Caro direttore,
non ho potuto fare a meno di pensarti stamattina mentre leggevo Il Sole 24 Ore. Da appassionato della saga Pirelli-Sinochem, mi sono inevitabilmente soffermato sulle parole di Emanuele Orsini, il presidente di Confindustria, che così dichiara: “Pirelli è oggi in stallo. Serve una risposta forte del paese. Auspichiamo che il governo difenda Pirelli, un’eccellenza del nostro made in Italy. Senza una riduzione stabile della quota di Sinochem sotto il 25%, Pirelli non potrà crescere negli Usa, con gravi ricadute anche in Italia: molte nuove assunzioni e importanti investimenti sarebbero infatti a rischio”.
Benissimo, tutto giusto.
Faccio un veloce riassunto della vicenda ai lettori: il maggiore azionista di Pirelli è la compagnia statale cinese Sinochem, con una quota del 37 per cento; Marco Tronchetti Provera, oggi vicepresidente esecutivo, non arriva – attraverso la sua holding Camfin – al 27 per cento. È un problema? Sì, perché l’attuale struttura interna di Pirelli, con un socio cinese così in bella vista, potrebbe impedire alla società di vendere i suoi sensori per pneumatici negli Stati Uniti, un mercato rilevantissimo che però ha messo al bando le tecnologie cinesi per i cosiddetti “veicoli connessi”. Da qui, appunto, la necessità economica e strategica di un ridimensionamento di Sinochem.
Lo “stallo” di cui parla il presidente di Confindustria è la spaccatura nel consiglio di Pirelli tra la quota di Sinochem e la quota italiana sulla definizione del soggetto controllore della società: a fine aprile i nove consiglieri italiani hanno votato a favore dell’estromissione di Sinochem; cinque consiglieri cinesi hanno votato contro; una consigliera si è astenuta.
Parentesi chiusa. Torniamo al discorso iniziale.
Bene ha fatto Orsini a ricordare il problema cinese di Pirelli e a incalzare il governo, che però è già intervenuto – nel giugno 2023 – con un golden power per tutelarne gli asset strategici. Cos’altro dovrebbe fare? È lecito, poi, un ricorso così esteso ai poteri speciali, o si tratta di un’intromissione dello stato negli affari di un’azienda privata? Assonime, l’associazione delle grandi società per azioni italiane (nel cui consiglio direttivo siede Tronchetti Provera, peraltro), invita alla cautela.
Capisco il peso economico, industriale e mediatico di Pirelli. Mi sarebbe piaciuto sentire, però, da Orsini o da qualche altro massimo esponente di Confindustria che la responsabilità della situazione di Pirelli non è del governo: è di Pirelli. Cioè di Tronchetti Provera. Fu lui a spalancare le porte ai cinesi di Sinochem nel 2015, presentando la decisione come “una grande opportunità”. Nel 2018, nonostante la guerra commerciale in corso tra la Cina e gli Stati Uniti di Donald Trump, Tronchetti Provera ancora lodava il “meraviglioso matrimonio” tra Sinochem e Pirelli. Poi, nel 2023, di colpo, iniziò a presentare i cinesi come “pericolosi” e assertivi.
In dieci anni la Cina si è fatta più autoritaria, è vero: non sto negando che sia così né che oggi sia giusto lavorare per uno sganciamento da Pechino. Troppo spesso, però, la narrazione giornalistica fa passare l’idea che Pirelli sia stata predata da Sinochem, quando in verità è stato Tronchetti Provera a invitare i cinesi a entrare.
E non bisogna nemmeno dimenticare – prendo in prestito le parole di un vostro articolo – che “è stato anche grazie a Sinochem se Pirelli si è ripresa (nel 2015 il suo bilancio era in perdita); e di questa ripresa ha beneficiato economicamente anche lo stesso Tronchetti Provera, attraverso Camfin”.
Insomma, il problema di Pirelli con la Cina non nasce certo oggi, ma è vecchio di dieci anni. In tutto questo tempo, mai l’establishment – anche confindustriale – ha avuto da ridire, e anche adesso pare voler delegare la risoluzione al governo, anziché richiamare Tronchetti Provera alle sue responsabilità.
Non mi stupisco, sia chiaro: Tronchetti Provera ha un’influenza fortissima su Confindustria (quindi sul Sole 24 Ore, il principale quotidiano economico-finanziario italiano), e grazie a una squadra di acuti comunicatori riesce a influenzare il racconto dei giornali.
Un caro saluto,
Francis Walsingham