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Perequazione

Riflessioni e conteggi sulla perequazione delle pensioni medio-alte

Tutti i danni storici fatti dai governi alle pensioni medio-alte. L'intervento di Carlo Sizia

Sono ormai 16-17 anni che il potere politico, con la complicità della Consulta, infierisce sulla rivalutazione annuale delle pensioni medio-alte, che evidentemente, così facendo, non riescono minimamente a mantenere la sostanziale invarianza del loro potere d’acquisto.

I CALCOLI

Entriamo nel merito, partendo come base dalla mia pensione, che può ben definirsi media per la categoria della dirigenza medica pubblica (non carriera all’apice, 22 dei 44 anni contributivi a tempo definito): tale pensione era (1/04/2007) di 75.793 € lordi/anno per 13 mensilità, quindi valore mensile lordo di 5.830 €.

Applichiamo ora a questo valore lordo mensile i criteri di cui alla legge 388/2000 (rivalutazione al 100% fino a 3 volte il minimo INPS; al 90% tra 3 e 5 volte il minimo; al 75% dell’indice Istat oltre 5 volte il minimo INPS). Questa è la rivalutazione “a scaglioni”, che garantiva almeno una rivalutazione piena su una quota-parte della misura di una singola pensione. Questo criterio, già non particolarmente favorevole, seguirò fino ad oggi, senza modificarlo nemmeno quando il Ministro Damiano, nel triennio 2008, 2009 e 2010, ha annullato la rivalutazione al 90% per gli importi di pensione tra 3 e 5 volte il minimo INPS per portarla al 100% come per le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS (L.127/2007), e neppure quando (dal 2020) la rivalutazione al 100% ha riguardato le pensioni fino a 4 volte il minimo INPS, anziché solo fino a 3 volte.

Naturalmente non ho calcolato le penalizzazioni che le varie leggi di bilancio hanno imposto nel 2008 alle pensioni oltre 8 volte il minimo INPS e nel 2012, 2013 e 2014 alle pensioni oltre 6 volte il minimo, ma ho applicato correttamente il valore del minimo INPS e del tasso di perequazione riconosciuto, già aggiornato col conguaglio negativo o positivo ed ho mantenuto fermo il valore della pensione nei 3 anni con svalutazione attorno allo zero (2016, 2017, 2021).

Questo sarebbe stato lo sviluppo della mia pensione senza gli “accanimenti” impostici dal 2008 ad oggi (anzi fino al 2024). Tra parentesi, dopo l’anno, è riportato il tasso di perequazione dopo conguaglio:

– 2008 (+ 1,7%)   : 5.912 €;                                                                –  2016 ( 0 %)   : 6.547 € ;

– 2009 (+ 3,2%)   : 6.068 €;                                                                –  2017 ( 0 %)   : 6.547 € ;

– 2010 (+ 0,7%)   : 6.103 €;                                                                –  2018 (+1,1%): 6.606 € ;

– 2011 (+ 1,6%)   : 6.183 €;                                                                –  2019 (+1,1%): 6.666 € ;

– 2012 (+ 2,7%)   : 6.321 €;                                                                –  2020 (+0,4%): 6.688 € ;

– 2013 (+ 3,0%)   : 6.478 €;                                                                –  2021 ( 0 %)   : 6.688 € ;

– 2014 (+ 1,1%)   : 6.536 €;                                                                –  2022 (+1,9%): 6.794 € ;

– 2015 (+ 0,2%)   : 6.547 €;                                                                –  2023 (+7,3%): 7.206 € ;

IL DANNO ALLE PENSIONI MEDIO-ALTE

Ora, se andiamo a prendere le mia pensione lorda mensile 2022 (€ 6.291) ed aggiungiamo per il 2023 (ma analogo criterio varrà il 2024) il 32% dell’indice di perequazione (che é del  + 7,3% provvisorio per il 2023 sulla base della svalutazione dei primi 9 mesi del 2022), come voluto dai tagli del Governo Meloni attraverso la legge di bilancio 197/2022 (cioè + 2,336% di aumento, quindi +147 € per un totale di 6.438 €), vediamo che mancano 768 € mensili (7.206 – 6.438), cioè – 12%, che moltiplicati per 13 mensilità fanno praticamente 10.000 € lordi/anno.

Questo è il danno storico consolidato, e che non può che aumentare finché vivrò, imposto alle pensioni medio alte dal 2008 al 2023; il danno 2024 non si può ancora calcolare, neppure da parte del Governo che tuttavia si è affrettato a stabilire che anche per il 2024 la rivalutazione si fermerà al 32% (per le pensioni oltre 10 volte il minimo INPS), anche se la inflazione previsionale 2023 non è ancora minimamente stimabile, e  fosse anche a due cifre, ma da cui dipenderanno le pensioni 2024 da perequare.

