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Sole 24 Ore Formazione

I sogni del Sole su Pnrr e Ue

Perché il politologo Fabbrini della Luiss - editorialista del Sole 24 Ore - sbaglia su Pnrr e Ue. Il corsivo di Giuseppe Liturri

Come (quasi) ogni domenica, partecipiamo al rito laico della lettura dell’editoriale del professor Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore.

La speranza è sempre quella di attingere vette di conoscenza altrimenti inesplorabili. Ma, ancora una volta, ne usciamo delusi, se non proprio impoveriti.

Questa volta Fabbrini scomoda addirittura Aristotele per prendersela con la “destra sovranista” (qualsiasi cosa, cioè nulla, voglia dire) che, a suo parere, sostiene contemporaneamente un argomento ed il suo contrario, a proposito dei rapporti con la UE.

Solo che fa tutto lui: disegna il campo di gioco, decide le regole e le squadre, indica l’arbitro e, alla fine, porta pure via il pallone.

Due sono gli esempi di questo comportamento asseritamente contraddittorio:

  • l’intento – manifestato dalla destra – di voler modificare il Pnrr alla luce dell’emergenza dell’aumento dei costi energetici e delle ricadute inflazionistiche. Fabbrini fa notare che perseguire questo obiettivo comporta necessariamente un duro lavoro negoziale a livello di Commissione ed anche la ricerca di solide alleanze. Insomma bisogna avere i piedi ben piantati a Bruxelles e riconoscere quindi la sua centralità.
  • “Se i burocrati di Bruxelles non escono dal loro palazzo di vetro, andiamo avanti da soli”. È l’intento attribuito alla destra, in caso di inerzia della UE davanti al problema dei costi energetici. Da tali dichiarazioni, Fabbrini deduce la volontà di fare a meno della UE, in difesa di interessi nazionali. Ma la crisi energetica non ha confini o soluzioni autarchiche e deve trovare necessaria soluzione a livello europeo, conclude il Nostro.

Da qui la contraddizione: la destra vuole stare dentro o fuori? Non può chiedere entrambe le cose.

Quello che ci permettiamo di osservare a Fabbrini che chiedere l’aggiornamento del PNRR non significa affatto “opporsi alla UE”, come egli apoditticamente afferma.

Utilizzare lo schema di comodo “sovranisti versus europeisti” equivale ad utilizzare lenti per vedere bene da vicino quando il problema è vedere bene da lontano, il risultato è che tutto risulta distorto e sfuocato. E questo purtroppo accade quando si hanno soltanto quelle due possibilità di classificazione, create ed usate ad arte. Non sappiamo se in buona o in mala fede.

Quello che egli frettolosamente classifica come “sovranismo” che si oppone alla Ue agitando il vessillo di un’autarchia d’altri tempi, è invece qualcosa di molto più articolato e profondamente diverso.

La premessa essenziale è che la UE è solo la mera proiezione dei rapporti di forza intergovernativi dei suoi Stati membri, che vedono regolarmente prevalere alcuni interessi su altri. Da tale presa d’atto scaturisce la necessità – pena danni irreparabili al Paese – di stare in quei consessi senza partire da posizioni pregiudizialmente subalterne e negoziando in modo duro e deciso. Senza che sia esclusa alcuna alternativa negoziale, compreso l’abbandono, sia pure tattico, del tavolo. Né più, né meno di ciò che fanno gli altri 26 membri. Solo noi arriviamo a quei tavoli proni e prigionieri di un “sogno” federale che non esiste altrove. È questo l’approccio ideologico che la destra ha, o dovrebbe avere, verso la UE, non la distinzione di comodo operata da Fabbrini.

È questo approccio che spiega e tiene al suo interno anche il “denunciarla perché non fa abbastanza” seguito dalla minaccia di andare da soli. Risolvendo così l’apparente contraddizione.

Infatti tale affermazione è il pieno riconoscimento del fatto che quella sede intergovernativa è quella idonea a risolvere problemi la cui scala ed il cui livello di interconnessione richiede un livello negoziale necessariamente superiore a quello nazionale. Nessuno è così miope da pensare che l’Italia possa essere una monade in possesso di tutte le leve per risolvere una crisi energetica che rischia di fare impallidire quella degli anni ‘70.

Ma a Fabbrini fa fin troppo comodo adottare il suo schema bipolare perché così evita di fare la riflessione che farebbe cadere il suo “sogno”: se i problemi si risolvono in consessi internazionali nei quali prevale la logica del più forte, senza alcuna solidarietà, come accade da secoli nei rapporti tra nazioni, allora che senso ha tenere in piedi un’istituzione che lavora con la stessa vecchia logica, ammantandola accortamente con uno spirito federale che non esiste?

Un’istituzione rapidissima nel determinare le misure delle zucchine e desolatamente immobile da mesi, nel cercare una soluzione a questa crisi energetica perché dilaniata dai contrasti tra i diversi interessi nazionali.

Se la UE, quando dovrebbe servire non c’è, allora a che serve? Per ragionare e negoziare sulla base dei rapporti di forza intergovernativi basterebbe un patto permanente di consultazione e coordinamento, sul modello del G7. O no?

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