L’applicazione di dazi al 25% sui farmaci tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi potrebbe avere un impatto enorme sull’industria farmaceutica globale, con 76,6 miliardi di dollari di costi per le aziende, 2,5 dei quali a carico delle imprese che operano in Italia.
A dare i numeri a fine marzo è stato il presidente di Farmindustria Marcello Cattani, per il quale il presidente degli Stati Uniti Donald Trump “sta giocando con la salute dei suoi cittadini”, oltre che con la “prosperità europea”.
Tra i Paesi europei, l’Italia, con il 42% di imprese a capitale italiano e il 58% a capitale internazionale, risentirebbe particolarmente gli effetti nefasti delle guerra commerciale. Tra il 2021 e il 2023, infatti, l’industria farmaceutica del nostro Paese ha raggiunto il primo posto a livello mondiale per crescita dell’export.
I NUMERI DELL’INDUSTRIA DEL PHARMA IN ITALIA
Nel 2024, come affermato da Cattani, la produzione farmaceutica italiana è salita dai 52 miliardi di euro del 2023 a 56 miliardi, di cui 54 miliardi derivati dall’export.
Gli investimenti sul territorio, invece, nel 2023, secondo i dati forniti lo scorso luglio da Farmindustria, risultavano essere di 3,6 miliardi di euro, di cui 2 in ricerca e sviluppo (R&S), “il 17% del valore aggiunto del settore, una quota pari a 10 volte quella media nazionale”, precisa un’analisi economica dell’industria farmaceutica italiana pubblicata nel novembre 2024 dal ministero dell’Economia e delle finanze.
Sempre nel 2023, prosegue Farmindustria, gli addetti erano 70.000 (+2% nel 2023 e +9% in 5 anni), con un incremento di quasi il 20% di under 35 negli ultimi 5 anni, e con un’elevata presenza di donne, il 45% del totale, a fronte del 29% degli altri settori manifatturieri.
Inoltre, negli ultimi 5 anni la crescita delle domande di brevetto farmaceutico nel Paese è stata del 35%, rispetto al +23% dei Big dell’Unione europea.
L’analisi del Mef aggiunge che nel 2022 il settore “ha registrato un fatturato di oltre 29 miliardi e rappresenta il 3,9% del valore aggiunto, l’1,8% dell’occupazione e il 3,4% degli investimenti in produzione dell’industria manifatturiera”. Il biotech poi “è uno dei sottosettori più dinamici del comparto farmaceutico e nel 2022 ha un fatturato stimato di oltre 13,6 miliardi di euro”.
TRAINO DEL PIL
Ma le imprese farmaceutiche, ricordava a marzo Farmindustria, sono sul gradino più alto del podio anche come principale settore che ha contribuito alla crescita del Pil tra il 2022 e il 2024: +17,7% a fronte di un +1,4% del Pil totale.
Valori che hanno consentito, anche nel 2024, di aumentare l’occupazione che è pari a 71 mila addetti (+1,5%) con un picco in R&S e produzione del 3%.
PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA RISPETTO AI PAESI UE
Rispetto ai partner europei, l’analisi del Mef afferma che l’Italia si colloca al quinto posto in termini di produzione, valore aggiunto e fatturato mentre occupa il terzo posto, dopo Germania e Francia, per numero di occupati ed è prima in Europa per presenza di PMI farmaceutiche.
Tuttavia, il livello di spesa in R&S della farmaceutica in Italia è molto più basso rispetto ai principali concorrenti europei: la Germania, ad esempio, incide per un terzo sul totale degli investimenti europei in R&S.
QUANTI FARMACI ESPORTIAMO (ANCHE NEGLI STATI UNITI)
A proposito invece di cifre relative alle esportazioni, a marzo, Cattani metteva in evidenza come queste siano state fondamentali per determinare un valore della produzione di oltre 56 miliardi per l’industria farmaceutica in Italia nel 2024.
