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Oro Dollaro

Perché oro e dollaro non balleranno

Quali sono le ripercussioni nel settore economico-finanziario causate dal Covid-19? Ci sarà una limitazione del libero mercato eun ritorno dello state capitalism? E cosa succederà a oro, dollaro e Cina?

Localizzazione & capitalismo di Stato (di Steen Jakobsen)

Dopo un lungo periodo di circa tre decenni di globalizzazione ed interconnessioni, il mondo si sta preparando ad un periodo di de-globalizzazione nel quale gli Stati cercheranno di rendersi quanto più possibile autosufficienti.

Come conseguenza della self-sufficiency, potrebbero aumentare di molto i costi marginali, fino a superare la produttività marginale. Questo comporta un inevitabile aumentano dei prezzi reali, non solo attraverso l’inflazione.

Si potrebbe assistere ad una sostanziale limitazione del libero mercato.

Molti Stati nazioni potrebbero spendere più del 50% del loro GDP per fronteggiare la crisi attraverso prestiti diretti ed indiretti e bailouts.

Dato il forte impatto dei danni causati dal Covid-19, il principale problema che viene posto è su come debba essere fronteggiata la crisi, e tendenzialmente nel migliore dei casi ci sarebbe una sospensione di una market based economy, nel peggiore di una sua sostituzione con lo state capitalism. Questa strategia naturalmente non potrebbe mai risultare come vincente in quanto avremmo piuttosto bisogno di un approccio globale e non di “my state first”.

Il momento complesso dei mercati mentre il mondo prova a ripartire (di Peter Garnry)

Durante il Q2 si è visto come la politica monetaria espansiva abbia supportato l’andamento dei mercati e di come sia emersa maggiore speculazione e “spirito animale”.

Il VIX (indice della paura) continua a suggerire che siamo ancora in un bear market in quanto, da quando ha superato la soglia dei 22, non è mai tornato indietro.

Gli equity returns sono negativi e l’attuale rischio-rendimento non è attraente. Esiste infatti un 33% di probabilità che gli equity investors vedranno un rendimento reale negativo nei prossimi 10 anni.

Il fatto che non ci siano alternative migliori d’investimento, dovuto anche al maggiore controllo della yeld-curve da parte delle autorità, potrebbe comunque giocare un ruolo a favore per l’equity (come lo è stato negli USA nel periodo 1942-51) ma è appunto da contestualizzare in base ai diversi Stati.

I tassi di interesse negativi sono assolutamente poco produttivi e generano misallocation dei capitali e del lavoro, non favorevole per il futuro.

Potrebbe essere un buon momento per comprare azioni europee per una serie di motivazioni tra cui il fatto che sono tendenzialmente sottovalutate rispetto a quelle americane, puntano di più sul green ed in generale sugli investimenti tematici e sostenibili, si stanno focalizzando sul settore healthcare e stanno anche entrando bene nell’IT.

Gold potrebbe andare bene in questa situazione macroeconomica ma bisogna fare attenzione agli investimenti nelle gold miners.

Il dollaro è ancora il centro di gravità (di John J. Hardy)

Nonostante possa sembrare che siamo in fase di ripresa e che ci sia stata una fine del ciclo negativo, per gli analisti non sembra così tanto probabile. Da questo momento in poi si potranno vedere effettivamente gli effetti delle varie politiche e capire se le manovre mirate al salvataggio di “qualsiasi cosa” porteranno ad una zombiefication di alcune società.

Non ci sono buone previsioni per il Q3 riguardo la solvibilità, anche perché nonostante gli acquisti massici da parte delle banche centrali di titoli, le relative società sottostanti sono ancora limitate nel poter valutare i danni che hanno subito in seguito a questo shock, che non si tratta appunto di una sola crisi di liquidità. Le banche centrali possono essere capaci di comprare i corporate bonds ma non possono prevenire le dichiarazioni di fallimento di società che vogliono ristrutturare il loro debito.

Essendo il dollaro ancora al centro della gravità, perché viviamo in un mondo sommerso da debiti denominati con questa moneta, per poter avere un recupero duraturo sarebbe necessaria una sua svalutazione in termini reali e relativi. All’aumentare del rischio di insolvenza e dei defaults sembrerebbe essere una manovra necessaria, anche se non capita qualcosa di simile dal secondo dopoguerra e dal Gold Reserve Act del 1934.

Le elezioni negli USA potrebbero anche contribuire, come solitamente è accaduto, a cambiare le “regole del gioco”. Ad esempio, Joe Biden, come presidente, potrebbe portare maggiore tassazione, maggiore attenzione alla sostenibilità ed altri fattori che limiterebbero l’operato di alcune imprese americane e quindi l’attrattività dei relativi assets. Inoltre, potrebbe esserci un aumento dell’inflazione dovuto a maggiore spesa pubblica in infrastrutture, salute ed altre aree.

