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Perché vedo troppi trionfalismi (anche di Gualtieri) sull’effettivo impatto della golden rule verde

Il ministro Gualtieri, nell’incontro di Helsinki, ha riproposto il tema della golden rule (scorporo gli investimenti dalle regole del Patto) colorandola di verde. Bene. Ma questo programma riguarda un domani inafferrabile. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Le notizie filtrate il giorno dopo sullo scontro, che si è avuto nel board della Bce, hanno un contenuto di verità, che è superiore a qualsiasi indicatore economico. Quando Jens Weidmann e Klaas Knot, rispettivamente presidente della Bundesbank e della Banca centrale olandese sono rientrati nelle rispettive capitali, le polemiche sono riprese.

“Ha oltrepassato il limite. – ha chiosato il primo – Un pacchetto di tale portata non era necessario”. Sulla stessa lunghezza d’onda il secondo: misure “sproporzionate”. La guerra con il presidente della Bce, come risulta da queste dichiarazioni, a quanto pare “continua”. Ciò che gli viene contestato è la nettezza con cui ha prospettato la necessità che “gli Stati con spazio di bilancio” lo debbano “usare per contrastare il rallentamento dell’economia”. Regola di buon senso: verrebbe da dire, se non si scontrasse con l’ortodossia di una visione economica, come quella tedesca (soprattutto), figlia di un’antica paura. Ma anche giustificazione postuma di un proprio spazio di potere.

Sui termini usati, tuttavia, bisogna intenderci. Che significa “spazio di bilancio”? Secondo l’”Alert Mechanism Report 2019”, che fotografa gli squilibri macroeconomici dei Paesi membri dell’Ue, la Germania ha un rapporto debito pubblico-Pil pari al 63,9 per cento ed un debito privato del 100,1 per cento del Pil. In Olanda, questi stessi valori sono rispettivamente pari al 57 ed al 252,1 per cento. Stando quindi alle regole di Maastricht questi spazi sarebbero quasi inesistenti. Qualcosa potrebbe fare l’Olanda, mentre in Germania si dovrebbe pensare ad un’ulteriore contrazione del debito. Sbaglia, quindi, Mario Draghi nella sua diagnosi?

Il fatto è che quelle regole sono già morte. Anche se nessuno se la sente di stilare il relativo certificato. In una crisi, dalle caratteristiche inesplorate (terra incognita, come disse lo stesso Draghi), quel che oggi conta sono gli squilibri macroeconomici dei singoli Paesi. Ed è allora che si ritrova il senso più profondo dell’esortazione del presidente della Bce. Nella media del passato triennio (2015-2017) l’attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti dei due Paesi è stato rispettivamente pari all’8,4 e all’8,3 per cento del Pil. Eccesso di risparmio che non ha trovato contropartita nella crescita della domanda interna: consumi più investimenti.

Le ragioni di Mario Draghi sono, quindi, ineccepibili. Ma per l’Italia? Anche in questo caso quello squilibrio è evidente, seppure più contenuto. È quotato, nella media del triennio, al 2,3 per cento. Ma con una macroscopica aggravante: un tasso di disoccupazione della mano d’opera pari all’11,6 per cento. Quando a Berlino si è al 4,2 per cento, ed in Olanda al 5,9 per cento. Se misure espansive di carattere pro growth servono nella Mitteleuropa, che proporre ai milioni di disoccupati italiani?

Certo i problemi del Bel Paese sono diversi. Senza le necessarie riforme, il suo mercato non è in grado di produrre più di quanto realizza. Ma non per questo ci si deve arrendere. Il ministro Gualtieri, nell’incontro di Helsinki, ha riproposto il tema della golden rule (scorporo gli investimenti dalle regole del Patto) colorandola di verde. Ci si figuri a non essere d’accordo. Sarebbe come bestemmiare in chiesa. Ma questo programma riguarda un domani inafferrabile. Si decide oggi, se si decide, e si comincia a lavorare realmente tra quattro o cinque anni. Indicare una quota permanente del Pil da destinare agli investimenti è cosa buona e giusta per consentire al mercato di organizzarsi. Ma non morde sulla congiuntura di breve periodo.

Con la stessa determinazione il ministro ha escluso ogni riferimento alla Flat tax. Si può convenire. Formula, da sempre, almeno per quel che ci riguarda, poco attrattiva. Ma questo non esclude la necessità di una riforma fiscale che non si limiti solo alla riduzione del cuneo fiscale (di nuovo gli 80 euro di Renzi?). Questa formula riduttiva, secondo le indicazioni della stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, va superata in un contesto più organico. Che non miri solo al riequilibrio sociale. Certo anche a quello, ma soprattutto ad un rilancio generalizzato dell’economia e della società italiana. Che è l’unica soluzione per combattere, alla radice, quei fenomeni di esclusione sociale che ne sono la relativa derivata.

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