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Come progettare la sanità con i fondi europei

L'intervento di Gianluigi Longhi

A seguito dell’emergenza Covid e dell’auspicabile utilizzo dei fondi europei si dovrebbe aprire una riflessione ed un dibattito sul futuro della sanità italiana. Emerge, comunque, che per affrontare il tema della Sanità, la massima di Sant’Agostino riferita al tempo, e descritta nelle Confessioni, deve essere il vero driver della futura programmazione. Se andiamo nel dettaglio, il tempo presente delle cose passate, cioè delle precedenti programmazioni ferme da vent’anni, fotografa una situazione a doppia chiave di lettura. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la spesa sanitaria non può essere inferiore al 6,5% del Pil per garantire la sua universalità, e l’Italia spende il 6,7% mentre la media europea è del 7,4 % e quella mondiale del 10,2%, ma solo perché gli Stati Uniti hanno un esborso in sanità pari al 17,8% del Pil. Questo vuol dire che la nostra sanità è la cenerentola europea? la realtà non è come sembra, i costi italiani sono inferiori nella spesa farmaceutica e nel personale medico e infermieristico pur con una alta qualità e professionalità, riequilibrando quasi completamente il gap. Vi è poi una spesa – pari a 35 miliardi di euro, un ulteriore 2,1 % del Pil – che gli italiani spendono per farmaci (37,3%), servizi ospedalieri privati (14,4%) e ambulatoriali e dentisti (47,9%). Nel 2019 si è stimata una spesa pubblica di 118 miliardi a cui vanno sommati i 35 miliardi privati, pari complessivamente al 8,8 % del Pil. La spesa ospedaliera è pari a 63,3 miliardi di euro di cui 8,4 sono i privati integrati ed accreditati al SSN, rappresentano il 13,2% ma garantiscono il 28,3% del totale delle giornate di degenza. Il personale al di fuori dell’ospedaliero costa al sistema oltre 34 miliardi e conferma una buona presenza territoriale. La mobilità interregionale, pari a circa l’8,5% del totale delle prestazioni, anche se presenta dei disagi, garantisce alla fine quella universalità fondante del nostro sistema sanitario pur con alcune strozzature, come la carenza di medici specialistici, l’anzianità della vita media del parco tecnologico e delle strutture ospedaliere in dotazione, e la inefficienza della miriade di centrali acquisto che una nuova programmazione deve riorganizzare efficientemente ed efficacemente.

Si arriva quindi al tempo presente delle cose future, se il governo pensa di intervenire sul settore deve aver presente che ogni programmazione sanitaria è condizionata dall’evoluzione demografica: nei prossimi trenta anni la popolazione anziana italiana over sessanta anni aumenterà da 13,7 milioni a circa 18,5 milioni ed il tasso di dipendenza delle persone anziane ultra sessantacinque anni  rispetto alle persone in età lavorativa, nell’Unione europea, si eleverà da circa il 30 % attuale al 50%. In definitiva l’Italia sarà meno popolosa ed abitata da vecchi. Certo, alcuni diranno che l’immigrazione integrerà questo trend, ma il tasso di sostituzione deve essere comunque coerente anche qualitativamente e, al netto di questa problematica, l’unica soluzione è investire in tecnologia per aumentare la produttività. L’invecchiamento della popolazione provocherà una riduzione della crescita potenziale e sarà responsabile del continuo aumento del debito sovrano, un dato del quale dobbiamo essere consapevoli. Essere vecchi vuol dire anche avere avversione al rischio e quindi all’innovazione ed all’apprendimento; le persone anziane consumano quasi solo servizi (sanità, turismo, assistenza) e non beni voluttuari e tecnologici. Occorre ridisegnare la sanità e innovare i modelli di cura e focalizzare l’attenzione verso le nuove frontiere della digitalizzazione, della robotica e della intelligenza artificiale. Si deve spostare l’attenzione dall’attuale modello basato sul “fornire la cura”, quando emerge la domanda offrendo una risposta adeguata, alla “presa in carico” del cittadino paziente, con la prevenzione ed il monitoraggio per mantenerlo sano. Non si deve dimenticare che le malattie croniche come diabete, cardiopatia, obesità ed asma respiratorie, sono in aumento ed il tasso di abbandono alle cure preventive è particolarmente elevato. Ne consegue che emerge, poi, l’episodio acuto, che presenta dei costi al sistema molto superiori rispetto alla prevenzione ed al monitoraggio. Occorre, in definitiva, una visione strategica che miri ad una collaborazione tra governo, player della salute pubblici e privati e mondo della ricerca, al fine di cogliere una occasione unica di crescita e potenziamento per l’intero comparto della salute in Italia che, a ragione, è considerato uno dei settori strategici del tessuto economico su cui poter puntare per il rilancio dell’economia italiana.

In particolare, le direttrici strategiche, dovrebbero essere la digitalizzazione dei dati ed il loro storage, al fine di avere una capacità di analisi delle evidenze mediche dei cittadini, incentivando così un sistema sanitario di monitoraggio, partendo dai medici di base, con una visione di modello hub and spoke. In altre parole, emerge la necessità di sfruttare la tecnologia, compresa l’analisi dei big data sanitari per la gestione preventiva delle malattie e l’utilizzo di strumenti basati sull’intelligenza artificiale a supporto delle decisioni cliniche di prevenzione, diagnosi e trattamenti anche con la telemedicina e device intelligenti in dotazione al paziente. Il modello di offerta sanitaria riorganizzato dovrebbe essere più concentrato sugli ospedali per acuti e di eccellenza, con una rete periferica capillare di ambulatori e medici di base e presidi sul territorio, anche presenti nelle farmacie, che costantemente dialoghino fra loro mediante infrastrutture informatiche e digitali che processano i dati. Non serve oggi aumentare il numero degli ospedali al servizio delle comunità locali, ma una assistenza territoriale tecnologica e digitale di ultima generazione, affiancata da una pianificazione di una politica fiscale di incentivazione – finanziata dai fondi europei – in termini di crediti di imposta e iva agevolata, finalizzati agli investimenti nel settore, che aumenterebbe la capacità di risposta e di rinnovamento dell’intero comparto integrato anche con l’offerta accreditata. Queste sono solo alcune delle direttrici ove l’intero Ecosistema Salute e tutti i suoi stakeholders, potrebbero lavorare per renderlo non solo “resiliente” alle emergenze, ma per avviare un percorso virtuoso di miglioramento a beneficio dell’intero sistema paese.

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