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Che cosa non è chiaro ancora nel Pnrr

L'intervento di Giuseppe Capuano.

La Commissione europea, integrando l’iniziale proposta franco-tedesca di 500 miliardi di euro, ha proposto nella primavera del 2020 il Recovery Fund o meglio il piano di ripresa chiamato Next Generation EU (NG-EU) giungendo allo stanziamento di 750 miliardi di euro ripartiti in:

  • 390 miliardi sotto forma di sovvenzioni, e quindi a fondo perduto;
  • 360 miliardi a titolo di prestito con basso rendimento.

Il Next Generation EU, approvato dal Consiglio Europeo il 21 luglio 2020, ha come obiettivo quello di raccogliere fondi aumentando temporaneamente il massimale delle risorse proprie al 2,0% del reddito nazionale lordo dell’UE, permettendo alla Commissione di prendere in prestito 750 miliardi di euro sui mercati finanziari attraverso emissioni di titoli. Gli impegni finanziari dei singoli Stati dovranno essere indicati entro il 2023 e l’erogazione dei fondi dovrà completarsi entro il 2026, mentre il rimborso dei debiti contratti dall’Unione europea dovrà essere terminato entro il 2058.

Il finanziamento aggiuntivo sarà poi convogliato attraverso programmi UE e rimborsato per un lungo periodo di tempo attraverso i futuri bilanci dell’UE. In aggiunta, la Commissione ha proposto un bilancio dell’UE a lungo termine (2021-2027) rinnovato oltre ad una serie di nuove risorse proprie per integrare la proposta dell’UE sulla prossima generazione.

Il Regolamento sul Recovery found è stato approvato dal Parlamento europeo il 10 febbraio 2021. Ogni Stato dovrà presentare il proprio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alla Commissione europea entro il 30 aprile 2021, che avrà due mesi di tempo per approvarlo e presentalo al Consiglio che avrà a sua volta un mese di tempo per la sua definitiva approvazione. Solo dopo questa procedura ogni Stato potrà ricevere il 13% dei fondi (circa 25 miliardi all’Italia) sotto forma di anticipazione (si ricorda che le erogazioni successive avranno cadenza semestrale sotto forma di SAL).

pnrr

L’Italia, allo scopo di avviare un dialogo informale con la Commissione, già dal mese di settembre 2020, ha elaborato una proposta di Linee guida per la definizione del PNRR, come altri Paesi membri. Le linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano, infatti, sono state presentate il 15 settembre 2020 e rispondono alle linee guida del Next Generation EU che ha assegnato all’Italia risorse pari a circa 209 miliardi di euro (risorse, tra fondo perduto e prestiti, che potrebbero presentare una leggera riduzione come recentemente dichiarato nell’audizione a Commissioni congiunte dal Ministro Daniele Franco).

Successivamente, in data 12 gennaio 2021, il Governo italiano ha reso nota la bozza del PNRR con tutti i progetti con l’indicazione per ciascuno, come chiede la Commissione Ue, di pietre miliari (milestone) e target (obiettivi), dei soggetti proponenti e attuatori, dell’impatto green e digital e della natura della spesa.

Il documento consente di distinguere i progetti di investimento dagli incentivi. I bonus (una dozzina di progetti) pesano per oltre 55 miliardi di euro. Più di 120 miliardi si riferiscono invece a investimenti e il resto a voci ibride, classificate come investimento/incentivo. Sommando tutte le misure elencate, si arriva a circa 120 interventi, raggruppate intorno alle sei Missioni (M), alle 16 Componenti (C) e 47 linee di intervento.

Con il passaggio dal Governo Conte al Governo Draghi, in molti si sono posti il problema di come cambiare, integrare se non addirittura riscrivere l’intero Piano. Molto probabilmente nella versione finale del PNRR il numero dei macroprogetti sarà ridotto dando maggiore compattezza a tutto l’impianto progettuale. In ogni caso è opinione dello scrivente che sarebbe più saggio vedere i contenuti del  “Recovery Plan”, considerata soprattutto la tempistica molto stretta, come un valido punto di partenza pur facendo le necessarie rimodulazioni e integrazioni, al netto delle riforme trasversali che in queste sede volutamente non saranno considerate data la loro valenza politica.

