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Pensioni

Ricominciano le bufale sulle pensioni

Le pensioni “vere” - quelle cioè sostenute dai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro - sono in  equilibrio. Il vero grande problema è rappresentato dall’assistenza che ha aperto nel 2022, nei conti dello Stato, una voragine di 157 miliardi. L'intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente nazionale Federspev

Leggo sulla stampa (Il Giornale di qualche giorno fa e altri quotidiani) e sento dichiarazioni catastrofiche sulla situazione previdenziale da parte di politici di alcuni partiti, di qualche sottosegretario e via cantando, del tipo “la spesa pensionistica per il 2024 è stimata al 16% del Pil a quota 340 miliardi di euro. Nel prossimo anno il valore assoluto toccherà i 350 miliardi e nel 2026 i 360 miliardi”. Il che peggiorerebbe lo stato dei conti pubblici rischiando una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (certamente così si verificherà  se l’Istat continuerà a trasmettere ad Eurostat i dati aggregati delle spese previdenziali e assistenziali e non separati).

Si dà il caso che martedì 16 gennaio scorso si sia tenuto al Parlamento (Sala della Regina) la presentazione dell’undicesimo rapporto sul “Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano relativo al 2022”, elaborato dal Centro Studi e Ricerche “Itinerari Previdenziali” diretto dal professor Alberto Brambilla (già sottosegretario al  Lavoro) alla presenza delle varie forze politiche.

Secondo il professor Brambilla il sistema previdenziale è, in senso finanziario, sostenibile ma è indispensabile combattere con decisione “l’inverno demografico” con adeguate iniziative organizzative ed economiche.

Le pensioni “vere” — quelle cioè sostenute dai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro — sono, come anche da noi sempre sostenuto, in  equilibrio o addirittura in attivo con una spesa per il 2022 di circa 224 miliardi a fronte di circa 215 miliardi di introiti contributivi. Ma, al netto delle ritenute fiscali, la spesa effettiva per le casse dello Stato scende a poco più di 165 miliardi (12,9% del Pil) abbondantemente nella media europea e Ocse. Rammentiamo “a lor signori” che i pensionati pagano le tasse come i lavoratori attivi, diversamente da quanto avviene nei paesi più  importanti d’Europa: Germania, Regno Unito, Francia e Spagna.

Inoltre il rapporto tra attivi e pensionati si attesta a quota 1,444 (1 pensionato ogni 1,444 lavoratori attivi) non molto lontano da quella soglia dell’1,5 che terrebbe in perfetto equilibrio il sistema pensionistico.

Cresce per fortuna il numero degli occupati che sono arrivati a fine ottobre scorso a circa 23,7 milioni con un tasso di occupazione del 61,8%,record assoluto dal 1977, anche se l’Europa è quasi 10 punti avanti (70,4%).

Notizia fasulla, quindi, quella secondo cui la spesa pensionistica è stimata per il 2024 al 16% del Pil.

Il vero grande problema è rappresentato dall’assistenza che ha aperto nel 2022, nei conti dello Stato, una voragine di 157 miliardi, voragine che continua ad aumentare vertiginosamente del 6-7% annuo, generando debito e sottraendo risorse a investimenti e sviluppo.

Nel 2022 l’Italia ha destinato al welfare (pensioni, sanità ed assistenza) circa 600 miliardi, ma è la terza gamba (assistenza) che zoppica maggiormente.

Nel 2008 l’assistenza valeva 73 miliardi, oltre 144 nel 2021 e 157 nel 2022, mentre, secondo i dati Istat, la povertà è triplicata nel giro di 15 anni. Nel 2008, infatti, i poveri assoluti erano poco più di 2 milioni nel 2022 sono arrivati ad oltre 5,5 milioni e si è allargata contemporaneamente la forbice della povertà relativa da 6,5 a 8,7 milioni.

Sicuramente in questi dati c’è qualcosa che stride!

