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Landini

Vi racconto tutte le volte che l’Italia ha razionato i consumi di energia

Davvero sarebbe insostenibile un piano europeo di contenimento dei consumi energetici? Eppure non sarebbe la prima volta. L'analisi di Giuliano Cazzola

I servizi Usa  hanno scoperto e documentato che Putin finanzia quei partiti disposti a reggergli il sacco nei loro paesi. Ma l’azione di disinformazia dell’inquilino del Cremlino certamente si rivolge anche a taluni opinion maker che presidiano i media e soprattutto quel nuovo oppio dei popoli che è la tv (per carità di Dio non parliamo dei social).

Rispetto alla guerra in Ucraina i talk show  hanno cercato di dimostrare, all’inizio delle ostilità, che anche gli ucraini avevano delle responsabilità, ma soprattutto che la nazione aggredita era la Russia e che gli aggressore erano gli Usa e il Regno Unito. Poi si sono resi conto – al cospetto della sistematica distruzione di un paese – era questa una tesi difficile da sostenere.

Così  il caravanserraglio dell’informazione si è messo a giocare sul sicuro, preconizzando guai irreparabili all’economia e bandendo un concorso a premi per la bolletta più alta a causa della crisi energetica (di solito non si parla dei 50miliardi, al netto dell’ultimo decreto Aiuti, stanziati dal governo nel giro di un anno). E si sono messi ad attendere il crollo dell’economia, dell’occupazione che, però, stenta a presentarsi all’appuntamento con il destino.

Così la pietra d’angolo della campagna pro Putin è diventata la minaccia, se non proprio  di un razionamento, di misure di risparmio energetico, man mano che si avvicina l’inverno e a fronte di possibili misure di blocco  delle forniture imposto da Mosca. Anzi, qualche ‘’anima bella’’ ha coniato persino un sillogismo: il razionamento è un provvedimento da stato di guerra. Ciò significa che noi siamo in guerra con la Russia? Ma se è così chi l’ha dichiarata? Ecco perché l’assistenza militare all’Ucraina e le sanzioni violano la Costituzione.

Argomenti che vengono sempre più strombazzati nel momento in cui le truppe russe hanno subìto un rovesciamento importante del fronte. Ma davvero sarebbe insostenibile un piano a livello europeo di contenimento dei consumi? Eppure non sarebbe la prima volta. Gli italiani si sono già misurati con delle grave crisi: quelle del petrolio a seguito dei conflitti tra gli Stati arabi e Israele, negli anni  ’70.

Il punto di rottura si raggiunse nell’ottobre 1973. La guerra dello Yom Kippur, combattuta da Egitto e Siria contro Israele, portò prima a un rincaro del petrolio da parte dei Paesi dell’Opec verso gli Stati che appoggiavano Tel Aviv, poi a un vero e proprio embargo sul greggio. Il prezzo al barile schizzò da tre a 12 dollari. Tutti i Paesi occidentali, con l’Olanda capofila, approvarono misure di contenimenti energetici.

In una seduta terminata a notte fonda, il 23 novembre 1973 fu varato dal governo italiano il decreto-legge 304, passato alla storia come Decreto austerity. Al Paese fu vietato, dal 2 dicembre, di utilizzare non solo auto e moto nei giorni festivi e di domenica, ma anche barche e aerei privati (da precursori di Nicola Fratoianni). “Stiamo entrando in un inverno difficile” spiegò il premier Mariano Rumor. Rimasero a piedi anche i ministri e il presidente della Repubblica Giovanni Leone, il quale fu protagonista di un episodio d’altri tempi:  per andare alla cerimonia dell’Immacolata Concezione in piazza di Spagna recuperò dalle rimesse del Quirinale una carrozza a cavalli.

