Naturalmente il FMI, con le sue ultime previsioni sull’Italia, può sbagliare. Nell’ultimo Outlook, appena pubblicato, la colloca al 28 esimo posto su 30. Insieme alla Spagna. Entrambi i Paesi subiranno, secondo le previsioni una caduta del Pil, l’anno in corso, del 12,8 per cento. Per poi risalire, l’anno successivo, entrambe del 6,3 per cento. Ne deriva che, nel 2021, il fossato della crisi non sarà stato ancora colmato. Con un’ulteriore frattura del 6,5 per cento. Ugualmente incerte sono le previsioni dell’Ocse. L’Italia è collocata al 30esimo posto (su 39) quando tutto, almeno così si spera, sarà finito. Ma nel 2021 mancheranno all’appello ancora 3 punti e mezzo di Pil rispetto al 2019. Secondo i dati pubblicati, la caduta sarà la più forte tra tutti i Paesi considerati che fanno parte di quell’universo, superata in negativo solo dalla Gran Bretagna. Ma con una ripresa più rapida rispetto ai concorrenti. Seconda solo alla stessa Gran Bretagna: dalle stalle alle stelle. Incrociamo le dita.
Purtroppo la Commissione europea, qualche tempo prima, non era stata più generosa. L’Italia, tra i Paesi dell’Eurozona, con il recupero finale del 2021, non riusciva a schiodarsi dall’ultima posizione. Con una drammatica caduta del Pil nel 2020 (-9,5 per cento) ed una più forte ripresa, la migliore rispetto ai concorrenti (6,5 per cento), nel 2021. Altalena destinata tuttavia a non modificare il risultato finale. Né consentirle di togliersi di dosso quella maglia nera conquistata nei molti anni passati. Una sorta di maledizione, che all’estero si coltiva con una malcelata soddisfazione. Si potrebbe fare spallucce, se sono fosse la stessa Banca d’Italia a confermare quella che sembra essere divenuta, ormai, un’inarrestabile deriva. Previsioni nere, con due distinti scenari: un positivo (si fa per dire) con una caduta del Pil del 9,2 ed un successivo rimbalzo del 4,8. Saldo negativo finale del 4,4. Drammatico quello negativo: una caduta del 13,1, un rimbalzo del 3,5 ed un saldo negativo residuo del 9,6 per cento.
Insomma, comparando le varie previsioni, non si può dire che tiri una buona aria. Nelle migliori dei casi e sperando che non vi sia una recrudescenza della pandemia i numeri indicano una caduta del Pil, per l’anno in corso, che è compresa tra il 14,1 per cento dell’Ocse e l’8 per cento del DEF. Nel 2021 la ripresa dovrebbe oscillare tra il 6,5 per cento della Commissione europea ed il 3,5 per cento della Banca d’Italia (scenario pessimista). Mentre nel 2021 le differenze con l’anno passato dovrebbero essere comprese in una forchetta tra il meno 9,6 per cento della Banca d’Italia (versione pessimista) ed il meno 3 per cento della Commissione europea. C’è solo da decidere di che morte morire.
Ma c’è qualcuno tra i politici italiani che si sta occupando di questo problema? Sembrerebbe di no, almeno a giudicare dal cruccio di Federico Fubini che, dalle pagine del Corriere della sera, si chiede fino a che punto spingeremo l’acceleratore sull’assistenzialismo. L’unica carta che il governo, pungolato dalla stessa opposizione, sembra essere disposto a giocare. Impietosa la sua analisi.
Durante gli anni ’70 si imprecava contro lo Stato-postino o lo Stato-pasticciere. Oggi stiamo invece alimentando uno Stato-mamma: quindi per alcuni versi ancora più premuroso nei confronti dei suoi figli, che vorrebbe proteggere e tutelare. Senza considerare, tuttavia, che “una rete di sicurezza non può restare troppo a lungo così com’è, perché costerebbe centinaia di miliardi (che non ci sono) e farebbe degli italiani un popolo di assistiti”. Molto più, non possiamo che aggiungere, di quanto finora lo siano stati.
Sullo sfondo del ragionamento di Fubini, l’audizione di qualche giorno fa del ministro per l’Economia, Roberto Gualtieri, presso la Commissione bilancio della Camera. Discussione animata e qualche tumulto. Con il presidente, il leghista Claudio Borghi, che è costretto a cacciare tre deputati dei suoi. Il ministro annuncia un nuovo sforamento di bilancio. Servirà a dare risorse ai comuni, ossigeno alle imprese rinviando il pagamento delle tasse e sostenere il maggior peso della Cig, le cui carenze continuano a far discutere. Il tutto per la modica cifra di 10 miliardi, destinati, con ogni probabilità a raddoppiare ancor prima di cominciare a discutere nel merito. E le nuove previsioni del Fmi? Troppo pessimiste: risponde il ministro. Beata incoscienza.
Che ai danni sociali della pandemia si debba far fronte è fuori dubbio. Come è indispensabile che l’acutizzarsi della crisi economica non si trasformi in una miscela esplosiva dagli esiti imprevedibili. Non è quindi il caso di fare i bilancisti. Di spaccare il capello, nel rispetto di qualche regoletta contabile. Ma non per questo si può andare avanti alla ceca, nel presupposto che, alla fine, qualcuno pagherà. Il principale dramma italiano – lo si è visto chiaramente nei dati presentati – è l’esistenza di un motore troppo piccolo, per quanto efficiente esso sia, per sostenere il peso di oltre 60 milioni di persone. Una base produttiva che, per effetto della pandemia, tende a restringersi ulteriormente.
Allora uno dei problemi essenziali, se non il problema, diventa quello di rimettere in modo, nel più breve tempo possibile, un meccanismo autopropulsivo di sviluppo. Estendendone, se possibile, le basi. Serve a rendere meno pesante il necessario costo del welfare e, al tempo stesso, a produrre quelle risorse che possono contribuire a ridurre le mille marginalità, che caratterizzano la situazione italiana. Discorso elementare, se si vuole. Ma talmente sottile da far venire il mal di testa a chi si pavoneggia, considerandosi tra gli addetti ai lavori.