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Intesa Sanpaolo, Abi e non solo. Ecco come sarà rivoluzionato il settore bancario italiano

Contratto, aggregazioni, cambiamenti organizzativi: tutte le novità in cantiere per le banche.

 

La (momentanea?) revoca del mandato sindacale ad Abi da parte di Intesa Sanpaolo è stata la vera sorpresa degli ultimi mesi. È la mossa che ha agitato il settore bancario italiano e non solo: la questione è attenzionata anche da tutto il mondo del lavoro italiano perché è un precedente rilevante dal punto di vista giuridico e anche politico-sindacale, pertanto in grado di aprire fronti analoghi in altri settori. La decisione di Intesa Sanpaolo è arrivata come un fulmine a ciel sereno per alcuni, mentre i “più navigati” del settore la aspettavano da un momento all’altro: troppe sono le turbolenze fra i gruppi bancari in termini di competizione per non aspettarsi una mossa del genere, da qualunque banca all’interno di Abi. Mentre stavano per partire le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, scaduto a dicembre e poi prorogato più volte fino al prossimo 31 luglio, che interessa oltre 280.000 dipendenti degli istituti di credito, è arrivato il siluro di Intesa.

LA SCELTA DI INTESA SANPAOLO VERSO ABI

La scelta del primo gruppo creditizio del Paese, formalizzata con una lettera il 27 febbraio, equivale a una presa di distanza politica nei confronti dell’Abi. Tuttavia, nel corso delle ultime settimane, quando la prudenza ha preso il sopravvento, il quadro è almeno parzialmente cambiato: i radar degli addetti ai lavori hanno captato, ad esempio, forti segnali di distensione e di riavvicinamento fra i componenti del comitato di presidenza di Abi. Un clima assai più sereno che sarebbe avvalorato, secondo fonti ben informate, dalla grande cordialità registrata tra il numero uno di Abi, Antonio Patuelli, sia con il presidente di Intesa, Gianmaria Gros Pietro, sia con la chief operating officer del gruppo, Paola Angeletti. Una svolta? Non è detto, anche perché in Ca’ de Sass tutto, ma proprio tutto, passa dalle decisioni del suo leader, Carlo Messina, che può sparigliare il campo da un momento all’altro. È lui, soltanto lui, che deciderà se cambiare rotta oppure no, se intervenire oppure no.

“INVITO PERMANENTE”?

Cerchiamo però di analizzare la situazione sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto delle relazioni e del rispettivo peso politico che le banche e i sindacati hanno all’interno del settore. L’aspetto che suscita una delle maggiori curiosità è quella dal punto di vista giuridico contrattuale: questo “invito permanente” a partecipare al tavolo delle trattative, quelle per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, che l’Abi ha concordato con Intesa, contestualmente alla revoca del mandato sindacale. Una decisione che non ha precedenti, ma che potrebbe permettere di ricostruire un clima più sereno all’interno del settore.

Premesso che le vere trattative partiranno i primi di luglio, sono in molti a chiedersi quale sarà la reazione delle altre banche rimaste nel Comitato sindacale Abi e, soprattutto, come si comporteranno i sindacati. Ad esempio, nell’ultima riunione degli attivi unitari sindacali svoltasi qualche giorno fa a Roma, la Fabi è intervenuta con alcuni segretari nazionali, ma il suo leader, Lando Maria Sileoni, è rimasto inaspettatamente silenzioso, forse perché aspetta il congresso nazionale del 12 giugno per uscire allo scoperto.

IL SINDACATO DELLE BANCHE PUNTERÀ I PIEDI?

Ci si chiede, insomma, se il “tavolo” sindacale, nel suo insieme, accetterà passivamente questa situazione oppure se qualcuno cercherà di puntare i piedi. In campo giuridico, c’è chi azzarda la possibilità di studiare il caso per la formalizzazione di una eventuale procedura finalizzata ad accertare una condotta antisindacale, come stabilito dallo Statuto dei lavoratori (articolo 28). Il punto è il seguente: un contratto collettivo è firmato da organizzazioni sindacali e da organismi collettivi di rappresentanza datoriale, ragion per cui l’anomala presenza di una singola azienda al tavolo sindacale (“invito permanente”) viola la libertà del sindacato. Questo perché la sua presenza, finalizzata ad influenzare la trattativa e non solo a osservare, è estranea, in termini di diritto, a un contesto collettivo. Non solo. La presenza di una banca al fianco dell’Abi snatura il ruolo della stessa associazione di categoria. E perfino la scelta dell’Abi, secondo esperti del settore, potrebbe essere valutata ai fini dell’antisindacalità.

