Ci sono molte differenze tra le privatizzazioni attuali e quelle degli anni ‘90. Un denominatore comune è sicuramente la riduzione del debito. Oggi però tale fattore rappresenta l’unica ragione, mentre ieri si inseriva in una più ampia trasformazione economica-istituzionale.
LE PRIVATIZZAZIONI NEGLI ANNI NOVANTA
Negli anni ‘90 le privatizzazioni sono state funzionali sì a ridurre il debito, ma soprattutto per conformare la struttura giuridico-economica del paese alla nuova costituzione economica europea, fondata sui principi del libero mercato, concorrenza, parità di trattamento.
LO SCHEMA
L’operazione è stata consistente (e incomparabile a quella attuale) non solo in termini di cifre, ma proprio perché ha rappresentato uno schema – seppure frettoloso per tappare il debito e quindi a trattati incompiuto o privo di strategia – di riscrittura dei fondamentali.
LE DUE FASI DELLE PRIVATIZZAZIONI
Da un sistema di economia mista, fondato su enti pubblici economici e ministero delle partecipate, ad un adeguamento alle categorie privatistiche e ai principi unionali, attraverso le due fasi di privatizzazione formale e sostanziale.
Privatizzazione formale (1992): cambia solo la forma giuridica; nel caso italiano, l’ente pubblico economico si trasforma in un soggetto di diritto privato, ad esempio una S.p.A., mentre la titolarità delle azioni rimane statale. Adeguamento a categorie privatistiche.
Privatizzazione sostanziale (1994): comporta l’effettivo dismissione delle partecipazioni statali, con la cessione delle azioni ai privati e la conseguente perdita del controllo dell’impresa da parte dello Stato. È la forma che conduce alla vera e propria ritrazione dello stesso.
I CASI TELECOM E AUTOSTRADE
Quest’ultima fu attuata in maniera talvolta frettolosa, talvolta parziale. Sono emerse diverse storie: fallimentari (Telecom, Autostrade); positive (processo che ha dato il vita a Intesa e Unicredit). E nuove formule: quella dello Stato azionista, la predominante oggi. Ossia formula Eni, Enel, Leonardo etc. Lo Stato si adegua alle categorie privatistiche (spa) ma mantiene una quota di controllo, accogliendo al contempo investitori privati attenti all’efficienza e a evitare clientelismi politici, nella cornice spesso delle regole di Borsa.
In sostanza, anni ‘90:
- riscrittura integrale dell’infrastruttura giuridica del paese per adeguamento alla costituzione economia europea;
- esiti positivi, fallimentari e nuove formule.
- spesso senza strategia per la fretta di fare cassa per ridurre il debito.
E oggi? Non c’è alcun disegno generale di riscrittura del sistema-paese. Le basi rimangono quelle emerse dagli anni ‘90, a partire dalla formula dello Stato azionista, rivelatasi la più virtuosa e centrale. Ma servono, come sempre, soldi per ridurre il debito. Dunque?
CHE COSA HA IN MENTE IL GOVERNO SU POSTE ED FS
Cessioni e s(vendite) parziali di quote e immobili per fare cassa nell’immediato, rinunciando però ai dividendi domani. Da Eni a Poste a FS in prospettiva, formula che prevede la vendita di quanto è possibile senza perdere il controllo (ad es, Enel e Leonardo sono già al limite).
Nessuno schema generale o riscrittura, mera esigenza di fare cassa. Non si cede il controllo, che rimane fermo in capo allo Stato. Si alleggerisce per quel che si può.
Certo è che così facendo, tra piccole quote e immobili, tra un po’ non è che rimarrà molto più da vendere.