Nei weekend in strada si trovavano solo mezzi di sicurezza e di soccorso e i trasporti pubblici. Tutti gli altri rischiavano un milione di lire di multa. Per risparmiare benzina furono ridotti anche i limiti di velocità, fissati a 100 km/h nelle strade extraurbane e a 120 km/h in autostrada. Le vie e le piazze del Paese furono invase da 11 milioni di biciclette, insieme a tandem, carrozzelle e pattini: gli italiani non rinunciarono a uscire di casa per trascorrere qualche ora di relax dopo una settimana di lavoro. Si organizzavano persino corse di ciclisti della domenica sulle autostrade completamente deserte. Bar e ristoranti avevano l’obbligo di abbassare le saracinesche non oltre la mezzanotte. Un’ora prima dovevano fare lo stesso locali pubblici, cinema, teatri e locali da ballo. Le città erano più buie: si ridusse l’illuminazione pubblica del 40%. Praticamente, solo un lampione su due rimaneva acceso durante la notte. Gli uffici pubblici anticiparono la chiusura alle 17,30, i negozi alle 19. I benzinai lasciavano il lavoro alle 12 del sabato e tornavano il lunedì. Quel Natale si consigliò di limitare anche le luminarie.

Le abitudini delle famiglie cambiarono. Per far anticipare i riti serali di cena e dopocena, la Rai intervenne sul palinsesto. L’unico telegiornale del tempo, il Tg1, non andava più in onda alle 20:30, ma alle 20, orario mantenuto fino a oggi. In ogni caso, per convincere l’Italia ad andare a letto presto – risparmiando energia elettrica – nessun programma poteva essere trasmesso oltre le 22:45, con 15 minuti di sforamento concessi. Anche quando tutto era aperto, i neon di supermercati ed esercizi commerciali dovevano rimanere spenti. Enel e le imprese distributrici di elettricità ridussero la tensione del 6-7% dalle 21 alle 7, limitando la possibilità di usare elettrodomestici nelle case. La temperatura consigliata negli edifici era di massimo 20 gradi. Intanto l’inflazione aveva raggiunto livelli record, alzandosi fino al 12,5%.

Pochi mesi dopo la situazione tornò gradualmente a sbloccarsi. A marzo 1974 terminò l’embargo sul petrolio, e da aprile la morsa della crisi energetica iniziò ad allentarsi. Cominciò il periodo delle domeniche a targhe alterne: una domenica circolavano le auto con numero finali pari, quella dopo i veicoli con numero finale dispari. Le misure di austerity furono abbandonate il 2 giugno 1974.

La necessità di un uso più oculato dell’energia si era intanto fatta strada nel tessuto sociale, tanto che due anni dopo – a crisi superata – la Rai lanciò un nuovo programma, Domenica In, per convincere gli italiani a rimanere a casa le domeniche.

Questa è cronaca di vita italiana, che, come abbiamo fatto noi, chiunque può andare a cercare su internet.  Quando si dovettero valutare gli effetti di queste misure se ne videro anche i limiti, ma l’austerity – in generale compresa e condivisa dagli italiani, anche perché i media non facevano il controcanto come adesso – produsse importanti conseguenze di ordine politico e produttivo. Nel 1979 con l’avvento al potere in Iran del regime degli ayatollah, si dovette affrontare una nuova crisi a causa del rimbalzo dei prezzi di petrolio al barile da 2 dollari del 1973 a 40 dollari nel 1980. Il che determinò una seria recessione nell’Occidente, il quale, tuttavia, riuscì nel tempo a sottrarsi dal ricatto dell’OPEC (che era poi indirettamente un ricatto del mondo palestinese), allargando il campo delle ricerche e scoprendo nuovi giacimenti nel mare del Nord e nel Golfo del Messico, utilizzando nuove tecnologie per l’estrazione dell’oro nero.

Mutatis mutandis, è quanto potrebbe avvenire nel giro di qualche anno anche da noi, col nostro gas e il nostro petrolio. Basti pensare che una ventina di anni or sono l’Italia produceva 20 miliardi di metri cubi all’anno; nel 2021 sono stati solo 3 miliardi. E ancora: nel 1946 l’Eni (con i modesti mezzi di allora) attuò 7,6mila metri di perforazioni. Contro gli appena 100 metri perforati prima del referendum del 2016 (Alberto Clò, Il ricatto del gas russo, Il Sole 24ore, 2022).

Eppure l’Italia dispone delle maggiori riserve di metano dell’Europa continentale, ma si rifiuta di utilizzarlo perché, come scrive Clò, l’intera Europa ha fatto della Russia di Putin il maggior fornitore di energia per ragioni politiche ancor prima che economiche.

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