L’attenzione mediatica è tutta concentrata, in queste settimane, sui dazi annunciati, introdotti e in parte sospesi (per 90 giorni) dal Presidente degli USA Donald Trump.
- Dazi
Ma cosa sono i dazi? I dazi doganali rappresentano la forma storicamente più nota di ostacolo al commercio internazionale: si tratta di barriere tariffarie, in altri termini sono oneri (prelievi) pecuniari imposti sulle merci importate che vengono applicati sui beni in fase di sdoganamento, con l’effetto di aumentare il prezzo dei prodotti stranieri rispetto a quelli nazionali, spesso con l’intento di proteggere la produzione interna.
- Barriere tariffarie e non tariffarie
Gli ostacoli alla libera circolazione delle merci non si limitano solo ai dazi. In linea generale, si distinguono in due grandi categorie: barriere tariffarie e barriere non tariffarie.
Come detto, i dazi sono barriere tariffarie. Le barriere non tariffarie, invece, sono meno visibili e meno note, ma spesso risultano strumenti più efficaci e sofisticati nel limitare le importazioni. Rientrano tra le barriere non tariffarie tutte le misure che, pur non comportando un onere diretto in termini monetari, hanno l’effetto di limitare l’ingresso di beni esteri.
- Barriere tecniche
Tra le barriere non tariffarie, quelle tecniche sono particolarmente rilevanti per la loro natura ambigua: pur mascherandosi dietro obiettivi a volte anche “nobili” – come la tutela della salute o dell’ambiente – finiscono spesso per discriminare i prodotti stranieri.
Nel commercio globale, queste barriere si manifestano sotto forma di normative, certificazioni, regolamenti sanitari o requisiti di conformità. Appaiono neutrali, ma possono essere impiegate in chiave selettiva o protezionistica. Un Paese o un’unione di Paesi (es. UE) può stabilire standard tecnologici, sanitari o ambientali talmente specifici da escludere, di fatto, i produttori esteri che non riescono o non vogliono adeguarsi.
La riduzione delle barriere non tariffarie potrebbe, per converso, favorire un abbassamento dei dazi o addirittura sostituirli laddove questi ultimi non risultino sufficienti. Per questo motivo, andrebbero sempre presi in considerazione, poiché concentrarsi unicamente sui dazi non restituisce un quadro completo della realtà.
Già negli anni ’90 si parlava di questi ostacoli come della nuova frontiera del protezionismo. Oggi, in un mondo interconnesso e multipolare, questa dinamica si è accentuata. Lo vediamo con la crescente regolamentazione sulle tecnologie critiche, con le restrizioni sanitarie nei settori agroalimentari, o con le barriere “verdi” adottate in nome della sostenibilità.
Uno standard tecnico può determinare l’accesso o l’esclusione da interi mercati, anche in assenza di dazi o quote, e ciò è estremamente rilevante.
Un caso emblematico è l’esportazione della carne dagli USA verso l’Europa, soggetta a barriere tecniche da parte dell’UE, fortemente contestate da Washington. Il principale ostacolo è rappresentato dal divieto europeo di importare carne bovina trattata con ormoni. In altri termini, gli allevatori americani possono vendere carne nell’UE solo se dimostrano, al termine di una procedura lunga e complessa, che non contiene ormoni della crescita.
Altro esempio è la gestione delle certificazioni tecnologiche e dei requisiti di sicurezza negli scambi tra Cina e Stati Uniti: dietro la “nobile” tutela del consumatore o della cybersicurezza, si possono altresì celare per lo più strategie industriali e politiche.
Jamieson Greer, rappresentante per il Commercio dell’amministrazione Trump, ha illustrato in un documento di 34 pagine tutte le barriere – tariffarie e non – che, secondo Washington, ostacolerebbero il commercio degli Stati Uniti con l’Europa. In questo contesto, i dazi rappresentano in parte una risposta dell’amministrazione per riequilibrare gli scambi.
Un riferimento storico utile per capire le barriere tecniche è la sentenza Cassis de Dijon, pronunciata dalla Corte di Giustizia Europea nel 1979, relativa all’importazione in Germania del liquore francese Crème de cassis. La sentenza sancì che i prodotti realizzati secondo le normative di uno Stato membro dell’UE possono, in linea di principio, essere commercializzati negli altri Stati membri (principio del mutuo riconoscimento).
Dal punto di vista politico, segnò un passo fondamentale nel processo di abbattimento delle barriere tecniche all’interno dell’Unione. Dal punto di vista legale, il principio ha un effetto assimilabile a un accordo tra Paesi sulle rispettive normative di produzione e vendita.
Le imprese, in particolare le imprese ed in particolare le PMI, sono tra i soggetti più penalizzati dalle barriere tecniche. Affrontare un mercato estero significa oggi non solo superare ostacoli linguistici o logistici, ma anche destreggiarsi in una giungla di normative in continua evoluzione, spesso di difficile interpretazione senza assistenza specializzata.
Le barriere tecniche colpiscono anche i consumatori, che possono subirne gli effetti indiretti pagando prezzi più alti o avendo a disposizione una minore varietà di prodotti.
Le barriere tecniche sono oggi tra le più rilevanti e controverse: ostacolano l’importazione di beni stranieri, sono poco trasparenti, e la protezione che offrono è difficile da identificare e quantificare, a differenza dei dazi o delle quote.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), istituita nel 1995, è oggi l’unica organizzazione internazionale incaricata di supervisionare e far rispettare le regole del commercio globale ed il suo ruolo andrebbe essere rafforzato.
Le barriere tecniche andrebbero riconosciute non solo come un problema tecnico, ma come una questione politica, economica e culturale. Oggi più che mai, una loro riduzione potrebbe contribuire a far diminuire anche i dazi – che sono solo la parte più visibile del protezionismo. Una proposta della UE in tal senso potrebbe aiutare ad avviare un disarmo tariffario da parte degli USA nei confronti dell’Europa.