I danni storici sopra dimostrati sarebbero stati superiori se avessi applicato ai criteri della legge 388/2000 le migliorie transitorie introdotte dal Ministro Damiano nel triennio 2008-2010 per la rivalutazione delle pensioni tra 3 e 5 volte il minimo e , dal 2020, la rivalutazione al 100% delle pensioni fino a 4 volte il minimo, anziché solo fino a 3 volte.

LE COLPE DEL GOVERNO LETTA

Il grosso guaio per la rivalutazione delle nostre pensioni (ancor più che dal Governo Monti-Fornero) nascono dal Governo Letta (L.147/2013), dopo la quale dal 2014 al 2021, con l’unica eccezione del Governo Draghi (legge 234/2021 per il 2022), la rivalutazione è stata correlata all’importo complessivo del trattamento pensionistico, e con una unica percentuale sempre decrescente al crescere della misura della pensione,  per finire oggi (Governo Meloni) alla rivalutazione del 32% per le pensioni oltre 10 volte il minimo, quindi peggio del Governo Letta, che si era fermato al taglio del 40% oltre le 9 volte il minimo INPS, ma almeno quelli erano tempi a bassa inflazione.

La coincidenza del ripristino (dopo un solo anno dal recupero, da parte del Governo Draghi, del miglior criterio di indicizzazione a scaglioni) del ben più penalizzante criterio della legge Letta anzidetta (specie per le pensioni di maggior importo) in costanza di una svalutazione 2022 quasi 4 volte superiore alla svalutazione 2021, ci rafforzano nella convinzione che il legislatore odierno, nell’ultima legge di bilancio, volesse non già difendere il potere d’acquisto delle pensioni medio-alte dagli insulti inflattivi, ma imporre su di esse un prelievo improprio, se non vogliamo chiamarla tassazione, infatti del prelievo tributario legittimo (art 53 della Costituzione) non possiede i requisiti richiesti di universalità del prelievo e la proporzionalità dello stesso: si distribuiscono infatti da un lato favori quasi fossero diritti e dall’altro si negano diritti veri, acquisiti, consolidati, pagati, sudati. Come pensare che non si vada sempre alla ricerca di “un voto in cambio”, blandendo le categorie più numerose?

E che senso ha: a) infierire sulla categoria fiscale cui apparteniamo (mediamente oltre 55.000 € lordi anno di reddito, per intenderci oltre 8 volte il minimo INPS), gratificata, si fa per dire, dal 37% o dal 32% della rivalutazione riconosciuta sulla base della svalutazione accertata, che rappresenta quasi il 5% di tutti i contribuenti italiani, ma sostiene già quasi il 40% del gettito IRPEF totale (rapporto 1 : 8), senza essere stata minimamente toccata dai benefici della riforma  Draghi delle aliquote IRPEF?; b) attribuire ai pensionati tra 4 e 5 volte il minimo la rivalutazione dell’85% nel biennio 2023-2024 (+ 6,205%) ed ai pensionati tra 5 e 6 volte il minimo il 53% (32 punti in meno, cioè + 3,689%), col risultato che chi aveva 2.600 € mensili lordi nel 2022 si troverà ad avere, nel 2024, 2.932 € mensili, e chi aveva 2.700 € nel 2022, ad averne nel 2024 solo 2.902 (30 € in meno mensili), naturalmente perdurando elevata inflazione (ma, per intanto, nel 2023, ci sarà ancora un conguaglio positivo)?

LE PENSIONI PERDONO IL RAPPORTO CON IL LAVORO E LA RETRIBUZIONE

In questo modo la pensione perde il rapporto col lavoro (sua quantità e qualità), colla retribuzione, colla contribuzione previdenziale, a dispetto di decine di sentenze della Consulta che qualificano la pensione come “retribuzione differita”; c) dire che le pensioni medio-alte sono “meno toccate” dall’inflazione quando: vengono indicizzate secondo criteri penalizzanti, i loro titolari pagano tasse più elevate, sono ugualmente fragili per età ed invalidità, sostengono il welfare (inadeguato) di figli, nipoti e parenti vari, restituiscono allo Stato, od alle sue articolazioni periferiche (addizionali), dal 35 al 40% dell’importo della loro pensione, è più facile che acquistino beni e servizi gravati da aliquote IVA al 22%, piuttosto che al 4, 5, 10%?

