Colpo di scena nella travagliata vicenda confindustriale. Nel giorno precedente al voto dei 187 grandi elettori, Garrone si è ritirato con una lettera dignitosa che invita all’unità. In conseguenza Emanuele Orsini sarà il futuro presidente di Confindustria.
L’imprenditore emiliano era ormai in testa nelle previsioni a seguito dell’accordo con Tonino Gozzi che gli ha portato in dote quasi tutti i suoi 40 voti in consiglio generale per la comune avversione al vecchio establishment confindustriale e l’impegno condiviso contro il Green Deal europeo.
Dal punto di vista politico, tanto Orsini viene ritenuto vicino al governo, quanto Garrone sembrava esprimere le tradizionali posizioni “politicamente corrette” filo Cgil, ambientaliste, simpatizzanti per l’opposizione. Escono sconfitti tutti i past president che, con le eccezioni di D’Amato e Fossa, avevano appoggiato l’imprenditore leader nell’eolico, la (un tempo) potente Assolombarda, le associazioni del Piemonte.
La constituency del futuro presidente è invece diffusa e va dalla provincia lombarda al Veneto centro-orientale, all’Emilia, alla Toscana, al Lazio, al Mezzogiorno. Lo hanno peraltro appoggiato tutte le grandi associazioni di categoria, dalla metalmeccanica alla chimica, all’acciaio, al legno. E le partecipate pubbliche.
Orsini avrà ora il compito di ridare credibilità al sistema confindustriale dopo la brutta pagina della esclusione di Gozzi e dopo vent’anni di gestioni “politiciste”, ovvero più attente ai rapporti politici che non alla genuina rappresentanza degli interessi dell’impresa in un Paese ove sopravvive ancora la cultura antindustriale. Da lui ci si attende il rafforzamento della struttura confindustriale, il dialogo con il governo dopo il voto europeo per cambiare le normative ideologiche dell’Unione, il rinnovamento delle relazioni industriali, la volontà di ridurre la pressione fiscale sulle imprese.