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Perché Weidmann molla la Bundesbank. Che cosa si mormora in Germania

Prime reazioni di stampa e partiti in Germania dopo la decisione del falco Weidmann di abbandonare la Bundesbank e dunque anche il consiglio direttivo della Bce. E proprio alle politiche espansive dell'Istituto centrale con sede a Francoforte si devono le dimissioni di Weidmann...

Lascia il super falco: Jens Weidmann abbandona la Bundesbank. “Sono convinto che dopo più di dieci anni sia arrivato il momento giusto per aprire un nuovo capitolo, per la Bundesbank e per me stesso”, ha scritto Weidmann ai dipendenti della Banca centrale tedesca informandoli della sua decisione, comunicata contemporaneamente anche ad Angela Merkel, al presidente Frank-Walter Steinmeier, al ministro delle Finanze (e futuro cancelliere) Olaf Scholz e alla presidente della Bce Christine Lagarde.

Rinuncia ad altri sei anni di incarico – nel 2019 gli era stata concessa una proroga di otto anni – e naturalmente anche al posto nel consiglio direttivo della Bce.

I quotidiani tedeschi speculano sui motivi di quella che ufficialmente appare una scelta per motivi privati. C’è chi sostiene che il cambio politico che si annuncia nel paese, con l’arrivo di un governo di centro-sinistra con socialdemocratici, ecologisti e liberali, può aver giocato un ruolo non secondario. Ma dall’entourage di Weidmann arriva l’assicurazione che la decisione è avvenuta prima del voto e che lo stesso presidente dimissionario ha voluto personalmente assicurare a Scholz che il cambio di governo non c’entra nulla.

Molti sostengono dunque che la ragione principale sia la frustrazione per la politica monetaria espansiva che la Banca centrale europea sta portando avanti da molti anni, troppi per Weidmann. Digeriti i programmi straordinari varati da Mario Draghi ai tempi della crisi dell’euro con l’obiettivo di salvare la moneta unica, tali politiche sono proseguite con Christine Lagarde, giustificate dalla necessità di contrastare la crisi della pandemia. E non sembrano avere ancora una data di scadenza, nonostante le fiammate dell’inflazione, che Weidmann non considera affatto temporanee, suggerirebbero un cambio di rotta.

“Chi lo conosce bene sa che la sua decisione non va interpretata come una diserzione, ma come un segnale di frustrazione verso gli sviluppi della politica monetaria”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, “ e come espressione della preoccupazione che la Bce non frenerà più con la sua politica monetaria”. Il quotidiano della piazza finanziaria tedesca (che è anche sede della Bce) attacca frontalmente Lagarde: se di fronte alla probabilità che il tasso di inflazione tocchi il 5% in Germania la presidente della banca centrale europea risponde che la sua preoccupazione è legata al fatto che il prossimo anno potrebbe invece essere troppo bassa, è legittima l’impressione che lei sia “lontana dai timori della gente comune”.

La maggioranza dei membri del consiglio direttivo della Bce sembra interessata solo a proseguire gli ampi acquisti di titoli di Stato anche dopo la pandemia, prosegue la Faz. Weidmann non è solo con le sue preoccupazioni su questo andazzo, ma rappresenta solo una minoranza nel consiglio: “Chiunque sospetti che il ritiro di Weidmann sia dovuto alla delusione per il mancato sostegno di Berlino alle sue posizioni, non sbaglia”.

Per i sostenitori del rigore non sono tempi fortunati, e l’addio del capo della Bundesbank è un segnale di allarme e una fonte di timori anche con riferimento alle consultazioni bruxellesi sul patto di stabilità. La Frankfurter conclude: “Chiunque segua gli attuali dibattiti su un ammorbidimento dei criteri di stabilità finanziaria nell’Unione Europea e le possibilità di un’elusione creativa del freno all’indebitamento sospetta che la Bce dovrà essere pronta in futuro ad acquistare, se necessario, grandi partecipazioni di titoli di stato. Vista la situazione internazionale, si potrebbe dire che un simile intreccio di politica monetaria e finanziaria è in linea con i tempi. Ma non si adatta, e non solo per ragioni costituzionali, alla tradizione bancaria cui Weidmann si sente obbligato”.

Anche per l’Handelsblatt le motivazioni vanno trovate a Francoforte, sponda Bce. La Banca centrale europea è a un bivio, scrive il quotidiano economico: manterrà la flessibilità attuale anche in futuro o tornerà alle vecchie regole che fissavano una maggiore separazione fra politica monetaria e finanziaria? “La preoccupazione che qui venga presa la decisione sbagliata ha contribuito all’addio di Jens Weidmann alla carica di presidente della Bundesbank”, risponde l’Handelsblatt, che ritiene sia giunta l’ora di uscire dalla politica emergenziale: la flessibilità è stata giusta durante la pandemia, per evitare difficoltà a paesi fortemente indebitati, ora bisogna cambiare registro.

Le dimissioni annunciate di Weidmann piombano come una bomba all’avvio delle consultazioni per la formazione del nuovo governo tedesco. Temi delicati, proprio sul versante finanziario, non mancano, ora si aggiunge il caso Weidmann e le questioni di fondo che pone. Ai ringraziamenti di prammatica di Scholz si contrappone la volontà dei liberali (che difendono a spada tratta le posizioni della Bundesbank) di porre la nomina del successore sul tavolo delle trattative. Trecento esperti prenderanno parte ai diversi tavoli di lavoro, ma quello sui temi di bilancio e finanza sarà il tavolo più rovente.

Da un lato i liberali, difensori della tradizione rigorista della Bundesbank, dall’altro i Verdi, che con il co-presidente Robert Habeck mettono in chiaro da che parte stanno: “grande rispetto” per il lavoro svolto da Weidmann, ma “per il futuro c’è bisogno di una Bundesbank che agisca all’altezza delle sfide del tempo”. In mezzo Olaf Scholz, che per veder nascere il suo governo dovrà a un tempo mostrare capacità di mediazione e di leadership.

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