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Mes

Perché l’Italia non deve avere fretta sul Mes. Analisi Lavoce.info (fondata da Boeri e Giavazzi)

L’accordo raggiunto sul Mes prevede che l’accesso ai prestiti possa essere richiesto entro fine 2022. L’incertezza è ancora alta e quindi è utile rinviare la richiesta a un momento successivo. L'analisi di Davide Ticchi, professore di Economia all'Università Politecnica delle Marche, tratta da Lavoce.info

Più di un mese fa si è conclusa la lunga trattativa tra i leader europei sul MES (Meccanismo europeo di stabilità). L’accordo raggiunto prevede come unico requisito di accesso alla linea di credito che i fondi vengano utilizzati per coprire i costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria e i costi relativi alla cura e alla prevenzione legati alla crisi del Covid-19. L’importo massimo del prestito è pari al 2 per cento del Pil (per l’Italia circa 37 miliardi di euro), il tasso di interesse è pressoché nullo (lo 0,1 per cento) e la durata media del prestito pari a 10 anni.

L’alternativa equivalente al Mes è l’emissione di titoli a 10 anni sui quali lo stato italiano paga negli ultimi tempi un tasso leggermente inferiore all’1,5 per cento. Dunque, il prestito dal Mes consentirebbe oggi un risparmio complessivo di circa 5 miliardi di euro. Sulla base di questa considerazione molti sostengono che la scelta governo italiano di non accedere, almeno per il momento, al Mes sia irrazionale dal punto di vista economico. Ma è proprio così?

A mio parere, no. L’analisi dovrebbe infatti tenere in considerazione che tra le condizioni del Mes è previsto che la richiesta di accesso ai prestiti possa essere inoltrata entro il 31 dicembre 2022. Di conseguenza, la decisione del governo non riguarda solo il “se” accedere al Mes, ma anche il “quando”.

L’OPZIONE MES

Potremmo quindi riformulare il problema nei seguenti termini. Il Mes garantisce allo stato italiano il diritto di vendergli, entro il 31 dicembre 2022, titoli decennali per 37 miliardi al prezzo già fissato di 36,6 miliardi (tasso dello 0,1 per cento). In alternativa, il governo può vendere 37 miliardi di titoli agli investitori al prezzo di mercato che, in questo periodo, è pari a circa 31,9 miliardi (tasso dell’1,5 per cento). Potremmo dire che lo stato italiano dispone oggi di una opzione put americana (che chiameremo “opzione Mes”) che gli dà il diritto (non l’obbligo) di vendere al Mes entro il 31/12/2022 un titolo (detto sottostante) di 37 miliardi di euro a un prezzo di esercizio (strike price) di 36,6. Perché può essere conveniente non esercitare oggi l’opzione, vendendo al Mes un titolo che vale sul mercato 31,9 miliardi a un prezzo di 36,6 guadagnandone così 4,7?

La risposta va ricercata nel fatto che l’incertezza sulla dinamica futura dei tassi di interesse a cui lo stato italiano sarà in grado di indebitarsi sul mercato fa sì che il valore dell’opzione Mes sia maggiore dei 4,7 miliardi che lo stato guadagnerebbe oggi esercitando l’opzione.

Per chiarire meglio il concetto, ipotizziamo tre possibili scenari da qui al 31 dicembre 2022.

Nel primo scenario supponiamo che i tassi di interesse a cui lo stato si indebita rimangano pressoché invariati. Potremmo esercitare l’opzione Mes richiedendo il prestito poco prima della scadenza: realizzeremmo così quel guadagno di 4,7 miliardi con due anni di ritardo e la perdita per le casse dello stato sarebbe irrilevante.

