremo i maggiori costi che si sono avuti in corso d’anno. Le somme, infatti, andranno tirate solo alla fine.

Più certo, invece, in quanto certificato da varie istituzioni, è il dato di una congiuntura particolarmente negativa, segnata da crescita zero e bassissima inflazione. Ad un passo dalla recessione e ad una lunghezza dalla possibile deflazione. Un cappio destinato a stringersi alla gola dei semplici equilibri di finanza pubblica. Ieri Pierangelo Baldassare, su Start, ha avuto ragione nel ricordarci il possibile avanzo primario, che dovrebbe essere leggermente superiore al 3 per cento. Ma si tratta di un vecchio parametro che non tiene il passo nei confronti degli squilibri sistemici, che si profilano all’orizzonte. Funzionava bene con un tasso di crescita accettabile. Si trattava allora di appostare in bilancio le risorse necessarie per sostenere l’onere del debito. E lasciare semmai il residuo di bilancio per le normali esigenze, meglio se per investimenti. La logica della golden rule.

In una fase di stagnazione, invece, la variabile strategica ai fini dello stesso contenimento del debito è il tasso di crescita del Pil nominale (crescita reale più inflazione). Se questo è inferiore al saggio di interesse dei titoli da rinnovare, il debito aumenta. Altrimenti diminuisce. Ne deriva che con un tasso di crescita prossimo allo zero, quale quello che si profila in Italia, il rapporto debito-Pil sarebbe comunque destinato a salire. La Commissione europea potrà chiudere un occhio se quel quoziente non diminuirà. Ma sarà più intransigente se la “regola del debito” continuerà ad essere violata.

Discorsi di questo tipo, per quanto sofisticati, hanno tuttavia una valenza relativa rispetto ai “veri” problemi italiani ed europei. Oggi la maggiore attenzione deve essere riposta sugli squilibri macroeconomici. Che sono poi quelli che comprimono la crescita. L’Eurozona, per colpa o merito di alcuni Paesi (Germania, Olanda, Lussemburgo, Italia ed, in misura minore, Spagna) presenta un forte attivo della bilancia commerciale a causa delle politiche seguite: tendenzialmente deflative rispetto al potenziale di crescita. L’euro, di conseguenza, si è rafforzato rispetto alle altre monete. Almeno se parametrato sui fondamentali.

L’eccesso di esportazioni, tuttavia, ha contribuito a far emergere negli Stati Uniti quel sentimento protezionistico, a tutti ben noto. Se la bilancia commerciale dell’Eurozona fosse, invece, in equilibrio, sarebbe facile rispondere a Donald Trump. Il tuo deficit commerciale è solo conseguenza dei tuoi squilibri interni: caratterizzati da una domanda interna troppo vivace rispetto al potenziale produttivo esistente. Invece di subire la critica: voi europei deflazionate la vostra economia, addossando sugli States l’onere eccessivo di svolgere da soli il ruolo di “locomotiva”. Dialoghi tra sordi. Come si è visto in tutte le riunioni internazionali.

L’Europa, quindi, e non solo l’Italia, si trova di fronte a problemi inediti. Conseguenza dei grandi cambiamenti intervenuti nel modo di produrre e di commerciare. La ricetta per la loro gestione può essere ancora il Fiscal compact, seppure riveduto e corretto? Oppure non si deve pensare a qualcos’altro? Non dimentichiamone la genesi. Quelle regole furono varate all’indomani della crisi del 2007-2008: fallimento delle grandi banche e massiccio intervento di salvataggio da parte dello Stato. Quindi esigenza di rigore, per rientrare negli schemi di una finanza ordinata. Il mondo di oggi è già diverso. E quello di domani lo sarà ancor di più. Farvi fronte con il solo ricorso a “politiche convenzionali”, può causare più di un inconveniente. E questa volta non ci sarà Mario Draghi con il suo: “Whatever it takes to preserve the euro”.

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