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Intesa Sanpaolo

Ecco perché Intesa Sanpaolo e Unicredit impazziscono per i bond in dollari

Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno collocato bond in dollari e le emissioni hanno dato ottimi riscontri. Tutti i dettagli

 

I primi due gruppi bancari italiani tornano a dedicarsi al mercato a stelle e strisce ed è subito maxi richiesta. Nei giorni scorsi Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno collocato bond in dollari e le emissioni hanno dato ottimi riscontri, con domanda ben superiore all’offerta a dimostrazione della vitalità del mercato made in Usa ma anche della fiducia nei confronti dei vertici manageriali dei due istituti.

IL BOND SUBORDINATO TIER 2 DI INTESA SANPAOLO

Ad aprire le danze è stata Intesa Sanpaolo che lunedì 24 maggio ha collocato sul mercato americano un bond subordinato Tier 2, riservato alla clientela istituzionale, in due tranche da 750 milioni con scadenza 2032 e 2042. Il formato del dual tranche scelto da Ca’ de Sass – informa Il Sole 24 Ore – è una modalità nuova per un istituto di credito “no-core” europeo e prevede che le emissioni siano richiamabili un anno prima del termine. “La presenza di una call un anno prima della scadenza – evidenzia una nota di Intesa Sanpaolo – è una struttura che garantisce maggiore efficienza per l’emittente nella gestione del capitale e del requisito Mrel”.

La domanda del bond in dollari è andata molto bene con oltre 360 ordini – per il 78% provenienti da fund manager, seguiti da assicurazioni ed hedge fund (5%) – per oltre 9 miliardi di dollari. Il rendimento, informa ancora il gruppo guidato da Carlo Messina, è pari al Treasury +260 punti base per la scadenza a 11 anni e al Treasury +275 punti base per la scadenza a 21 anni grazie “ad una riduzione molto significativa rispetto alla guidance iniziale, ovvero 40 punti base per la tranche più breve e 30 punti base per quella più lunga”.

L’ultima volta che Intesa Sanpaolo aveva collocato un bond in dollari risale a settembre 2019 con un senior preferred da 2,5 miliardi.

IL DOPPIO BOND DI UNICREDIT

Come si diceva, anche Unicredit in questi giorni ha deciso di guardare al di là dell’Oceano e ha emesso un doppio bond in dollari, un Senior Preferred callable con scadenza a 6 anni (richiamabile dopo 5 anni) per 1 miliardo di dollari e un Senior Preferred callable con scadenza a 11 anni (richiamabile dopo 10 anni) per un altro miliardo di dollari. Destinatari, in entrambi i casi, investitori istituzionali per un’emissione che ha registrato un buon successo di domanda: oltre 8 miliardi da circa 200 investitori istituzionali (di cui quasi il 70% in Nord America) per i 2 miliardi offerti. In questo modo, evidenzia ancora la nota diffusa dall’istituto di credito, è migliorata “la guidance iniziale di 25 punti base. Il titolo a sei anni ha una cedola al 1,982% all’anno per i primi 5 anni, equivalente a uno spread pari a 120 punti base sul tasso dello US Treasury a 5 anni. Quello a 11 anni ha una cedola al 3,127% all’anno per i primi 10 anni, equivalente a uno spread pari a 155 punti base sul tasso dello US Treasury a 10 anni”.

Secondo Il Sole 24 Ore “la domanda andata oltre le più rosee aspettative conferma il clima di fiducia che si respira tra gli investitori internazionali, i quali vedono nel nostro Paese, oggi guidato da un premier stimato come Mario Draghi, una realtà su cui puntare con molte meno remore rispetto al passato”. L’altro uomo che ha convinto ad acquistare i bond è Andrea Orcel, da poco più di un mese ceo a piazza Gae Aulenti, alle prese con la revisione del piano industriale.

Da ricordare che a settembre 2020 Unicredit aveva già collocato un senior non preferred da 1 miliardo.

IL “GIALLO” DEL BOND CASHES

Solo il giorno prima Unicredit era stata invece protagonista di un piccolo giallo, sempre in tema di bond e in particolare riguardo le obbligazioni ibride, dette “cashes”, emesse nel 2009 per complessivi 2,8 miliardi dall’allora amministratore delegato Alessandro Profumo. Secondo quanto riferito da Bloomberg, alcuni investitori sostenevano infatti di aver ricevuto il pagamento della cedola in scadenza nonostante la banca il 21 maggio scorso avesse comunicato che non lo avrebbe fatto, probabilmente a causa dei conti in rosso del 2020. Un portavoce del gruppo ha poi confermato la decisione della banca e ha aggiunto che non è stato dato nessun mandato a pagare.

A detta dell’agenzia americana l’errore può essere stato causato dalla complicata struttura delle obbligazioni e dal fatto che diverse banche svolgono il ruolo di depositario e di fiduciario per gli strumenti. E infatti è poi emerso che l’errore è stato fatto da Euroclear, società di servizi finanziari specializzata anche nel ricevere soldi da Stati e società e poi provvedere ad accreditarli sul conto degli aventi diritto.

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