“Noi siamo e saremo sempre una prova di libertà”. E’ una delle frasi clou pronunciate da Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mfe-Mediaset, per salutare i dipendenti Mediaset
“Tutte le persone che gli hanno voluto bene si sono sentite toccate in qualche modo dalla sua generosità e grandezza, però ragazzi da stasera, da domani, noi facciamo un click e torniamo a essere un’azienda viva, piena di energia e forza, come è stata tutta la sua vita”, ha detto Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mfe-Mediaset, ha salutato i dipendenti che lo hanno aspettato nello Studio 20 di Cologno Monzese, dopo i funerali di Silvio Berlusconi, per fargli una sorpresa. “Papà – ha aggiunto Pier Silvio – era orgoglioso della nostra azienda, grazie. È come se vi avesse amato uno per uno. Da domani torniamo a essere quello che siamo sempre stati. Lui rimarrà sempre, sempre, sempre, nei nostri cuori. Continueremo a fare il nostro lavoro”. Infine, la parola più importante: “Noi siamo e saremo sempre una prova di libertà”.
Parole che tra molti addetti ai lavori milanesi significano soprattutto che Mediaset resterà della famiglia Berlusconi. Sarà così? E perché il primogenito di Silvio Berlusconi ha fatto trasparire anche questo messaggio?
Oggi i quotidiani del gruppo Gedi tornano sugli scenari post Cav per il gruppo Mediaset, tra le mire di Vivendi (qui l’approfondimento di Start Magazine) e le ambizioni di Cairo (qui l’approfondimento di Start Magazine).
“Di mezzo c’è l’editore del Corriere della Sera e di La7, quell’Urbano Cairo che ha mosso i primi passi proprio alla corte di Re Silvio. Le indiscrezioni circolano da settimane, lanciate dal sito Dagospia e nutrite da molti sussurri milanesi e non solo – ha scritto il quotidiano La Stampa – In sostanza, si sostiene, Cairo vuole Mediaset insieme con una cordata di imprenditori. In un colpo solo difenderebbe l’italianità della torre di Cologno, consentirebbe l’uscita dei francesi dal capitale (e ciò forse contribuirebbe pure a sbrogliare la matassa di Tim) e chiuderebbe il cerchio di una brillante carriera imprenditoriale. Ci sarebbero però ostacoli regolamentari. Per questo c’è chi sussurra che, pur di avere i canali del Biscione sarebbe pronto a vendere La7. Ma a chi? A Discovery, che – dopo aver bussato a sua volta a Cologno, ricevendone un «no, grazie» – potrebbe così allargarsi nell’etere italico. Cairo smentisce tutto, anche ieri a Class Cnbc ha definito lo scenario «una cosa totalmente fantasiosa, non c’è stato mai neanche un incontro sul tema. Stiamo parlando di fanta-televisione». Eppure un po’ ci gioca anche lui. Al recente festival della Tv a Dogliani, lo hanno sentito chiedere a una nota conduttrice tv: «Ma tu ti vedresti meglio su Canale 5 o a Rete 4?». Suggestioni? Possibile. Anche perché, almeno al momento, per chiudere qualunque affare manca un elemento piuttosto necessario: il venditore”.
Negli ultimi giorni Cairo – come ha rimarcato ieri Start Magazine – ha tentato di accreditarsi presso la famiglia e la politica come stampella necessaria in questo delicato momento di passaggio generazionale. Ma è in particolare – nella famiglia berlusconiana – il primogenito a contrastare le mire dell’editore di Rcs e La7. Scrive oggi il quotidiano Repubblica: “La narrativa circolata in ambienti romani riferisce di un Cairo che si fa promotore di un matrimonio Rcs-Mediaset grazie a un ipotetico accordo tra Marina Berlusconi e la premier Giorgia Meloni, volto a far diventare il polo editorial-televisivo che nascerebbe un punto di riferimento del governo di centrodestra. Con la ciliegina sulla torta della vendita de La7 al gruppo Discovery per evitare i paletti regolamentari dell’AgCom e per staccarsi dall’area politica della sinistra. Ma questa prospettiva, secondo fonti attendibili, non sta attecchendo né presso la famiglia Berlusconi né nell’entourage più stretto della Meloni. Anzi, l’ipotesi Cairo sarebbe stata accolta con stupore da Pier Silvio che, constatati i valori in campo (Mfe capitalizza 1,75 miliardi in Borsa mentre Rcs solo 376 milioni) avrebbe detto con una battuta ai suoi collaboratori che al massimo sarebbe Mfe a poter comprare Rcs e non viceversa. E a poco sembrano servire i messaggi lanciati da Cairo in Tv anche ieri, quando al Tg1 ha rivelato che a gennaio si è visto tre volte a cena con Silvio Berlusconi, forse nella ricerca di una investitura nella successione. Così come sembrano altrettanto fuori luogo le ipotesi di un nuovo avvicinamento del gruppo francese Vivendi a Mfe, dopo cinque anni di battaglie legali e uno di tregua. I francesi hanno ancora in portafoglio il 23% del capitale Mfe ma si sono impegnati a cederlo in presenza di determinati prezzi. Ciò non è ancora successo ma potrebbe accadere nei prossimi mesi e in ogni caso i vertici di Vivendi in Italia non sono ben visti dal governo Meloni a causa dello stallo nella partita Tim, dove fanno ostruzione alla vendita della rete allo Stato. Ieri si è avuta un’ulteriore riprova di queste frizioni con la mancata nomina nel cda Tim dell’uomo indicato da Vivendi, Luciano Carta, cha ha dovuto cedere il passo ad Alessandro Pansa proposto dalla Cdp e avallato dal cda. Dunque l’ipotesi più probabile, al momento, è che una volta conosciuto il contenuto del testamento di Silvio Berlusconi, e in mancanza di stravolgimenti negli assetti proprietari di Fininvest, Pier Silvio prosegua nella sua strategia europea, cercando l’affondo sulla partecipata tedesca. Contando sul fatto che ora non avrà più un marchio politico sulle spalle, come quando suo padre era in vita, elemento che aveva irrigidito le istituzioni teutoniche. E nella consapevolezza che sua sorella Marina non si metterà a far politica”.
Ma non c’è solo Cairo a mettere potenzialmente nel mirino Mediaset, ma un attuale azionista del gruppo fondato da Berlusconi ossia la francese Vivendi. Ha scritto Il Corriere della sera: “Fra gli addetti ai lavori e nelle ricerche degli analisti ricorre il nome di Vivendi che già nel 2016 aveva tentato una scalata ostile a Mediaset. Ne era scaturita una lunga guerra legale, conclusa nel maggio 2021 da un accordo con Fininvest. L’intesa prevede l’impegno di Vivendi a vendere progressivamente il 19,2% di Mfe per poi uscire del tutto dal capitale entro cinque anni. Il patto ha una condizione: che le azioni raggiungano una soglia di prezzo, variabile fra 1,375 e 1,55 euro. Oggi, le azioni A valgono circa 57 centesimi, le B meno di 76. Cedere a queste quotazioni comporterebbe una grossa perdita per Vivendi che nel bilancio ha iscritto i titoli dell’ex Mediaset a 1,85 euro. Risultato: a due anni dalla firma della pace, i transalpini sono saldamente il secondo azionista di Mfe con il 23,6% dei diritti di voto”.