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Perché il Def non va

L’intervento di Michele Poerio (presidente nazionale Federspev e segretario generale Confedir) e Carlo Sizia (direttivo nazionale Federspev)

Qualche settimana fa il Consiglio dei Ministri ha approvato il Def 2019, Documento di programmazione economica e finanziaria, tappa propedeutica alla prossima manovra di bilancio (2020-2022), salvo la successiva Nota di aggiornamento (Nadef) del prossimo autunno.

Dopo soli tre mesi dall’approvazione della legge di bilancio in corso (legge 145/2018), il quadro economico-finanziario del Paese risulta sovvertito, segno evidente che il Governo si era limitato a “dare i numeri” nell’intento di illudere il popolo elettore in vista delle elezioni europee del maggio prossimo.

E non è che fossero mancati gli “avvertimenti allarmati” di Mario Draghi, della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale, dell’Ocse, della Banca d’Italia, delle Agenzie di rating sul rallentamento dell’economia mondiale (con l’Italia nella posizione di particolare e cronica sofferenza a causa dell’enorme debito pubblico cumulato).

Anche noi, che non siamo grandi esperti di economia e di bilanci, avevamo giudicato la manovra in corso “azzardata, contraddittoria, carica di promesse irrealizzabili” (non è elegante auto-citarsi, ma quando ci vuole, è meglio documentare la realtà).

La crescita 2019 sarà praticamente piatta (per ben che vada, + 0,1%, forse + 0,2% puntando sulla spinta del decreto sblocca-cantieri e sul decreto-crescita e sull’andamento positivo del commercio estero).

Ricordiamo le previsioni del Governo: + 1,5% del Pil (ottobre 2018), poi ridotto all’ 1% dopo la “tirata d’orecchie” della Commissione europea e la scivolata del Premier Giuseppe Conte sul 2019, qualificato come “anno bellissimo”.

A causa della bassa crescita e dell’ampliamento del perimetro della PA, con sblocco del turn over al 100%, il debito tendenziale salirà dal 132,2% del 2018 al 132,8% del 2019, sempre per ben che vada (infatti le previsioni dell’Ocse e del Fmi sono ben peggiori).

In questo modo la regola Ue (sottoscritta da tutti i nostri Governi, da Berlusconi a Conte), che impone all’Italia di ridurre il proprio debito, “non è stata osservata in nessuna delle sue configurazioni”.
Il disavanzo annuale (2019) vola al 2,4% del rapporto deficit/Pil, e lo supererebbe se la manovra in atto non avesse preventivamente congelato 2 mld destinati all’eventuale riequilibrio dei nostri conti, come richiesto da Bruxelles.

Il Def in esame continua a puntare su “privatizzazioni” 2019 per 18 mld di € al fine di ridurre il nostro disavanzo, risorse che dovrebbero provenire sia dalla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, sia dalla cessione (dal Ministero dell’Economia alla Cassa depositi e prestiti) di quote di partecipazione al capitale di Enav, di Poste, di Eni, di StMicroelectronics. A noi tale obiettivo continua ad apparire troppo ambizioso.

Il rapporto debito/Pil dovrebbe scendere nel 2020 al 131,3% grazie anche ad ulteriori 6 mld di privatizzazioni, ai 23,1 mld di aumenti Iva (tuttora contabilizzati come “entrate”), ai 2 mld provenienti dalla nuova spending review (che diventerebbero 5 mld nel 2021 e 8 mld nel 2022).

Sarà un sogno di “mezza primavera” dei due nuovi commissari alla spending review, Massimo Garavaglia e Laura Castelli?

La vera inversione di rotta viene rinviata (more solito) al 2022, col debito previsto al 128,9% del Pil: campa cavallo…!
Anche il tasso di disoccupazione non è previsto in miglioramento, anzi dovrebbe crescere dal 10,5% all’11% nel 2019-2020 per il cosiddetto “effetto attivazione” prodotto dal reddito di cittadinanza.

Il Def smentisce peraltro l’effetto “moltiplicatore” sul Pil 2019 del reddito di cittadinanza (stimato in un modesto + 0,2%) e della quota 100 (stimato 0%).

Quello fin qui documentato è lo sfascio dei conti pubblici prodotto dalla realizzazione (peraltro solo parziale) delle “bandiere” propagandistiche ed elettorali di M5S e Lega, “costi quel che costa!”