Nel secondo scenario supponiamo che si verifichi un peggioramento nelle condizioni di accesso ai mercati finanziari del nostro paese. A puro titolo di esempio, che cosa accadrebbe se per qualche ragione lo spread, oggi intorno ai 200 punti base, aumentasse sensibilmente ritornando ai livelli del 2011-2012 (a circa 500)? A quel punto, esercitare l’opzione Mes consentirebbe di risparmiare un ulteriore 3 per cento circa: 37 miliardi di titoli a 10 anni verrebbero prezzati non più a 31,9, ma a 23,8 (tasso del 4,5 per cento), cioè circa 8 miliardi in meno. Invece di risparmiare 4,7 miliardi finiremmo per risparmiarne 12,6, quasi il triplo. Inoltre, in una situazione simile avremmo probabilmente bisogno di aiuti più consistenti dall’Europa (che sarebbero soggetti a condizioni) e le risorse del Mes potrebbero fornire al governo un po’ di tempo in più per raggiungere un accordo con gli altri leader europei. La richiesta del prestito al Mes oggi ci toglierebbe questo vantaggio, oltre all’etichettarci per il futuro come quelli che hanno già beneficiato della “solidarietà” dell’Europa.

Nel terzo scenario, infine, immaginiamo che i tassi di interesse convergano a quello 0,1 per cento applicato dal Mes. In questo caso non avremmo più alcuna convenienza a esercitare l’opzione Mes e potremo dire di aver rinunciato a 4,7 miliardi di euro. Ci sarebbe da dispiacersi? Non direi, dato che con un debito pubblico intorno a 2.500 miliardi, la diminuzione dei tassi porterebbe a una riduzione dell’onere del debito tale da rendere qualche miliardo di euro una cifra insignificante. Inoltre, quanto è probabile un simile scenario? Non molto, visto che ciò significherebbe avere un rating del debito pubblico tra i più alti al mondo.

LA VALUTAZIONE DI AMMISSIBILITÀ

Vorrei poi soffermarmi su altri due elementi trascurati nel dibattito, ma importanti. Il primo è che l’accesso al Mes è subordinato a una “valutazione di ammissibilità” (condotta dalla Commissione europea di concerto con la Banca centrale europea) che riguarda principalmente la sostenibilità del debito pubblico del paese (oltre a quella del sistema bancario). Non è chiaro se la valutazione (positiva) effettuata in aprile per tutti i paesi dell’area euro rimarrà valida fino al 31 dicembre 2022, oppure se faranno fede le successive valutazioni. Tuttavia, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha a disposizione tutti gli strumenti e le informazioni necessarie e potrebbe quindi anticipare la richiesta di accesso al Mes qualora abbia fondato motivo di aspettarsi l’arrivo di una valutazione negativa. Inoltre, quest’ultima sarebbe associata al perdurare di livelli di spread talmente elevati da rendere necessario, oltre che conveniente, il ricorso al Mes.

Un secondo elemento è che l’accesso al Mes rimane valido per 12 mesi e può essere rinnovato due volte per sei mesi. In teoria, il governo potrebbe dunque attivare subito il Mes, ma decidere di non attingere immediatamente ai fondi, rinviando così il prelievo dalla linea di credito a un momento successivo. In questo caso, il ragionamento sul valore d’opzione sarebbe ancora valido, ma dovrebbe essere riferito all’accesso ai fondi. La strategia è percorribile da un punto di vista legale, ma è tutt’altro che scontato che sia conveniente da un punto di vista economico. Perché attivare una linea di credito se poi non la si utilizza? L’unica ragione plausibile è che il governo abbia il fondato timore di perdere la valutazione di ammissibilità circa la sostenibilità del debito pubblico. Non è esattamente il segnale che un governo vorrebbe dare ai mercati, i quali, è ragionevole pensare, potrebbero non reagire molto positivamente. Pertanto, sebbene l’utilizzo della linea di credito del Mes possa essere modulato nel tempo, è opportuno che il credito venga utilizzato non appena se ne fa richiesta.

In sintesi, se i tassi di interesse rimanessero costanti, aspettare non comporterebbe costi, mentre se diminuissero i guadagni derivanti dalla riduzione dell’onere del debito renderebbero irrilevanti i pochi miliardi di risparmio del Mes. Se invece i tassi aumentassero, avere ancora a disposizione l’opzione del Mes consentirebbe guadagni di gran lunga più elevati. L’incertezza di fronte a noi è ancora molto alta, di conseguenza lo è anche il valore dell’attesa. La strategia economicamente ottimale è quindi non “uccidere” oggi l’opzione Mes.

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