La premessa, va detto, è che si tratta di una situazione nuova, di fatto senza precedenti identici che aiutino a definire quanto meno i confini di questa vicenda. E ci sono vari aspetti da tenere in considerazione, a cominciare dal fatto che la presenza, senza mandato di rappresentanza, dei rappresentanti di Intesa al tavolo negoziale, potrebbe portare alla firma di un inedito contratto multilaterale (o plurimo-individuale) e non di un vero e proprio contratto collettivo. Al punto che tutte le banche potrebbero uscire da Abi e firmare individualmente, ma a quel punto si correrebbe il rischio di uscire dal perimetro costituzionale che fa esplicito riferimento ai contratti collettivi. Così, almeno, la pensano i giuslavoristi più accreditati.

LE POSSIBILI CONSEGUENZE SUI DIPENDENTI

Altri ragionamenti vengono fatti in relazione all’ipotesi, tutta teorica, dell’uscita definitiva di una qualsiasi banca dall’Abi e alle conseguenze per tutti i suoi dipendenti. Qualora ciò accadesse, ci si interroga circa gli effetti che potrebbero subire i dipendenti di quel gruppo, in presenza, però, di un contratto individuale d’assunzione che richiama espressamente il contratto nazionale Abi. Non solo. Alla scadenza del vecchio contratto e qualora non si rinnovasse il nuovo, la banca potrebbe decidere di applicare quello vecchio “in proroga”, almeno per la parte normativa, mentre potrebbe concordare con i sindacati aziendali la sola parte economica nelle logiche di “una tantum”.

Sono due gli elementi significativi: lo statuto associativo, che obbliga le banche ad applicare i contratti sottoscritti dall’Abi in rappresentanza delle associate, e il contratto individuale di lavoro. In particolare, se i contratti di assunzione contengono un rinvio espresso al contratto di settore, la banca resterebbe vincolata ad applicarlo sia nel caso venisse rinnovato dal Comitato sindacale Abi senza la sua delega, sia nel caso formalizzasse l’uscita da Abi. Tutto, quindi, dipende dalle clausole dei contratti individuali di assunzione. Proprio per questa ragione, una mossa falsa da parte di una banca aprirebbe lo scenario di una causa dietro l’altra che trascinerebbe il settore nel caos.

Visto come stanno le cose, il rischio confusione è dietro l’angolo e, soprattutto, non è troppo remota la prospettiva di dover gestire decine di migliaia di cause individuali che inevitabilmente scatterebbero nel caso in cui un dipendente con contratto Abi si vedesse applicare un contratto collettivo diverso da quello istituzionalizzato all’atto della sua assunzione. Insomma, una banca può restare senza contratto nazionale e replicare il modello Fiat/Marchionne con un contratto di settore? Oppure dovrebbe optare per l’adesione a una diversa associazione datoriale, come Confindustria o Confcommercio? La risposta è molto semplice: nessuna banca può restare senza contratto nazionale a meno che non sia consapevole di dover affrontare, come accennato, decine di migliaia di cause individuali e le forti reazioni del sindacato. Il quadro al momento resta questo, ma è suscettibile di variazioni nelle prossime settimane. Infatti, sono appena partite le assemblee dei lavoratori, chiamati ad approvare la piattaforma rivendicativa, che dovrebbero terminare a giugno e l’esito delle stesse darà sicuramente al sindacato un mandato molto forte. Al termine delle assemblee, previsto per fine giugno, è probabile che vengano fissati un paio di incontri tra Abi e sindacati, entrambi per il mese di luglio, sulla falsa riga dei precedenti negoziati di contratti nazionali.

IL DOSSIER MPS

Il rinnovo del contratto di lavoro, comunque, non è l’unico dossier rilevante nel mondo bancario. I prossimi mesi, infatti, saranno decisivi per le aggregazioni nel settore. Il primo nodo da sciogliere resta il futuro del Monte dei Paschi di Siena: entro il 2024 il Tesoro deve piazzare sul mercato il suo 64% della banca più antica del Mondo, ma al momento nessun player italiano o straniero sembra interessato. Anzi. Al contrario, dai principali gruppi del Paese, negli ultimi giorni, sono arrivati, al ministero dell’Economia, dei preventivi «no, grazie». Qualcuno ritiene che, alla luce degli ottimi risultati di Mps dopo la cura di Luigi Lovaglio, la Banca centrale europea potrebbe rivedere il calendario della privatizzazione, concedendo più tempo e lasciando la banca autonoma oltre il termine concordato anche con l’Unione europea. In assenza di ripensamenti, il governo dovrà gioco-forza trovare un compratore ed è probabile che venga perlustrata la strada dello “spezzatino” con il necessario coinvolgimento di tutti i big del credito. Definito il percorso di Montepaschi, a catena potrebbero essere più chiare anche le altre operazioni: sullo scacchiere del risiko ci sono un po’ tutti, da BancoBpm a Bper, da Unicredit a Intesa.

