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Perché Trump colpisce i paesi asiatici e come passa all’incasso con i dazi

Obiettivi, numeri e scenari sull'ultima sventagliata di dazi di Trump a 14 stati

La nuova scadenza è il 1° agosto, giorno in cui per diversi paesi scatteranno – a quanto pare – i dazi, dal 25% in su. Donald Trump ha dato vita a una nuova fase della guerra commerciale con alleati e nemici, inviando a 14 paesi delle lettere condite da minacce, con le varie informazioni riguardo le tariffe che saranno applicate non più a partire dal 9 luglio ma dal prossimo mese. E i più colpiti sono i paesi asiatici, con Giappone e Corea del Sud, in teoria due Stati amici, che rischiano il 25% dei dazi sul loro export verso gli Stati Uniti. Altri addirittura il 40%.

L’OBIETTIVO DI TRUMP

Nelle missive spedite, il presidente americano ha comunque aperto alla possibilità di ulteriori negoziati per stringere un accordo. Perché alla fine l’obiettivo è quello: firmare un’intesa che metta nero su bianco un aumento – anche se non così eclatante come quello minacciato – delle tariffe per i paesi messi nel mirino. E che quindi fissi un guadagno per Washington. “La scadenza sarà definitiva?”, è stato chiesto a Trump. “Direi che è definitiva, ma non definitiva al 100%. Se ci chiamano e dicono ‘vorremo fare qualcosa di diverso’, saremo aperti a farlo”, ha risposto in maniera emblematica l’inquilino della Casa Bianca.

LE LETTERE CONTROVERSE

Il testo delle lettere spedite inizia come se fosse un favore degli Stati Uniti ai paesi. Per esempio, nel caso di quella inviata a Seul, Trump spiega che la lettera “dimostra la forza e l’impegno delle nostre relazioni commerciali e il fatto che gli Usa abbiano accettato di continuare a collaborare con la Corea”.

“Non verrà applicato alcun dazio se la Corea, o le aziende coreane, decideranno di produrre o fabbricare beni direttamente negli Stati Uniti”, si legge ancora nel documento. Però poi continua: “Se per qualsiasi motivo la Corea decidesse di aumentare i propri dazi, tale aumento verrà aggiunto al 25% che applichiamo noi”.

PERCHÉ TRUMP HA PUNTATO I PAESI ASIATICI CON I DAZI

Le lettere, per adesso, sono state spedite oltre che al Giappone e alla Corea del Sud, anche a Malesia, Myanmar, Laos, Kazakistan, Sudafrica, Indonesia, Bangladesh, Thailandia, Cambogia, Serbia, Tunisia e Bosnia-Erzegovina. L’accusa mossa da Trump è che gli Usa, con questi paesi, abbiano un deficit commerciale troppo alto. Ovvero, Washington compra di più da queste nazioni rispetto a quanto le aziende americane esportino in quei luoghi.

Non è un caso che di questi primi 14 paesi, molti siano asiatici. Trump non vuole risparmiare nessuno. Giappone e Corea del Sud sono rispettivamente il sesto e settimo partner commerciale degli Stati Uniti. Tokyo, con il premier Shigeru Ishiba, ha convocato una task force del governo per capire come reagire. Seul ha aperto alle trattative, avvertendo comunque di essere pronta a prendere “misure immediate e coraggiose” se si fossero verificati pesanti contraccolpi sui mercati.

Ma paesi come il Laos o il Myanmar rischiano addirittura il 40% dei dazi sul loro export, la Cambogia e la Thailandia il 36%. Secondo alcune analisi, Trump ha puntato l’Asia e il sud-est asiatico non solo per le relazioni commerciali con gli Usa, ma anche perché sono i paesi economicamente più legati alla Cina. E quindi è un modo per Washington di colpire indirettamente gli affari di Pechino. Il rischio, però, è che poi questi paesi si rivolgano ancor di più alla Cina.

IL RITORNO ECONOMICO DEI DAZI PER GLI STATI UNITI

Ad ogni modo, dietro c’è anche una questione di ricavi diretti da parte degli Usa. Secondo alcuni dati pubblicati dal Financial Times, infatti, gli Stati Uniti avrebbero incassato solo nel mese di maggio – il primo con in vigore i dazi al 10% su tutti i paesi – 24,2 miliardi di dollari. Numeri elaborati dai dati dello Us Census Bureau. “Un valore, quello delle entrate tariffarie di maggio, che è quasi quattro volte tanto rispetto a un anno prima e che rappresenta un aumento di oltre il 25% rispetto ad aprile”, sottolinea il Corriere della Sera.

Cifre che quindi sembrano spiegare la decisione di Trump di scatenare una guerra commerciale con tutto il mondo. Solo che nel computo finale bisogna tenere conto anche di altri aspetti economici, non solo quello degli incassi diretti dai dazi. Quelli che erodono di molto le entrate. A partire dall’aumento dei prezzi dei beni, con una possibile conseguente inflazione. Senza menzionare le fluttuazioni dei mercati.

Per esempio, i titoli americani hanno reagito negativamente all’annuncio delle lettere inviate da Trump. “Ci sarà molta volatilità man mano che i titoli inizieranno a emergere, man mano che usciranno altre lettere di questo tipo e man mano che le negoziazioni entreranno nel vivo prima della scadenza del 1° agosto”, ha dichiarato a Reuters Tapas Strickland, responsabile dell’economia di mercato presso la National Australia Bank.

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