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Perché il Mes appare sempre più vicino

L'analisi di Giuseppe Liturri

Venerdì 1 luglio è stato il primo giorno in cui la Bce ha smesso di effettuare acquisti aggiuntivi di titoli pubblici, limitandosi a reinvestire i proventi dei titoli che progressivamente giungono a scadenza. È una situazione che non si vedeva dall’ottobre 2019.

Ed ora quali scenari si prospettano? Il presidente della Bce, Christine Lagarde, dal 9 giugno continua a rassicurare tutti circa la capacità del consiglio direttivo di evitare che un eccessivo allargamento degli spread impedisca una corretta ed omogenea trasmissione della politica monetaria di Francoforte in tutti i 19 Stati membri. Inizialmente non le ha creduto nessuno – tanto che ha dovuto convocare un consiglio straordinario dopo soli 6 giorni per ammettere che aveva sostanzialmente millantato qualcosa nemmeno esistente a livello embrionale e fornire qualche dettaglio in più – poi è stata costretta a far sapientemente imbeccare la Reuters con ulteriori indiscrezioni per tenere a bada i mercati in attesa del prossimo consiglio del 21 luglio.

Le solite “fonti vicine al dossier”, citate dalla Reuters, hanno anticipato un piano in due fasi. La prima, partita già venerdì, consiste nell’utilizzo dei proventi dei rinnovi in modo non proporzionale. In concreto, man mano che la Bce incasserà i proventi dei titoli in scadenza, non li reinvestirà in titoli dei medesimi Stati, ma li destinerà a titoli di Paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. I 19 Stati membri sono stati divisi in tre gruppi: “donatori”, “riceventi” e “neutrali”, per stare alla terminologia informale usata dalla Reuters. I primi vedono una mezza dozzina di Paesi più solidi, Germania, Francia ed Olanda in testa. Quelli neutrali fungeranno da polmone di riserva.

I problemi sorgono quando passiamo dalle parole ai numeri. Il programma PEPP prevede infatti rimborsi nei prossimi 12 mesi pari a circa 220 miliardi (275 il programma PSPP ma non gode della stessa flessibilità) e, pur con tutta l’autonomia di manovra dei trader di Francoforte, appare una somma modesta per scoraggiare chi volesse assumere posizioni ribassiste contro i nostri BTP.

Ecco che allora si continua a parlare di un nuovo strumento che consenta di effettuare acquisti aggiuntivi da parte della Bce e così contenere l’ampliamento del differenziale rispetto al titolo decennale tedesco. Tali acquisti saranno condizionati al rispetto delle regole attualmente fissate dalla Commissione per il Recovery Fund oppure ad una valutazione di sostenibilità del debito eseguita dalla stessa Bce. Qualunque sia la scelta, la Lagarde ha tenuto a far sapere che sarà proporzionato e non incentiverà forme di “rilassatezza fiscale” da parte dei Paesi beneficiari. Inoltre, la liquidità che in questo modo la Bce immetterà nel sistema sarà sterilizzata, cioè sarà ritirata altrettanta liquidità dal sistema, incentivando le banche a depositare presso la banca centrale. Non si conosce al momento l’ammontare del programma.

Funzionerà? Secondo Ignazio Angeloni (economista ex Bankitalia e Bce) e Daniel Gros (economista del CEPS), intervenuti giovedì sul Sole 24 Ore, “un simile strumento, se disegnato in maniera efficace, rischia di oltrepassare i limiti del mandato e il divieto del Trattato Ue di finanziare gli Stati. Con tutti i problemi politici e legali che questo comporta”. Insomma la Lagarde sta giocando l’ennesimo bluff, rischiando un serio contraccolpo sui mercati, qualora il 21 luglio la montagna partorisse il topolino.

Ed ecco quindi spuntare da cilindro il solito coniglio del Mes in una duplice veste (“bazooka” nelle parole degli autori). La prima ipotesi prevede di attivare il programma di acquisti OMT (Outright Monetary Transactions) messo a punto da Mario Draghi nel 2012 e mai utilizzato, anche perché si accompagna necessariamente ad un prestito del Mes con annesso programma di aggiustamento macroeconomico. La seconda è l’accesso al Mes “in purezza”, chiedendo la linea di credito precauzionale prevista dall’articolo 14 del Trattato del Mes che, a detta degli autori, non richiede particolari condizioni per l’accesso che, peraltro, risultano già soddisfatte dall’Italia.

Angeloni e Gros ne parlano come di “un’assicurazione a costo zero” che è già un ossimoro, prima ancora di fargli rilevare che i costi non possono non esserci. Infatti, i due autori non possono non sapere che dopo la sentenza Gauweiler della Corte di Giustizia Europea del 2015 (preceduta e seguita da sentenze della Corte Costituzionale tedesca) le condizioni sotto le quali è ammissibile lo strumento OMT sono così rigorose che lo rendono di fatto inattuabile. Come se non bastasse, il Trattato del Mes prevede sempre “condizioni rigorose” da riportare in un protocollo d’intesa col Paese finanziato. Questo già nella versione attualmente vigente del Trattato del Mes. Se poi fosse ratificata la riforma, l’accesso alla linea precauzionale è impedito all’Italia per mancato rispetto delle condizioni di ammissione, e quindi potremmo chiedere solo la linea “rafforzata”, cioè installare di fatto la Troika a Roma.

Ad acuire le tensioni in seno alla Bce, dalla Germania intanto il ministro delle Finanze Christian Lindner fa sapere che ridurranno il bilancio pubblico tornando nel 2023 ad applicare il “freno fiscale”. La Bce quindi non dovrà preoccuparsi del debito tedesco, perché loro stanno già facendo i “compiti a casa”. Si apre così la strada ad un rialzo dei tassi a luglio forse superiore all’atteso 0,25% ed il governatore belga Pierre Wunsch parla senza problemi di 200 punti base di aumento nei prossimi mesi.

A poco valgono le rassicurazioni e la volontà di gettare benzina sul fuoco che emerge dalle parole del nostro Fabio Panetta, che per un eventuale aumento dei tassi a settembre non dà nulla per scontato e si affida ai dati che man mano saranno pubblicati.

Il Mes appare sempre più vicino.

(Versione aggiornata e ampliata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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