“Un risultato – spiegava l’associazione degli industriali farmaceutici – che si deve totalmente allo sviluppo sui mercati esteri, per cui l’Italia ha fatto meglio dell’Ue negli ultimi 5 anni (+65% rispetto a +57%). È un dato che va letto insieme a quello relativo al peso delle esportazioni di medicinali sul totale manifatturiero, quasi triplicato in 20 anni (dal 3,5% nel 2004 al 9,1% nel 2024)”.
“Il saldo estero di farmaci e vaccini – riferisce ancora Farmindustria – è oggi di +21,2 miliardi, pari al 18% di quello complessivo dell’industria manifatturiera nel Paese, che porta le aziende farmaceutiche al primo posto per surplus”.
In merito poi alle esportazioni verso gli Stati Uniti, Cattani ha precisato che l’anno scorso l’Italia ha inviato farmaci e vaccini per un valore di circa 11 miliardi e che “sulla quasi totalità di essi non grava nessun dazio, quindi, nella malaugurata ipotesi di dazi al 25%, si tratterebbe di un costo di oltre 2,5 miliardi; un valore molto importante, che avrebbe un forte impatto sulla nostra filiera produttiva”.
LE RICADUTE DEI DAZI
La minaccia dei dazi, che in tre giorni ha fatto bruciare 9.500 miliardi di dollari in capitalizzazione delle aziende, per Cattani equivale a “scherzare con il fuoco e il fuoco è la salute dei pazienti americani”.
“Credo che il consenso politico dell’attuale presidenza americana avrebbe una botta inesorabile se si andassero a toccare i farmaci, quindi con un rischio di carenza e continuità terapeutica, di aumento dei costi dei farmaci stessi, e di aumento dei costi assicurativi e previdenziali per i cittadini americani”, ha detto la scorsa settimana.
Per il numero uno di Farmindustria occorre “continuare la negoziazione” ma tenendo bene a mente che “il settore farmaceutico e il saldo attivo di farmaci rappresentano il primo settore industriale per l’Europa, non solo per l’Italia oggi, perché siamo cresciuti, siamo diventati il traino di tutta la manifattura italiana. E quindi si scherza anche con il fuoco dell’industria europea, il valore che dà all’Europa, il valore in termini di occupazione, di sviluppo sociale”.
LARGO A PECHINO E ALL’AUMENTO DEL GAP ANCHE CON GLI USA
Un’altra conseguenza dei dazi da tenere a mente secondo Cattani è che uno degli effetti immediati che avrebbero è “quello di spostare gli investimenti in Cina, che ha una strategia molto chiara sulla salute”. “Dopo Wuhan – ha spiegato -, il presidente Xi Jinping ha annunciato 600 miliardi di investimenti di dollari in 10 anni per rafforzare l’industria farmaceutica cinese e ha allungato il brevetto come gli Stati Uniti”.
Già lo scorso luglio, quando ancora i dazi non erano nell’aria, il presidente di Farmindustria avvertiva della necessità di stare al passo con la competizione globale, rendendo l’Europa un luogo attrattivo per gli investimenti e recuperando autonomia strategica nelle catene di approvvigionamento per evitare che il gap con Stati Uniti e Cina si ampli ancora di più. “Basti pensare che il gap di investimenti in R&S tra Ue e Usa è passato in 20 anni da 2 miliardi di dollari a 25. Con il 60% dei nuovi lanci di medicinali che avviene negli Usa mentre in Ue è meno del 30%”, riferiva l’associazione.
Inoltre, secondo recenti dati Efpia, “la Cina nel 2023 ha superato l’Europa come area di origine di nuovi farmaci: su 90 molecole a livello globale 28 arrivano dagli Usa, 25 dalla Cina, 17 dall’Ue. Cina che in R&S cresce a ritmi 3 volte superiori a quelli del nostro Continente”.
“Non bisogna perdere ulteriore terreno con scelte sbagliate che penalizzano l’attrattività e ci espongono a dipendenze strategiche – ribadiva Cattani -. Si consideri che già oggi il 74% dei principi attivi di uso più consolidato dipende infatti da produzioni in Cina o in India così come il 60% dell’alluminio, materia prima fondamentale per le nostre imprese”.