Da una attenta lettura della bozza del PNRR (172 pagine) si possono rilevare alcune lacune e criticità di impostazione che andrebbero necessariamente rivisitate/chiarite se non addirittura inserite ex novo perché assenti e che in questa sede cercheremo brevemente di indicare in quattro items principali.

Da un punto di vista degli stimoli all’economia, il Piano si è prevalentemente preoccupato di sostenere la domanda interna con stimoli, tra gli altri, all’acquisto di beni strumentali/intermedi o di consumo high tech, il tutto in chiave ecologica (transizione green) o di digitalizzazione (transizione digitale), senza preoccuparsi dell’impatto che questi interventi avranno sull’offerta dettata dalle specializzazioni settoriali del nostro Paese (secondo le caratteristiche delle tavole settoriali input/output) e sulla nostra bilancia commerciale.

La nostra preoccupazione è che senza una necessaria e preventiva analisi di impatto settoriale input/output da un lato e, dall’altro, senza promuovere la natalità di nuove imprese e/o lo sviluppo delle imprese esistenti e di filiere tecnologicamente avanzate nei settori incentivati/sostenuti dal Piano, molti effetti moltiplicatori generati da queste scelte andranno a beneficio dell’industria estera. A tal proposito, un esempio potrebbe essere quello degli incentivi dati al settore del fotovoltaico che hanno contribuito in passato alla crescita dell’industria tedesca e cinese. La conseguenza possibile di scelte “al buio” potrebbe essere l’accrescimento del nostro deficit commerciale dovuto all’aumento delle importazioni di quei beni di cui si è incentivata la domanda senza sostenere le nostre imprese manifatturiere.

Nel Piano, inoltre, non è ben chiaro il ruolo dello Stato. Sarebbe necessario esplicitare se il ruolo svolto dall’intervento statale sia esclusivamente di promotore dell’imprenditorialità e di facilitatore o se esso si riservi, ove ritenuto opportuno, un ruolo di imprenditore e/o una forte volontà di indirizzare le scelte imprenditoriali. Un ruolo, quindi, di ispirazione liberista di stampo anglosassone o keynesiana secondo la tradizione dell’economia mista conosciuta in Italia negli anni cinquanta/sessanta. Intervenire sulla filosofia del Piano su questi due aspetti ci sembra strategico da un punto di vista macroeconomico e delle scelte di politica industriale necessarie per la crescita del nostro Pil e dell’occupazione.

Da un punto di vista “micro” ossia in relazione all’impianto dell’organizzazione del Piano (Missioni, Componenti e Linee di intervento) è evidente l’assenza di indicazioni di priorità. Quindi, più che una carenza di progettualità/progetti (da questo punto di vista si è partiti nel giugno 2020 da circa 700 proposte progettuali) si riscontra che le priorità tra gli interventi non sono ben indicate e in qualche caso sono addirittura contraddittorie tra loro.

Gli esempi più calzanti a questo proposito, ma se ne potrebbero fare altri, sono la dicotomia presente nelle proposte relative all’elettrico rinnovabile e lo sviluppo di tecnologie all’idrogeno (che renderebbe obsolete le prime) e la “concorrenza” che si creerebbe tra la costruzione di infrastrutture autostradali, dell’Alta velocità ferroviaria e di infrastrutture aeroportuali per mettere in rete territori oggi non o parzialmente collegati tra loro. In quest’ultimo caso si realizzerebbe nel Piano una concorrenza di fatto tra infrastrutture trasportistiche economicamente insostenibile sul modello negativo che si è creato nel tempo sulla tratta Roma-Milano tra trasporto aereo e Alta velocità ferroviaria. Con la differenza che il primo caso è costruito “a tavolino” nel Piano, il secondo è stato il frutto dell’evoluzione tecnologica conosciuta nel tempo.

Infine, il Piano non è provvisto di una analisi di impatto ex-ante (a parte qualche generica previsione di crescita del Pil) che poi dovrebbe essere integrata e corretta successivamente da una analisi di impatto in itinere ed infine, a conclusione degli interventi, da analisi di impatto ex-post, secondo un approccio dinamico e non statico delle valutazioni economiche di cui l’Ue è da decenni promotrice.

Le analisi di impatto delle politiche e/o dei singoli interventi, di cui la letteratura specialistica è piena, sono essenziali per valutare in termini di efficienza/efficacia economica la bontà delle policy. Purtroppo, la cultura della valutazione è stata storicamente deficitaria nelle nostra Pubblica Amministrazione.

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