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Referendum, lavoro e Cgil. Fatti e contraddizioni

I referendum sul lavoro e il dialogo sociale della Ue. L'intervento di Massimo Balducci.

I referendum su tematiche del lavoro sono l’espressione di sindacati (CGIL e in parte UIL) che fanno dello scontro con i datori di lavoro il loro motivo d’essere. Mi domando se chi promuove i referendum sia consapevole del fatto che nell’Unione Europea regna la cultura del “dialogo sociale” tra datori di lavoro e sindacati. Eppure si tratta di forze che sono apoditticamente e acriticamente pro Europa indipendentemente dagli argomenti e dalle posizioni sostenute dalla UE.

Vediamo di richiamare come questo clima di dialogo e collaborazione si sia affermato a Bruxelles. Il clima del dialogo sociale si afferma a Bruxelles negli anni ‘80 dello scorso secolo e rappresenta la spinta fondamentale che ha portato al passaggio dalle tre Comunità (Mercato Comune, CECA e EURATOM) all’Unione Europea. Gli anni Ottanta sono gli anni del Libro Bianco di Delors, dell’Atto Unico di Milano (con cui le tre Comunità vengono fuse) e della preparazione a Maastricht. Che cosa era successo? Questo cambio di passo è stato determinato dal fatto che, nel frattempo, nella sfera della tecnologia e dell’economia si era realizzato un fatto non previsto dalle potenze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale: la velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico era aumentata a tal punto che i singoli mercati nazionali (segnalatamente dell’Italia, della Germania Occi­dentale, della Francia e del Regno Unito) non erano più grandi abbastanza per assorbire, nel ridotto lasso di tempo intercorrente tra lo sviluppo di un prodotto/processo e quello dell’affermarsi di un prodotto/processo più avanzato, i costi della così detta Research & Development. I singoli merca­ti interni non bastavano più, soprattutto se confrontati con quello USA e quello giapponese.

È qui che si inserisce l’iniziativa del CEO della Volvo (si rammenti che all’epoca la Svezia non era ancora membro della Costruzione Europea) che convoca una round table tra i rappresentati delle organizza­zioni datoriali europee (allora riunite nella UNICE oggi Business Europe) e i rappresentanti dei sindacati europei (riuniti nell’ETUC). Le riunioni di questa round table fanno maturare la convinzione negli attori politici significativi degli Stati membri che si debba fare un salto di qualità e si debba creare un mercato interno dalle dimensioni comparabili con quelle degli USA e del Giappone. Il cambio di passo (Atto Unico del 1987, Trattati di Maastricht ecc.) nella costruzione dell’Europa che si realizza negli anni Ottanta matura qui, in questa round table e nel clima di collaborazione tra organizzazioni datoriali e sindacati, nell’influenza che i sindacati e i datori di lavoro esercitano negli Stati membri convincendo i politici europei della necessità di creare un mercato interno di dimensioni adeguate.

L’Europa che abbiamo oggi è il risultato della collaborazione tra organizzazioni datoriali e sindacati dei lavoratori. Il coronamento di questa tendenza si realizza con la creazione nel 2001 dello statuto di impresa europea, statuto che prevede il coinvolgimento a pieno titolo dei lavoratori nel Comitato di sorveglianza.

Qui va subito notato che questa cultura di collaborazione, nel rispetto dei ruoli diversi,  trova notevole difficoltà ad affermarsi in Italia. In molte occasioni i rappresentanti sindacali, soprattutto quelli della CGIL,  si rifiutano di entrare nella stanza dei bottoni rifuggendo dalle responsabilità che ne deriverebbero.  La proposta di legge di iniziativa popolare n. 1573 (disegno di legge n. 1407 già approvato alla Camera dei Deputati) tende ad estendere alle imprese di diritto italiano quello che è un obbligo per le imprese di statuto europeo. Il fatto è però che quello per l’impresa di statuto europeo è un obbligo per l’impresa di diritto italiano  il coinvolgimento dei lavoratori nella stanza dei bottoni è solo una possibilità. Anche le forze più moderate (segnalatamente la CISL) hanno difficoltà ad accettare che l’impresa sia innanzi tutto un luogo in cui i vari attori sociali sono chiamati a dialogare per collaborare, lasciando la contrapposizione conflittuale al livello sistemico al di fuori dall’impresa.

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