Secondo Confedir, Feder.S.P.eV. e APS Leonida è la macchina organizzativa che non funziona: manca una banca dati dell’assistenza e una anagrafe centralizzata dei lavoratori attivi, peraltro previste da norme del 2004 e 2015.

Tant’è che la Confedir, in seno al Cnel, ha presentato un progetto di legge per la loro rapida realizzazione.

Ma a distanza di qualche anno, ancora tutto tace nonostante le proteste del nostro rappresentante al Cnel, Stefano Biasioli.

Condividiamo, quindi, la posizione del professor Brambilla che ha affermato “solo un monitoraggio efficace fra i vari Enti erogatori (Stato,Regioni, Comuni) può permettere di contenere i costi dell’assistenza, aiutando, con strumenti adeguati, esclusivamente quanti hanno davvero bisogno”.

Non mancano altre criticità.

Abbiamo già accennato all’importantissimo problema della denatalità ma altrettanto importante è cercare di limitare le troppe eccezioni alla legge Fornero e le troppe uscite anticipate dal mondo del lavoro e, dulcis in fundo, la separazione netta fra assistenza e previdenza.

È un tema affrontato sistematicamente in tutte le sue 11 presentazioni al Parlamento sul “Bilancio del sistema previdenziale italiano” dal professor Alberto Brambilla ”che, da sempre, sostiene la inderogabilità di questa separazione.

Noi Confedir-Feder.S.P.eV. e APS Leonida questa battaglia la stiamo conducendo da decenni, anche perché prevista chiaramente da una legge della Repubblica:L.88/1989 ex art.37.

Ci sarebbe da chiedersi perché nessuno vuole questa separazione.

Non è nel nostro genoma fare dietrologie, ma non sarà forse perché anche con la scusa del richiamo di organismi internazionali  che “bacchettano” l’Italia per l’eccessivo costo delle pensioni, i vari governi possono utilizzare il pretesto del deficit INPS per potere “strizzare” sempre più i pensionati senza dover tagliare sprechi e rami secchi che, però, elettoralmente rendono?

Diceva uno dei politici più rappresentativi della Prima Repubblica: “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Questa separazione, comunque, parafrasando Manzoni, “s’ha da fare” con buona pace della Commissione dell’ex Ministro del Lavoro Orlando e di qualche sparuto tecnico anche perché prevista in un recente studio della Banca Mondiale “Addressing, Marginalization, Polarization and the Labour Market Progress and Challenges of Non Financial Definend Contribution Pension Schemes”, studio che contiene un dettagliato capitolo sull’Italia in cui si sostiene, fra l’altro, che il sistema contributivo “impone la separazione tra previdenza ed assistenza”.

Invece di lanciare allarmi e bufale sull’equilibrio economico delle pensioni ci si dovrebbe chiedere come mai il 50% circa dei contribuenti italiani dichiara redditi Irpef pari allo zero o poco più, dato questo da terzo mondo e non da settima potenza industrializzata mondiale.

Ci si dovrebbe chiedere anche come mai il 50% circa degli oltre 16 milioni di pensionati è totalmente o parzialmente assistito.

Una sola considerazione, infine, mi lascia perplesso della relazione del Prof Brambilla: varie volte afferma che la spesa assistenziale è sostenuta dalla fiscalità generale (almeno così dovrebbe essere).

Ma che fine hanno fatto le decine e decine di miliardi “rubati ai pensionati” dagli ultimi governi, ad eccezione del governo Draghi, con tagli continui della perequazione e vari “contributi di solidarietà” per ben 15 anni negli ultimi 18?

Preciso sempre che le pensioni cosiddette “ricche” da 8.000 euro lordi mensili in su coprono totalmente il loro costo esclusivamente con i contributi versati.

Noi pensionati abbiamo sempre dichiarato la nostra disponibilità a partecipare al sostegno dei più poveri a patto che i tagli alla perequazione e i contributi di solidarietà, da considerare vere e proprie tasse, in quanto tali, a norma di Costituzione, devono essere pagate anche da tutti i contribuenti e non solo dai pensionati.

Questo per ora è tutto! Ma non finisce qui.

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