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Cdp

Perché il Patrimonio destinato made in Cdp sarà salutare per le pmi

Dal revenue based finance all’associazione in partecipazione, passando per Cdp. Tutti gli strumenti utili per rilanciare le pmi nell'intervento di Marco Fazi e Domenico Santececca partner Strategy & Innovation

 

Creare le condizioni affinché si sviluppi un mercato o un canale parallelo e complementare ai mercati finanziari già esistenti che riesca a convogliare verso le piccole, medie e imprese significative somme di risparmio privato, senza limitare il contesto operativo e lo spirito dell’imprenditore medio piccolo. Per raggiungere questo ambizioso risultato – cruciale per rimettere il Paese nelle condizioni di uscire dalle sabbie mobili del Covid-19 – non si deve andare troppo lontano. In Italia esiste il contratto di associazione in partecipazione (articolo 2549 del codice civile): si tratta di uno strumento non molto diffuso nella prassi commerciale e soprattutto finanziaria ma che, invece, potrebbe essere molto utile. Un vecchio arnese, lasciato a lungo nel cassetto, da rispolverare oggi per sostenere e rilanciare l’economia italiana che riuscirebbe a mettere insieme innovazione tecnologica e finanziaria, che corrono sempre nella stessa direzione.  Due le componenti principali su cui realizzare il progetto: un fondo alternativo in cui convogliare le risorse finanziarie; una piattaforma tecnologica che selezioni e gestisca gli interventi finanziari in associazione in partecipazione.

L’idea trae fondamento da un ragionamento basato su tre elementi: la struttura economica del Paese composta da un sistema di piccole (spesso micro) e medie imprese; la presenza di un forte e prolungato processo di innovazione che modifica radicalmente i tradizionali paradigmi operativi; la disponibilità di un ingente quantità di risparmio (oltre 4.000 miliardi di euro) che deve trovare una giusta collocazione e una adeguata remunerazione. Obiettivo sarebbe creare forme di finanziamento per le imprese alternative al canale bancario, anche per far fronte alle esigenze di liquidità innescate dalla crisi pandemica. Tutto questo con la consapevolezza che gli strumenti esistenti e gli operatori già attivi, pensiamo innanzitutto al mercato del private equity e del venture capital, non sono in grado di rispondere alle esigenze delle aziende piccole e medie.

Il modello di riferimento – a cui attingere per implementare un progetto attorno all’associazione in partecipazione – è già sviluppato nei paesi anglosassoni e viene definito “revenue based finance”. Il meccanismo potrebbe essere descritto in sei differenti fasi: la piattaforma, con risorse del fondo alternativo, apporta capitale di medio/lungo termine alle pmi; il contratto applicabile secondo il diritto italiano è, come accennato, l’associazione in partecipazione; il rientro dell’apporto finanziario della piattaforma è commisurato ai ricavi che produce l’azienda e il tempo di recupero è inversamente proporzionale allo sviluppo del business aziendale; la piattaforma, inoltre, può fornisce alle aziende finanziate servizi di pagamento (particolarmente indicati per chi vende su canali digitali) tali per cui, i flussi di cassa dell’azienda passano per la piattaforma la quale progressivamente recupera le somme impiegate (si pensi alle strutture alberghiere e turistiche che ormai vendono principalmente su canali digitali); il rendimento delle operazioni può avere molteplici riferimenti e si potrebbe posizionare tra il rendimento di una operazione di credito e il rendimento di una operazione di equity, secondo le aspettative degli investitori; i default eventuali sarebbero coperti da una riserva gestita dalla piattaforma e costituita con i rientri degli apporti finanziarie alle aziende del sistema.

I vantaggi principali, che fanno intravedere prospettive interessanti, sono almeno tre: le piccole imprese acquisirebbero risorse finanziarie stabili per lo sviluppo senza l’incubo della scadenza della rata di mutuo; il rientro sarebbe basato sui ricavi, associando l’investitore al rischio di business e remunerandolo adeguatamente; con una dotazione di qualche miliardo, pochi rispetto a quelli messi in campo per l’emergenza Covid-19, si raggiungerebbero migliaia di piccole aziende, sane prima della crisi e con una storia bilancistica e tributaria meritevole di supporto. Senza dimenticare che l’apporto di capitale nell’impresa non sarebbe nuovo debito: ne consegue che resterebbe intatto lo spazio per continuare ad accedere al credito bancario, senza penalizzare i parametri di bilancio.

La realizzazione dell’iniziativa è relativamente semplice e, peraltro, potrebbe trovare spazio nei provvedimenti del governo post Covid-19. C’è da guardare con nutrito interesse al ruolo assegnato alla Cassa depositi e prestiti con l’iniziativa relativa al patrimonio destinato. Il fattore tempo è essenziale ed esistono le condizioni per bruciare le tappe: investitori istituzionali e privati costituiscono il fondo alternativo; esistono alcune piattaforme fintech italiane che hanno già gli algoritmi di rating/scoring da applicare per la selezione delle aziende; la parte operativa dell’operazione richiederebbe pochi mesi. Non solo si farebbe un grande servizio alle pmi, ma tutto il Paese potrebbe trarne una gran beneficio anche in termini di spinta alla piena trasparenza sulle attività produttive e commerciali. Resta un dubbio: esiste una visione di politica industriale capace di destinare risorse per sviluppare questo progetto?

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