E tuttavia il peggio avverrà nel prossimo autunno-inverno quando, superato il miope obiettivo delle elezioni europee del 26 di maggio p.v., si dovrà approvare la legge di bilancio lacrime e sangue per il triennio 2020-2022.

Bisognerà allora trovare più di 40 mld di euro per disinnescare le clausole di salvaguardia sull’aumento dell’Iva, far fronte ai sicuramente insufficienti proventi delle privatizzazioni 2019 troppo ottimisticamente previste, rifinanziare “quota 100” e reddito di cittadinanza, incrementare i finanziamenti pubblici per la crescita, ecc..

Naturalmente nel Def non c’è ombra sull’origine delle coperture necessarie, ma i nostri governanti (Di Maio, Salvini, Conte, nell’ordine secondo il rispettivo peso politico) si affrettano ad una sola voce ad assicurare che: non ci sarà alcun incremento dell’Iva, neppure parziale; che non ci sarà alcuna patrimoniale; che la pressione fiscale non solo non aumenterà, ma si ridurrà per tutti; che non occorrerà una manovra aggiuntiva in corso d’anno (humanum fuit errare, diabolicum est in errore manere – S. Agostino).

Bisogna, a questo punto, chiedersi se in Italia ci siano ancora cittadini disposti a credere alle parole dei “responsabili” anzidetti (non penso possano essere i pensionati, dopo le mazzate ricevute), che avevano proclamato dal balcone di Palazzo Chigi (Di Maio) “di aver sconfitto la povertà” con il reddito di cittadinanza, ovvero che lo spread “lo avrebbe mangiato a colazione” (Salvini): tutte testimonianze di sobrietà, lungimiranza, responsabilità e realismo, come ben comprendete!

Come se tutto ciò non bastasse e dopo essersi intestati prevalentemente Di Maio, il reddito di cittadinanza e Salvini, i presunti successi sul tema sicurezza, immigrazione e finta flat tax al 15% su partite Iva e professionisti fino a 65.000 € lordi/anno di reddito, entrambi contrabbandano oggi (vigilia di elezioni) una tassa piatta già nella prossima legge di bilancio.

Naturalmente alle parole non seguiranno i fatti: la tassa piatta non riguarderà tutti e non sarà piatta, ma a più aliquote; una apparente riduzione delle aliquote sarà compensata dalla potatura dell’attuale quadro delle deduzioni e detrazioni previste e consentite; non ci sono risorse (come ampiamente dimostrato, a maggior ragione a partire dal 2020, per una riforma fiscale, neppure parziale).

Non rimane che osservare in conclusione:
• che chi vive solo di slogan e propaganda, si fida di preconcetti ideologici, si circonda di collaboratori servili, perde il contatto con la realtà e vive solo di sogni ed illusioni;
• che cercare di “comprare consenso”, consumando risorse pubbliche che non ci sono ed accrescendo deficit e debito, non porta fortuna, come insegna l’esperienza degli 80 € del Governo Renzi, distribuiti a pioggia ai titolari di redditi fino a 25/26.000 € annui alla vigilia delle elezioni europee del 2014. I “ladri di consenso” hanno durata effimera: il consenso vero va meritato sull’altare dell’interesse e del bene comuni, non del “particolare” personale o di Partito;
• che ci sono voluti tre anni perché i cittadini elettori maturassero una “crisi di rigetto” nei confronti delle “fanfaronate” e della narrazione auto-celebrativa del Governo Renzi; a noi è bastato un anno di Governo Di Maio-Salvini per maturare la saturazione di fronte a tanta superficialità, demagogia populista-pauperista, strumentalizzazione, falsità, incompetenza;
• che l’arte del governare non si improvvisa, come è per tutti gli altri “mestieri”, dal muratore al macellaio, dal medico all’ingegnere, dall’operaio al manager ed al diplomatico.

Non aver rispettato (da parte degli ultimi Governi, di quello M5S-Lega in particolare) nessun criterio di buon senso, linearità, coerenza e prudenza (tanto in ambito nazionale che internazionale), nonché gli impegni assunti con i nostri Partner europei, ci ha fatto perdere di credibilità, ha fatto lievitare lo spread, ha fatto fuggire capitali ed investimenti stranieri.

A chi è convenuto tutto ciò, a maggior ragione in un difficile momento come l’attuale, con la guerra dei dazi in corso, con il rallentamento del ciclo economico mondiale, con le incertezze e le ambiguità della Brexit, con la crisi libica aggravata, con l’epocale ed irrisolto problema dell’immigrazione illegale o, comunque, scomposta e non governata?

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