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Energia

Perché Prodi non racconta la storia vera sull’euro?

Non si può accusare Prodi di aver negoziato un cambio lira-marco troppo debole. Ma Prodi non racconta tutta la storia. L'analisi di Giuseppe Liturri.

 

Ci sono due falsi e fuorvianti argomenti per parlare male dell’Euro e, di fatto, difenderlo. Uno è “siamo entrati col cambio sbagliato”, l’altro è “i prezzi sono aumentati senza controllo, siamo stati rovinati”.

Credevamo fosse un dibattito ormai vecchio di vent’anni ed invece lunedì abbiamo assistito ad un delizioso siparietto televisivo tra Romano Prodi, il Presidente del Consiglio che ci ha materialmente condotto nella moneta unica, ed il senatore di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa. E siamo ripiombati indietro nel tempo, a riparlare di ovvietà simili a quella del Sole che sorge ad est e della Terra che gli gira intorno. Con la differenza che La Russa non è un economista e certe cose potrebbe non maneggiarle, mentre Prodi – che è stato protagonista di quella stagione – ha provato a riscrivere la storia pro domo sua. E, per non farsi mancare nulla, ha aggiunto che sono cose che “hanno capito tutti, tranne La Verità e questi giornali qui”.

Siamo propensi ad attribuire tale attenzione al fatto che ormai da tempo su queste colonne è possibile leggere – con un anticipo variabile da tre mesi ad una settimana rispetto ai grandi media – analisi e valutazioni sui nostri rapporti con la UE che smontano pezzo per pezzo la propaganda eurolirica. Magari indisponendo il Professore.

I temi che Prodi ha voluto chiarire, e che pare non abbiamo compreso, sono due.

Il cambio di ingresso di 1936,27 Lire per un Euro fu penalizzante per il nostro Paese? Prodi ha fatto correttamente rilevare a La Russa che era interesse dell’Italia entrare ad un cambio più svalutato possibile, per non danneggiare le esportazioni. E per spiegarlo ha fatto riferimento alla famosa trattativa del 24 novembre 1996. Quel giorno Carlo Azeglio Ciampi (ministro del Tesoro), Mario Draghi (direttore generale del Tesoro), Antonio Fazio e Pier Luigi Ciocca (Bankitalia) negoziarono con i tedeschi il cambio Marco/Lira per il rientro dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME).

La trattativa si chiuse a 990 Lire per un Marco e questo cambio determinò automaticamente, ben 5 anni prima dell’introduzione delle banconote, dapprima il rapporto Lira/ECU e poi Lira/Euro. Fu il cambio Lira/Marco a determinare quello Lira/Euro perché quest’ultimo erede diretto del suo predecessore ECU, era una valuta “paniere” di tutti gli Stati membri, ciascuno con il suo peso relativo (non ne fecero parte solo Sterlina britannica e Corona danese). Se quella trattativa si fosse chiusa ad un livello superiore, il cambio Lira/Euro sarebbe stato automaticamente più alto di 1936,27.

Prodi ha ragione, non lo si può accusare di aver negoziato un cambio troppo debole. Al limite dovrebbe essere il contrario. O qualcuno in Italia aveva voglia di avere un cambio Lira/Marco a 800 (e quindi Lira/Euro ben inferiore a 1936,27), distruggendo le esportazioni e subendo l’invasione delle importazioni tedesche? Però Prodi non la racconta tutta: quel cambio a Lira/Marco a 990 a fine 1996 era la conseguenza della discesa, e quindi della rivalutazione della Lira, da quota 1.250 toccata nella primavera 1995, che aveva messo le ali all’export italiano. Quindi entrare nell’euro ci costò una consistente rivalutazione, altro che salti di gioia quando i tedeschi ci proposero 990. Ci presentammo a quella trattativa con il cambio che i tedeschi gradivano. A 1250 non ci avrebbero mai fatto entrare perché gli avremmo fatto una fortissima concorrenza.

L’altro (falso) argomento contro l’euro è l’aumento dei prezzi. Prodi, per difendere la sua creatura, avalla l’ipotesi di La Russa della conversione di fatto di mille Lire in un Euro, con un conseguente aumento generalizzato dei prezzi. Questa è l’aneddotica che però è diversa dai dati: dal gennaio 2002 (dopo 3 anni di euro come moneta bancaria) l’inflazione italiana effettivamente aumentò, da livelli di poco superiori al 2% fino ad oscillare tra il 2,5% ed il 3%. Restò su quei dalla seconda metà del 2002 fino a tutto il 2003. Un tasso di crescita dei prezzi non scandaloso. Basti pensare che la soglia-obiettivo tuttora utilizzata dalla BCE è il 2%.

Prodi non può non conoscere i dati dell’inflazione in quegli anni. Andamenti simili si riscontrarono fino al 2002 anche in Francia e Spagna, pur partendo da livelli diversi. Dopo il 2002 il problema non fu quello del controllo dei prezzi interni, ma quello del differenziale di inflazione tra i diversi Stati. È questo il dato che determina la competitività quando i cambi sono fissi. Ma stranamente Prodi dimentica di raccontare il seguito della storia: con l’euro e quindi con i cambi nominali tra i Paesi aderenti fissati per sempre, dopo il 2002 la Germania ebbe gioco facile nel contenere la sua inflazione e quindi guadagnare competitività, senza rischiare una rivalutazione del cambio nominale. L’inflazione tedesca precipitò in pochi mesi dal 2% circa fino al 0,5%, mentre quella italiana rimase stabile poco al di sopra del 2,5% (in Francia tra il 2% ed il 2,5%).

In quegli anni si costruirono degli enormi squilibri che paghiamo ancora oggi. È questa la trappola in cui ci ha condotto, altro che l’aumento del prezzo dei giornali.

Casualmente, proprio nelle stesse ore il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha richiamato quegli squilibri affermando che “una moneta senza Stato può durare fino a un certo momento ma poi c’è bisogno di uno Stato e di un’unione di bilancio”, ricordando come attualmente la Bce sia “l’unica banca centrale federale di un insieme di paesi che non ha una struttura federale”.

Finirà che sosterranno di aver sempre detto certe cose, eravamo noi incapaci di capirle.

(articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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