Allibiti. Così si definiscono gli interlocutori istituzionali e non che gravitano sul dossier Tim dopo l’ultima sparata a suon di numeri da parte dei francesi di Vivendi (che hanno il 23,8% di Tim).
Vivendi punta ad ottenere una valutazione pari a 31 miliardi di euro per la rete di Telecom Italia (Tim) con lo scorporo dell’infrastruttura dell’ex monopolista telefonico dai servizi.
E’ questa la notizia lanciata dall’agenzia internazionale Reuters sulla base di “una fonte vicina alla società parigina”,
Tra i punti fermi dell’azionista francese c’è il tema del debito da trasferire con la rete scorporata, che dovrà essere di almeno 10 miliardi di euro.
La valutazione complessiva degli asset di rete fissa di Tim per Vivendi sarebbe di 31 miliardi di euro, debito incluso, aggiunge la fonte a Reuters, sottolineando come tutto questo sia nell’interesse di tutti gli azionisti di Tim.
Ma siamo sicuri che sia interessa di tutti? E se gli azionisti e gli investitori nulla sanno ancora sul perimetro preciso della futura società della rete (farà anche parte Sparkle? E Telsy? E Noovle farà parte del segmento scorporato?, sono alcune delle domande senza risposta) come si fa a comunicare al mondo le richieste? Sono alcune degli interrogativi che si raccolgono sul mercato e nei palazzi romani, in primis il ministero dell’Economia, azionista della Cassa depositi e prestiti, socio di Tim.
Il piano, con i dettagli dei perimetri, sarà presentato al mercato il 7 luglio. Ma Vivendi, dall’alto della sua prosopopea, sa tutto e chiede tutto: forse pure la luna.
Tim il mese scorso ha sottoscritto un memorandum of understanding con Cassa Depositi e Prestiti per arrivare alla creazione della cosiddetta rete unica con Open Fiber, di cui Cassa, secondo azionista di Tim con il 10% del capitale ordinario, detiene una quota del 60%.
L’obiettivo del MoU è arrivare ad un accordo vincolante sulla creazione di una società della rete unica, separata da Tim e sotto il controllo di Cdp, entro la fine di ottobre.
Tale società sarebbe partecipata dai fondi infrastrutturali Macquarie e Kkr, che detengono rispettivamente una quota del 40% in Open Fiber e del 37,5% di FiberCop, dove Tim ha fatto confluire la rete secondaria, destinata ad essere scorporata insieme al resto della rete fissa e a Sparkle, ricorda Reuters.
Nell’ambito di questo processo, Tim sta valutando la possibilità di cedere in blocco l’infrastruttura, valutandola intorno ai 20 miliardi, debito incluso, secondo quanto riferito da due fonti.
Ma l’amministratore delegato di Vivendi Arnaud de Puyfontaine ha dichiarato – con gran sconcerto dei soggetti istituzionali – in un’intervista a Repubblica il 31 maggio che il gruppo parigino non è disponibile ad accettare una vendita dell’infrastruttura ai valori indicati dagli analisti, tra 17 e 21 miliardi di euro.
Sotto pressione da anni nel mercato interno caratterizzato da una crescente competizione sul fronte dei prezzi, Tim ad aprile ha respinto la proposta di acquisto non vincolante da 10,8 miliardi di euro da parte di Kkr, che valorizzava l’intera società 33 miliardi circa includendo il debito netto
.Alla chiusura di borsa di venerdì, Tim capitalizzava 5,3 miliardi di euro, mentre al 31 marzo il debito netto si aggirava intorno ai 23 miliardi di euro.
Per quanto riguarda la cosiddetta service company, Vivendi – prosegue la fonte – è intenzionata a restare azionista di lungo termine di tali attività, in cui la società francese intende concentrare il proprio impegno strategico, fa sapere il gruppo francese alla Reuters.
Gli analisti sentiti da Starmag sono più che scettici sui numeri sparacchiati da Vivendi.
Perché?
La partecipazione del 66,6% in Tim Brasil, quotata alla borsa di San Paolo e a New York (Nyse), vale infatti 3,81 miliardi di euro alla quotazione attuale.
Sommata ai 2,71 miliardi di euro corrispondenti al valore corrente della partecipazione del 30,2% in Inwit, quotata a piazza Affari, porta a un totale di 6,52 miliardi di euro il valore delle prime due partecipazioni dell’operatore italiano.
“Costituisce – ha rimarcato Milano Finanza in un’analisi tecnica – il 23,2% in più rispetto ai 5,28 miliardi di euro corrispondenti all’attuale capitalizzazione borsistica di Tim, evidenza eloquente del sensibile stato di sottovalutazione”.
Se il mercato sottovaluta, Vivendi sopravvaluta.
Con un rischio boomerang: che la sopravvalutazione delle rete sia un pessimo segnale per gli investitori sulla società dei contenuti Tim post scissione della rete.
Il “vaste programme” di Vivendi rischia di essere piccolo piccolo.
Ecco perché in queste ore fra Palazzo Chigi, Mef e Cdp gli allibiti pullulano.