CAPITOLO FUSIONI E ACQUISIZIONI

Nel quadro delle articolate manovre societarie dei prossimi mesi, con operazioni a catena che si dispiegheranno per tutto il 2024, il contratto nazionale sarà centrale non solo per tutti i cambiamenti organizzativi conseguenti alle fusioni e alle acquisizioni, ma evidenzierà quali saranno le banche qualitativamente migliori dal punto di vista della gestione, quelle più virtuose, quelle che riusciranno a garantire i migliori dividendi ai propri azionisti e soprattutto quelle che primeggeranno nei prossimi cinque anni. In ballo, poi, ci sono anche le questioni che riguardano i dipendenti bancari come lo smart working, il digitale, l’intelligenza artificiale, i nuovi modelli di agenzia. Ma la vera posta in gioco sarà rappresentata da chi avrà numeri e risultati per primeggiare all’interno del settore, dove da anni, l’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, è solitario in testa alla classifica.

Insomma, si assisterà a una rivoluzione strategica e operativa che poggerà soprattutto sul contratto nazionale e l’esito dello stesso sarà determinante per agevolare o per complicare i rapporti nei singoli gruppi bancari e nelle aziende tra gli stessi sindacati e le loro controparti. Aspetto, quest’ultimo, che non è sfuggito alle organizzazioni sindacali, tant’è vero che la piattaforma messa a punto da Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin è la più rilevante degli ultimi 20 anni. E gli argomenti scelti dal sindacato hanno di fatto spiazzato e momentaneamente messo in un angolo la stessa Abi che a breve potrebbe far conoscere le proprie rivendicazioni.

LE BANCHE DEVONO VALUTARE UN’OPPORTUNITÀ

In questo contesto, le banche dovranno valutare una opportunità: dire sì a tutta la richiesta economica (435 euro medi mensili di aumento, da spalmare su tutta la durata del nuovo contratto) figlia del recupero dell’inflazione e della ritrovata redditività delle banche, ottenendo in cambio maggiore flessibilità sulle questioni di carattere organizzative interne alle singole aziende come la questione degli inquadramenti, del lavoro agile, dell’utilizzo del part-time, della trasformazione delle agenzie anche in filiali online. Insomma, servirà quella semplificazione del contratto nazionale necessaria per gestire concretamente tutti i cambiamenti organizzativi che i gruppi bancari dovranno affrontare nei prossimi anni. Ma se sugli assetti contrattuali una soluzione potrebbe trovarsi, più complessa è la faccenda sulla parte economica: ciò perché l’aumento di 435 euro appare digeribile, finanziariamente, dalle grandi banche, un po’ meno, invece, dalle realtà più piccole del settore nonostante siano stati raggiunti record mai realizzati nella storia in termini di utili di fine anno. Al di là delle differenze sul fronte datoriale, la richiesta economica dei sindacati difficilmente potrà essere ridimensionata, specie se si tiene conto delle mega retribuzioni di qualche top manager, degli alti dividendi distribuiti agli azionisti non giustificabili in alcun modo, nemmeno con gli importanti risultati di bilancio ottenuti.

IL RUOLO DEL COMITATO SINDACALE ABI

La delicata faccenda sarà gestita dalla presidente del Comitato sindacale Abi, Ilaria Dalla Riva, targata Unicredit, che sta mettendo a fuoco l’intera vicenda. Il buon esito del negoziato non appare pregiudicato se tutto sarà affrontato con responsabilità reciproca. Fatto sta che se la trattativa partisse bene, la firma potrebbe arrivare entro l’anno o giù di lì. Ci si chiede, nel settore, quali aspetti saranno veramente determinanti. Se prevarrà il buon senso, il contratto si farà in tempi ragionevoli, partendo però da un fatto che nessuno può mettere in discussione che all’interno di Abi, Intesa ha un peso politico determinante; mentre sul fronte sindacale, il ruolo più rilevante, sul piano politico, è soprattutto quello della Fabi, la prima sigla del settore anche in termini di rappresentatività.

NELLE MANI DI INTESA SANPAOLO E FABI

Quindi, non sfuggirà a nessuno che il destino del contratto nazionale dei bancari è soprattutto in mano a Intesa e alla Fabi e che, se non si dovesse trovare un accordo, è molto probabile che la categoria possa scendere in piazza come già avvenuto nel 2015. Se prevarranno, l’intelligenza, la professionalità e la lungimiranza di tutti gli attori, il contratto si farà senza troppi problemi. Se, invece, ci saranno degli intoppi, le banche correranno il serio rischio di perdere la faccia anche rispetto all’attuale governo che, al contrario dei precedenti esecutivi, fortunatamente, non ha alcun “rapporto amorevole” con le stesse banche.

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