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Recessione

Perché negli Stati Uniti non ci sarà una recessione

Che cosa succederà all'economia degli Stati Uniti secondo Mark Dowding, CIO di BlueBay Asset Management

 

La scorsa settimana i timori relativi alla crescita hanno continuato a pesare sul sentiment, sulla scia dei deboli aggiornamenti sugli utili nel settore dei beni di consumo discrezionali. Ciò si è aggiunto ad ulteriori segnali di un continuo calo della fiducia economica a fronte dell’aumento dei prezzi e di una politica più restrittiva.

Di certo, la compressione del costo della vita sta agendo per limitare la spesa dei consumatori, anche se negli Stati Uniti la robusta crescita dei redditi e dell’occupazione (unita alla solidità dei bilanci dei consumatori e delle imprese) dovrebbe contribuire ad attutire l’impatto di questo fenomeno in misura molto maggiore che altrove.

Nel frattempo, il forte calo delle vendite di nuove case negli Stati Uniti questa settimana è stato visto in connessione con un calo sostanziale delle richieste di mutui, in seguito all’aumento dei tassi ipotecari dal 3,25% al 5,5% dall’inizio dell’anno. Tuttavia, riteniamo che sarebbe sbagliato diventare troppo ribassisti sul settore immobiliare.

In parte, pensiamo che i dati sulle vendite riflettano una carenza di scorte e che il calo delle richieste di mutui sia esacerbato da un improvviso calo delle richieste di rifinanziamento dei mutui esistenti per ottenere tassi più bassi. I dati sui prezzi delle case e sull’attività della National Association of House Builders rimangono solidi, anche se si sono allontanati dai massimi recenti.

In questo contesto, le informazioni in arrivo dai settori economici sensibili ai tassi d’interesse sono coerenti con un rallentamento della crescita rispetto ai livelli elevati, piuttosto che con un’improvvisa ondata di recessione.

Continuiamo a ritenere che una recessione negli Stati Uniti sia più uno scenario di rischio che una tesi centrale e attribuiamo una probabilità di tale esito pari a circa un terzo nei prossimi 18 mesi. Le condizioni finanziarie si sono notevolmente inasprite negli ultimi mesi, pur rimanendo vicine alla loro media di lungo periodo e sembrerebbero tutt’altro che restrittive.

Di conseguenza, una moderazione dell’attività è esattamente ciò che ci si dovrebbe aspettare e la Fed probabilmente la accoglierà con favore. I policymaker si augurano che il mercato del lavoro possa essere in qualche modo alleggerito, attenuando le recenti pressioni al rialzo sui salari, che rischiano di creare un impatto secondario sull’inflazione.

Più avanti vedremo i dati sull’inflazione core PCE (Personal consumption expenditures). Si tratta della misura dell’inflazione preferita dalla Federal Reserve, e un ritorno al di sotto del 5% sarà il benvenuto – anche se sembra che il FOMC dovrà attendere altri 12 mesi prima di tornare al di sotto del 3% e poter rinunciare a un ulteriore aumento dei tassi.

In effetti, il rischio di recessione che vediamo è legato a un’inflazione più persistente e alla necessità per la Fed di portare i tassi al 4% o oltre. Riteniamo che ciò sarebbe sufficiente a provocare una recessione, in quanto crediamo che la Federal Reserve debba dare priorità all’inflazione rispetto alla crescita per il momento, finché l’indice PCE core rimane al di sopra del 3%. La Fed è desiderosa di ripristinare la stabilità dei prezzi il più rapidamente possibile, perché più a lungo si lascia che i prezzi vadano in eccesso, più questo si ripercuoterà sulle aspettative di inflazione e quindi diventerà molto più difficile ripristinare la stabilità dei prezzi.

Alcuni hanno paragonato il tentativo della Federal Reserve di ridurre l’inflazione senza uccidere la crescita a un tentativo di far atterrare un jet su una piccola pista di atterraggio in un’isola minuscola, dichiarando che l’inasprimento delle politiche ha spesso fallito nel raggiungere un tale lieto fine.

Questa credenza comune è davvero corretta?

È vero che il ciclo di stretta monetaria del 2004-2006 è stato seguito dalla Grande Recessione. Tuttavia, le strette monetarie del 2016-2018 e del 2000-2001 hanno portato a un rallentamento della crescita, senza che si verificasse una recessione. Nel frattempo, anche l’ultimo periodo “aggressivo” di stretta monetaria del 1994, quando la Fed ha aumentato i tassi di 250 punti base nel corso dell’anno su una traiettoria che potrebbe assomigliare a quella del 2022, ha visto un rallentamento della crescita l’anno successivo senza che ciò portasse a una recessione.

Da questo punto di vista, i richiami alla recessione possono essere esagerati ed è importante distinguere tra un rallentamento dell’attività e una vera e propria recessione. Nel primo caso, la disoccupazione può aumentare e gli utili possono deludere.

Tuttavia, è nel secondo caso che i tassi di insolvenza possono raggiungere livelli molto più elevati. Inoltre, se la Federal Reserve sta cercando di far atterrare il proverbiale jet, siamo anche propensi ad avere un certo grado di fiducia in chi siede attualmente ai comandi.

Per contro, abbiamo meno fiducia nelle capacità della BCE e pensiamo che le divergenze in Europa potrebbero rendere sempre più difficile il raggiungimento di un consenso all’interno del Consiglio direttivo, con la divisione tra colombe e falchi che potrebbe aumentare nel corso dell’anno a causa della crescita deludente.