Ma torniamo ai numeri: la mia pensione, che nel 2007 era 13,63 volte il minimo INPS è già scesa nel 2023 a 12,25 volte il minimo, e scenderà ancora  tale indice nel 2024. Tuttavia alla svalutazione di fatto delle pensioni medio-alte concorre in modo determinante anche il tradizionale criterio di “calmierazione” della perequazione di cui alla legge 388/2000 e successivi ritocchi (rivalutazione a scaglioni: +100% fino a 3 o 4 volte il minimo; + 90% tra 3 o 4 volte il minimo fino a 5 volte il minimo; + 75% oltre le 5 volte). Tale criterio (migliore comunque di quello della legge Letta) tuttavia non regge in periodi di alta inflazione, infatti la più parte della misura complessiva delle pensioni medio-alte ricade nella rivalutazione del 75%. E così la rivalutazione complessiva per le pensioni 10 volte il minimo (5.253 € mensili lordi) si ferma all’85% (-15%), quelle 15 volte il minimo (7.780 €) all’82% (-18%), quelle 20 volte il minimo (10.500 €) all’80% (-20%).

Quindi se alla perdita (sottostimata) della mia pensione (- 12%), dovuta alle scorribande dei legislatori delle leggi di bilancio (13 volte negli ultimi 17 anni), aggiungiamo la perdita di indicizzazione della legge 388/2000 anzidetta (nel mio caso: – 17%) rispetto agli indici di perequazione indicati, arriviamo al – 29%. Ma molto di più hanno perso quanti hanno avuto più meriti, hanno fatto più carriera, hanno pagato più contributi, hanno patito anche l’esproprio del contributo di solidarietà. La perdita del potere d’acquisto delle pensioni di tali Colleghi, con anzianità pensionistica simile alla mia, si aggira oggi tra il 40 ed il 45%. Ecco perché non regge l’attuale sistema di perequazione.

Gli unici tutelati, anche negli anni difficili della congiuntura economica (dal 2008 ad oggi), sono stati i titolari di pensioni fino a 3 volte il minimo (fino a 4 volte dal 2020).

Se le nostre pensioni non sono ancora crollate, non lo si deve all’accortezza e lungimiranza del legislatore, ma al fatto che negli ultimi 13 anni, dal 2010 a 2022, la svalutazione è stata bassa, con l’unica punta al 3% nel 2013, e con 3 anni a svalutazione attorno allo zero.

I PROVVEDIMENTI DANNOSI DI GOVERNO E PARLAMENTO

Tuttavia i provvedimenti assunti da Governo e Parlamento a danno a dei titolari di pensioni medio-alte sono gravi (specie quelli della legge 197/2022) perché determinano effetti strutturali, permanenti e crescenti alle nostre pensioni, visto che  anche le indicizzazioni future saranno applicate ad importi ridotti, a maggior ragione quando i tagli sono ripetuti nel tempo, direi con accanimento, cosa che la Consulta aveva ripetutamente ammonito dal non continuare a fare, per non privare anche le pensioni di maggiore importo della tutela dai danni inferti dai fenomeni inflattivi.

Speriamo prossimamente che la Corte, visto che i suoi avvertimenti non sono stati recepiti, decida questa volta di non “far finta di non vedere”.

Precedendo invece senza efficaci correttivi, il potere d’acquisto delle pensioni medio-alte si dimezzerebbe in 10-15 anni, in periodi di alta inflazione, od in 15-20 anni, in periodi di bassa inflazione, ed in tal caso bisognerebbe solo sperare di “vivere poco”.

Naturalmente Governo e Parlamento possono continuare ad investire in redditi senza lavoro, od in pensioni senza contribuzioni, ma le nozze coi fichi secchi riescono male e lasciarsi trasportare da demagogia, populismo, provincialismo, non porta fortuna. Bisogna comunque agire, in tal caso, attraverso i canali assistenziali attingendo dalla fiscalità generale e distinguendo, a partire dai bilanci INPS, ciò che attiene all’assistenza e quanto compete alla previdenza.  Nell’attuale caos, la discrezionalità politica genera solo abusi.

Ricordiamo infine al Presidente Meloni  che anche il consenso, come il valore della moneta, è volubile, basta ricordare il percorso a ritroso di Berlusconi, Renzi, Grillo-Conte, Salvini, Letta, ecc., tuttavia tanti auguri e buon lavoro, ma con prudenza e studiando i problemi e valutando preventivamente le conseguenze dei provvedimenti che si intendono assumere.

– Leggi anche: Tutte le novità sulle pensioni spiegate da Cazzola

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