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Industria

Ecco i settori che fanno ruzzolare la produzione industriale in Italia

Il commento di Paolo Mameli, senior economist della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, sul dato produzione industriale a novembre

 

La produzione industriale è calata più del previsto a novembre (-1,6% m/m). Hanno pesato due fattori una tantum e cioè il “ponte” di inizio mese e le condizioni meteo sfavorevoli: pertanto stimiamo un recupero, sia pure parziale, a dicembre. Tuttavia, l’industria dovrebbe aver frenato ancora il PIL a fine anno: occorre un’espansione discreta nei servizi per evitare una recessione “tecnica”. La debole uscita dall’anno scorso peserà inevitabilmente sulla crescita media 2019. La produzione industriale è calata vistosamente a novembre, di -1,6% m/m. Inoltre, il dato di ottobre è stato rivisto al ribasso, a -0,1% m/m da una prima stima di +0,1% m/m.

Il dato è risultato decisamente peggiore dell’aspettativa di consenso, che si attendeva una flessione di -0,3% m/m, e della nostra più pessimistica stima (-0,6% m/m).

La tendenza annua della produzione, dopo un breve passaggio in positivo a settembre e ottobre, è tornata in territorio negativo a novembre, a -2,6%: si tratta di un minimo degli ultimi quattro anni.

L’unico tra i raggruppamenti principali di industrie a salvarsi dal calo congiunturale è l’energia, che fa segnare un rimbalzo peraltro solo parziale dopo la flessione del mese precedente (+1% da -3% m/m). Il calo è diffuso ai beni di consumo (-0,9% m/m, -1,5% per i durevoli), ai beni strumentali (-1,7% m/m) e a quelli intermedi (-2,4% m/m). Su base annua, solo i beni di consumo sono in crescita (+0,7%, grazie ai non durevoli: +1,4%).

L’andamento per settore non è incoraggiante. Delle 13 industrie manifatturiere, solo 3 risultano in progresso su base annua: per trovare un minor numero di settori in espansione, bisogna tornare indietro al 2012. Si tratta del comparto alimentare, di quello farmaceutico e delle altre industrie manifatturiere (+2,7%, +1,3% e +1,1% rispettivamente). Viceversa, il settore maggiormente in crisi si conferma quello del legno, carta e stampa (-10,4%). Al di fuori del manifatturiero, in rosso anche attività estrattive e fornitura di energia (-9,7% e -1,7% rispettivamente).

Sul dato hanno pesato due fattori una tantum e cioè: 1) il “ponte” festivo di inizio mese; 2) le condizioni meteo sfavorevoli in buona parte del territorio nazionale. Pertanto, stimiamo un recupero a dicembre, sia pure verosimilmente solo parziale.

In ogni caso, a meno di un rimbalzo spettacolare nell’ultimo mese dell’anno, la produzione industriale, che già era calata in ciascuno dei primi tre trimestri del 2018, dovrebbe essersi contratta in misura ancora maggiore nei mesi autunnali. Anche in caso di crescita di mezzo punto percentuale su base congiunturale a dicembre, l’output risulterebbe in flessione di -0,5% t/t nel 4° trimestre (dopo il -0,3% t/t precedente).

In altri termini, l’industria dovrebbe aver frenato il Pil anche nella parte finale dell’anno, con un contributo di -0,1% t/t. Ciò significa che occorrerebbe una discreta crescita nei servizi (possibile, ma che al momento non appare coerente con le indagini di fiducia nel settore) per evitare una variazione negativa del PIL (la seconda dopo il -0,1% t/t dei mesi estivi).

Dopo il dato, rivediamo al ribasso la nostra stima sulla crescita congiunturale del Pil nel 4° trimestre, da un intervallo di zero/+0,1% a un range -0,1%/zero. In altri termini, il rischio che l’economia italiana sia entrata nella parte finale del 2018 in una fase di “recessione tecnica” appare elevato.

È vero che il trend di rallentamento è comune agli altri Paesi dell’eurozona (nello stesso mese, la produzione industriale è calata di -1,9% m/m in Germania e di -1,3% m/m in Francia). Tuttavia, nel caso dell’Italia un ruolo nella seconda metà del 2018 sembra essere stato giocato dall’incertezza sulle prospettive fiscali e finanziarie del Paese connessa alla tormentata vicenda della Legge di Bilancio.

In tal senso, l’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari conseguente al cambiamento di rotta del governo e all’accordo con la Ue potrebbe se non altro indurre un effetto meno negativo sull’attività economica all’inizio del nuovo anno. Tuttavia, per il momento non ci sono segnali convincenti di inversione di tendenza per il ciclo (l’unico è quello giunto dal lieve recupero fatto segnare dal Pmi composito a dicembre, tornato al valore-soglia di 50 dopo due mesi in territorio recessivo a 49,3). E in ogni caso, l’uscita debole dall’anno scorso peserà inevitabilmente sulla crescita media 2019.

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