A differenza degli Stati Uniti, dove la Fed sta procedendo a rialzi in risposta all’aumento dei prezzi in un momento in cui l’economia è stata piuttosto vivace, nell’Unione Europea la BCE si trova di fronte alla necessità di procedere a rialzi quando la crescita si è già indebolita. L’occupazione negli Stati Uniti è ben al di sopra dei livelli del 2019, ma non è così in tutta Europa. Anche se, dato che i prezzi dell’energia si ripercuotono sui prezzi al consumo, riteniamo che il picco dell’inflazione nell’Eurozona possa essere ancora lontano un paio di mesi, a differenza degli Stati Uniti, dove i prezzi sembrano aver già raggiunto il massimo.

In linea con i commenti della Lagarde, sembra che i tassi dell’Eurotower raggiungeranno lo 0% entro la fine del terzo trimestre, ma è meno chiaro cosa accadrà in seguito. Rimaniamo in allerta per quanto riguarda il possibile rischio di frammentazione, anche se vorremmo sottolineare che il lato positivo dell’inflazione è che si tratta di una benedizione relativa in termini di riduzione dei parametri del debito per i Paesi con un elevato rapporto debito/PIL. Nel frattempo, l’allentamento fiscale potrebbe limitare i rischi economici al ribasso.

Di conseguenza, il quadro macro rimane incerto.

Un elemento che cambierebbe rapidamente le prospettive sarebbe la fine della guerra in Ucraina. Tuttavia, sembra improbabile che ciò avvenga, visto che entrambe le parti stanno guadagnando progressivamente terreno in diverse zone dell’Ucraina orientale. Purtroppo, sembra che la guerra possa trascinarsi per molti mesi o addirittura anni prima che venga concordato un esito negoziale, dati i crescenti costi non recuperabili per entrambe le parti. Rimane comunque la possibilità che la permanenza in carica di Putin possa essere interrotta; ricordiamo che è stato ricoverato in ospedale la scorsa settimana e che lo scorso fine settimana si trovava in condizioni critiche.

Anche se Putin uscisse di scena all’improvviso, un immediato cessate il fuoco o la fine delle sanzioni non sarebbero automatici. Tuttavia, i mercati finanziari sarebbero probabilmente pronti a valutare le mosse in questa direzione e quindi, in un momento in cui molti investitori esprimono opinioni caute e guardano ai rischi di ribasso, vale la pena notare che lo shock più grande potrebbe in realtà essere una sorpresa positiva.

Nel frattempo, in Cina non sembrano esserci buone notizie per l’economia all’orizzonte. È improbabile che l’allentamento incrementale delle policy possa fare molto per rilanciare la crescita, finché Xi non abbandonerà la strategia ‘zero-Covid’. Sembra altamente improbabile che ciò avvenga prima del Congresso del Partito di quest’anno. Sotto molti aspetti, sembra che il contesto cinese per il 2022 sia peggiore di quello del 2020 e la politica del governo continuerà probabilmente a deprimere l’attività e a ridurre la crescita tendenziale.

Anche nel Regno Unito lo scenario appare desolante. L’annuncio del Cancelliere dello Scacchiere Sunak di un sostegno fiscale per l’aumento delle bollette energetiche potrebbe fare ben poco per alleviare l’attuale problema. Nel frattempo, il sindacato dei lavoratori delle ferrovie è il primo di molti sindacati che potrebbero annunciare azioni di sciopero quest’estate, chiedendo aumenti salariali a due cifre a fronte di un’inflazione a due cifre. Ciò avviene in un momento in cui sia la Banca d’Inghilterra sia il governo invocano un contenimento dei salari e chiedono ai lavoratori di accettare docilmente l’erosione del loro tenore di vita.  Come accennato in precedenza, riteniamo che l’inflazione salariale del Regno Unito accelererà e che le aspettative di inflazione continueranno a sgonfiarsi. Se dovessimo rivisitare la metafora della Banca Centrale che cerca di far atterrare un jet su una pista piccola, ci sembra che una BoE “impotente” si sia già arresa, abbia abbandonato la cabina di pilotaggio e si trovi ora da qualche parte verso la coda dell’aereo.

Valutando questi sviluppi, abbiamo pensato di realizzare le plusvalenze sulle posizioni long duration acquisite qualche settimana fa, quando pensavamo che il sell-off dei tassi fosse ormai troppo lontano e fosse diventato consensuale. Con il “gregge” che ora parla di recessione negli Stati Uniti e il rally dei Treasury, riteniamo che sarà presto il momento di muoversi nella direzione opposta e tornare a una posizione corta sui tassi se i rendimenti decennali continueranno a dirigersi verso il 2,5%.

Continuiamo a mantenere una posizione corta sul dollaro USA e favoriamo lo yen, in attesa che il controllo della curva dei rendimenti venga messo ulteriormente in discussione nelle prossime settimane. Tuttavia, non ci è chiaro se abbiamo assistito alla fine della supremazia secolare dell’economia statunitense, e quindi potremmo scegliere di tornare a una posizione più lunga sul dollaro se le posizioni lunghe del consenso sul dollaro iniziano a invertirsi. Per il momento non corriamo grossi rischi per l’UE, ma continuiamo a essere ribassisti su tutti gli asset del Regno Unito e sulla sterlina.

Nel frattempo, continuiamo a ritenere di poter aggiungere un’esposizione selettiva al credito, anche se le prospettive per le azioni appaiono più difficili. In un contesto di rallentamento della crescita – e non di recessione – riteniamo che il credito possa sovraperformare come asset class e, nonostante la forte volatilità dello scenario macro, possiamo individuare asset in cui le valutazioni ci sembrano ora convenienti rispetto al fair value di medio termine.

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