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Agnelli

Agnelli, Elkann e le verità non dette su Fiat e Montedison

Che cosa resta della Fiat di Gianni Agnelli? Difficile dirlo. Il commento di Fulvio Coltorti, già direttore dell’area studi di Mediobanca.

 

Ferruccio de Bortoli ricorda Gianni Agnelli sul Corriere della Sera.

Lascia forse un quesito: perché Cuccia ebbe sempre una preferenza per la Fiat? Vorrei sottolineare “per la Fiat” invece che per la famiglia controllante, come ebbe a precisare in una lettera all’indomani della disdetta da parte degli Agnelli del patto di sindacato costituito in occasione dell’ultimo salvataggio.

In realtà in Italia le uniche vere grandi imprese sono state (e sono) quelle controllate dallo Stato. Nel privato ne avevamo alcune che via via si sono perse per strada, salvo la Fiat che è sopravvissuta grazie agli aiuti pubblici e al tutorato (per alcuni anni) di Mediobanca.

Questo “tutorato” aveva motivo proprio nella singolarità del caso. È bene avere una grande impresa privata, a patto di poterla legare al Paese. Con Gianni Agnelli vivo non c’era problema. La sua figura e il suo standing internazionale erano una grande motivazione.

Con la sua scomparsa i semi dell’avidità, sempre vivi nel privato, hanno avuto il sopravvento.

Che cosa resta oggi della Fiat dell’avvocato? Difficile dire. Dopo aver demolito la seconda grande impresa privata (Montedison), i torinesi sono fuggiti armi e bagagli all’estero per pagare meno tasse e poter comandare in base a regole di governo societario più lasche.

Senza provare vergogna…

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