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Perché è sbagliato sottovalutare i giudizi dei Mr. Rating

Il commento di Gianfranco Polillo dopo il downrating di Moody’s

Tanto tuonò che piovve: si può ben dire nel commntare il downrating di Moody’s. Si sapeva da tempo che si sarebbe arrivati a questo punto. Era tutto scritto, seppur nell’indifferenza generale. Nessuno, all’interno del governo, in grado di utilizzare questa sorta di spauracchio per accrescere il suo standing negoziale. Segno evidente di un encefalogramma piatto, bruciato da un falso senso di onnipotenza contro tutti e tutto: contro la Commissione europea (i burocrati di Bruxelles), contro la Banca d’Italia (coinvolta nel crack dei quattro istituti di credito), contro l’Ufficio parlamentare del bilancio (vecchi comunisti che remano contro). Si potrebbe continuare in un elenco infinito.

Oggi Luigi Di Maio può avere a disposizione un altro bersaglio da colpire. Moody’s, dal suo punto di vista, può rappresentare il male assoluto. Un organismo, appartenente al Gotha internazionale, che colpisce ingiustamente la “manovra del popolo”, insensibile al grido di dolore che proviene dalle viscere della società italiana. Che poi la definitiva “sconfitta della povertà“ in Italia, come più volte proclamato dal giovane leader, fosse uno dei più grandi bluff degli ultimi anni è cosa secondaria. A forza di ripeterlo, è possibile che lo stesso Di Maio se ne sia, alla fine, ingenuamente, convinto.

Quel Baa3, dal precedente Baa2, impresso nel comunicato ufficiale dell’Agenzia dovrebbe riportare tutti con i piedi per terra. Soprattutto costringere il Governo ad uscire dalle sue fumisterie ideologiche. Non c’è un David che combatte contro Golia, con qualche possibilità di vincere la partita. Quel comunicato è l’ultimo avviso ai naviganti. Sei mesi di tempo: se non cambierà qualcosa, vi sarà un ulteriore deprezzamento fino al fondo dei “titoli spazzatura”. Ed allora sarà la fine. Quel castello di carta, rappresentato dal debito pubblico italiano, non troverà più compratori. Potrà forse essere ancora collocato, ma solo tra i bracconieri che infestano i mercati finanziari, garantendo loro tassi d’interesse proibitivi.

Un ritorno al 2011, l’anno che segnò la fine del Governo Berlusconi e l’inizio del suo declino politico? Per la verità, da questo punto di vista, stiamo molto peggio. Anche allora vi fu un downrating (4/10/2011), ma il passaggio fu da Aa2 a A2. Che nel linguaggio cifrato di Moody’s significava ancora: titoli con un gradimento medio. Da allora è stato un lungo viaggio verso l’inferno. Nel marzo del 2013 eravamo scesi a Baa2: il passaggio verso un gradimento sempre più “scarso”. Posizione che abbiamo mantenuto per ben 5 anni, senza progresso alcuno, fino all’ultimo verdetto.

Si dovrebbe riflettere su questo piccolo calvario. Mette in luce i limiti dei Governi e delle maggioranze parlamentari alle quali l’Italia si era affidata nella precedente legislatura. Contribuisce, con pochi numeri, a spiegare anche i risultati delle passate elezioni. E le scelte di un elettorato che ha voluto tracciare un segno di forte discontinuità con il passato. Ma anche il perché del successo delle forze che si richiamavano al cambiamento. Hanno vinto per i demeriti altrui e non per i meriti propri. Si sono, pertanto, trovati a palazzo Chigi senza avere in mano un effettivo e realistico progetto di governo. L’ulteriore caduta di un rating, che nei precedenti 5 anni comunque aveva retto sulla trincea del Baa2, dimostra quanto sia peggiorata la situazione italiana di fronte gli occhi dei grandi player internazionali.

C’è speranza? Le condizioni oggettive del Paese consentono una risposta affermativa. Nel 2011 l’economia reale era in grande affanno. La progressiva caduta dei livelli di produttività aveva determinato un forte passivo della bilancia commerciale che si trascinava da anni. La stretta fiscale del 2012 ha prodotto, indubbiamente, tanta sofferenza, ma è stata anche salutare. Ha messo fuori mercato le strutture produttive più deboli e consentito una forte riconversione produttiva. Che poi il fenomeno abbia riguardato quasi esclusivamente alcuni territori del Nord del Paese, questo è purtroppo il limite storico dell’esperienza nazionale.

Sta comunque il fatto che le aziende, che sono sopravvissute alla grande crisi, oggi sono più produttive ed in grado di competere sui mercati internazionali. Lo dimostra il rovesciamento che si è prodotto nei saldi con l’estero. Da un deficit della bilancia dei pagamenti, pari al 3 per cento, si è passati ad un surplus del 2,5, con tendenza all’aumento. L’osservazione che ha spinto Moody’s a non dare subito il colpo di grazia e propendere per una piccola tregua, che, come detto in precedenza, ha una data di scadenza. Spetta quindi al Governo meditare su questa complessa situazione e trarne le dovute conseguenze. Sempre che sia in grado di capirla. Cosa di cui non si può essere sicuri.

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