Le valute degli Stati con maggiore repressione finanziaria potrebbero avere le maggiori difficoltà, mentre le economie con maggiori potenzialità per quel che riguarda le commodities potrebbero avere la meglio.

Durante il Q3 si potrebbe anche capire il comportamento dell’Europa per quel che riguarda la solidarietà che andranno a mostrare e se le loro promesse saranno effettivamente rispettate, anche in termini di quanto stanzieranno per poter fronteggiare le criticità, in quanto finora il budget sembrerebbe modesto rispetto all’entità della crisi.

Terzo trimestre: l’oro sempre protagonista (di Ole Hansen)

Mentre nel secondo trimestre il problema principale era quello di “spegnere i fuochi” e prevenire un totale collasso dei mercati, nel Q3 si valuteranno effettivamente gli impatti e partirà il lavoro di ristrutturazione.

Protagonista del terzo trimestre potrebbe essere l’oro in quanto ci sono diverse ragioni che mostrano una sua possibile ascesa ad almeno $1800/oz e massimi storici nei prossimi anni.

Il prezzo del petrolio resta incerto dati i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, ad esempio, per il modo di muoversi, per la riduzione dei viaggi, ma anche nelle fasi di acquisto, che vede appunto un aumento degli acquisti online.

L’Europa al bivio tra dubbi e necessità di riforme (di Christopher Dembik)

L’Europa mostra troppa dipendenza nei confronti del resto del mondo, in particolare verso l’Asia e la crisi è stata un campanello d’allarme. La dipendenza è in particolare collegata alla produzione di attrezzature e devices medici oltre che per alcuni principi attivi medicinali. Dunque, l’Europa dovrebbe concentrarsi su una riallocazione interna di alcune attività economiche e sulle politiche industriali ma non è chiaro se è effettivamente pronta a questo, anche perché tutto si rifletterebbe sui consumatori soprattutto se non vengono sfruttate bene le economie di scala. Non sembra si stia muovendo in questa direzione.

The Great Rewind (di Eleanor Creagh)

Nonostante sia chiaro che la cooperazione mondiale potrebbe essere un buon punto di partenza per la risoluzione di alcuni problemi, sembrerebbe che la crisi abbia solo accentuato il preesistente trend di de-globalizzazione e di sentimento nazionalista.

Le limitazioni al libero mercato, l’indipendenza delle banche centrali ed il rallentamento della crescita stanno contribuendo alla fragilità del mercato. Dopo decenni di interconnessione, essendo affiorati i rischi dovuti ad un’interruzione della supply chain, le imprese dovranno cambiare in parte il loro business per mostrare più resilienza, partendo anche dalla risoluzione dei problemi di decentramento della produzione.

L’Australia si sta muovendo in questa direzione, essendo una piccola economia aperta con alti costi di energia e lavoro ed un settore manifatturiero obsoleto. Si sta concentrando nel supportare i businesses locali e nella creazione di lavoro, oltre che porre particolare attenzione agli investimenti nelle energie rinnovabili (data anche la loro esperienza di disastro ambientale). La prevenzione potrebbe essere tipicamente migliore della cura, ma nel caso australiano la cura potrebbe avere un impatto maggiore in questa situazione di “montagne di corporate debt, società zombie e calo della produttività”.

Le ipotesi alla base dei prezzi degli assets stanno modificando, quindi ci sono cambiamenti nelle assunzioni e quindi anche nella costruzione dei portafogli. L’incremento degli investimenti in infrastrutture locali, il cambiamento climatico, la sostenibilità e l’investimento in strutture mediche presentano buone opportunità all’interno del mondo delle azioni. Focus sulla diversificazione del portafoglio orientata verso metalli preziosi, investimenti alternativi e beni reali.

Trump & Covid-19, ovvero le fortune della Cina (di Kay Van-Petersen)

Sconvolgente disconnessione tra i danni che abbiamo visto a livello globale (economici, sociali e politici) e la risposta dei mercati (alcuni indici come NASDAQ hanno registrato i loro massimi storici).

Non bisognerebbe quindi utilizzare il livello dei prezzi delle azioni per valutare i fondamentali dei sottostanti, anche perché non bisogna sottovalutare i rischi di una seconda ondata di contagi e lockdowns.

La liquidità è il driver principale dei prezzi in salita, quindi ad un certo punto ci potrebbe essere una inversione di rotta, che può avvenire tra 6-18 mesi come anche tra anni.

Trump e Covid-19 potrebbero risultare in maniera sorprendente le migliori cose accadute alla Cina in quest’ultimo periodo in quanto sta affrontando con perseveranza diverse challanges.

Potrebbe avanzare molto per quel che riguarda le infrastrutture tecnologiche, il miglioramento della bilancia commerciale (cercando di non essere più export-dipendente) ed aprirsi maggiormente al mercato.

La de-globalizzazione potrebbe condurre anche a maggiori innovazioni in generale, in quanto i minori costi dovuti al decentramento della produzione hanno da sempre ostacolato le scelte di innovare per poter ottenere maggiori profitti.

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