skip to Main Content

Pnrr

I perché dell’alta disoccupazione giovanile

L’intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro, componente il Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio

 

Da Open polis e Italia Domani abbiamo la stessa segnalazione: sono 5 i cosiddetti “problemi che non sono chiariti” nell’invio a Bruxelles per i progressi della predisposizione dei progetti del Pnrr e ricevere l’ok per altri 21 miliardi (la maggior parte da restituire!).

Dalla relazione di Tridico, presidente dell’Inps sul Rapporto annuale alla presenza di Orlando e Mattarella, arriva la conferma che il sistema previdenziale pesa per il 20% del Pil.

A conti fatti, incrociando i dati e leggendoli scientificamente e non politicamente corretti, in Italia risultano circa 3 milioni di precari; 2,7 milioni di lavoratori part-time involontari e più di 2 milioni di disoccupati. Alla mancanza di lavoro si aggiungono il lavoro nero, i salari fra i più bassi d’Europa, i tanti lavoratori che muoiono o hanno incidenti gravi sul posto di lavoro e la giungla delle truffe che colpiscono chi cerca un’occupazione, con il web che domina la situazione.

Ma noi ci occupiamo adesso più che mai della disoccupazione giovanile gravissima che si trascina dietro ancora oggi un sistema bacato sopratutto sotto l’aspetto formativo che riguarda essenzialmente il ruolo che il mondo degli adulti ha avuto negli ultimi decenni all’interno delle due agenzie educative più importanti: la famiglia e la scuola. La crisi della famiglia ha come  conseguenza la mancanza di punti di riferimento solidi e costanti nella vita. Solitudine, forme depressive, mancanza del desiderio di un futuro migliore ne sono il risultato con un ascensore sociale che si è bloccato anche per una mancanza di riforme strutturali sia a sostegno della famiglia che della scuola che ne risentono drammaticamente.

Ci opprime un sistema scolastico classista, regionalista e discriminatorio che rafforza le disparità e divide il Paese in termini assoluti, i giovani Neet in Italia sono 2.100.000 (siamo ai primi posti in Europa, anche la Grecia fa meglio), in aumento di 100 mila unità rispetto al 2021, con le regioni del Sud a presentare i dati più alti con un pluralismo educativo minato in molte aree del Sud e con le Regioni del Nord che contano il 37% di pluralismo educativo.

L’Italia arriva agli ultimi posti Ocse Pisa, con i primi posti conquistati dagli studenti della Lombardia e del Veneto e gli ultimi dagli studenti della Campania e della Sicilia. Le regioni virtuose del Nord hanno attuato politiche scolastiche tese, attraverso il buono scuola o il voucher, a ridurre la discriminazione economica che impedisce alle famiglie di scegliere fra una scuola statale e una scuola paritaria, hanno salvaguardato il pluralismo, premessa essenziale per un sistema scolastico di qualità. Ma anche per un orientamento a favore del successo formativo.

La didattica delle competenze si è affiancata all’apprendimento e dunque al saper fare, ma ancora più importante è il saper pensare e comunque al gusto del conoscere la letteratura, l’arte, la filosofia, la storia, le scienze, la matematica ma non a scapito delle competenze come invece si è fatto.

Ancora troppe realtà aziendali sfruttano i giovani con collaborazioni a tempo determinato, con retribuzioni ben inferiori alla soglia della sopravvivenza con l’alibi che i nostri giovani non sono ancora disposti a fare la gavetta, ma ancora una volta forse essere troppo garantisti non ha aiutato i giovani ad avvicinarsi alla realtà del lavoro.

Nel timore di contenziosi con le famiglie, la promozione viene spesso garantita anche quando non ce ne sarebbero i termini e la situazione è peggiorata con la pandemia. Vergognosa la polemica scoppiata a seguito della manifestata volontà di reintrodurre gli scritti all’Esame di Stato. I nostri giovani si devono misurare responsabilmente con una prova che li introduca alla vita che li aspetta e non giovani che si percepiscono solo come cittadini bisognosi. Dunque bisogna correggere le politiche formative e occupazionali subito e tanto per investire sui nostri giovani che sono il futuro dei questo Paese: senza lavoro non ci sono cittadini che versano contributi, senza contributi non si sostiene il sistema di welfare e dunque la spesa sociale per i più deboli e fragili e la equilibrata spesa pensionistica che non regge più.

Un paese sbilanciato, ecco quello che abbiamo oggi, e che non possiamo lasciare egoisticamente in eredità ai nostri figli e nipoti.

Back To Top