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Perché i vaccini non immunizzeranno l’economia mondiale

La fase di transizione sarà lunga per due ragioni. Ecco quali. L'analisi di Alessandro Fugnoli, capo strategist dei fondi Kairos

La fase di transizione sarà lunga per due ragioni. Da una parte ci sarà un percorso accidentato della malattia, dall’altra ci sarà una risposta di policy, sanitaria ed economica, ispirata al principio di precauzione.

Il virus non si ritirerà per forza in buon ordine senza avere provato prima la strategia dei mongoli quando costruirono il più esteso impero della storia umana. Avanzare velocemente, fermarsi, sparire improvvisamente per dare al nemico l’illusione che tutto sia finito e poi ricomparire alle spalle a sorpresa per l’attacco finale.

I vaccini, dal canto loro, non arriveranno dappertutto subito. In Russia Sputnik-V esiste da agosto, ma le vaccinazioni di massa non sono ancora iniziate. Nella maggior parte dei paesi la vaccinazione sarà fortemente incoraggiata, ma non sarà obbligatoria e se tutti cercheranno di mandare avanti gli altri sperando di evitare un nuovo vaccino potenzialmente invasivo, alla fine i progressi saranno più lenti di come ce li immaginiamo oggi.

Gli stessi produttori di vaccini, ci dice il Chief Medical Officer di Moderna, non sono certi che i vaccinati non possano essere contagiosi. Finché non ci sarà questa certezza, che potrebbe anche non arrivare, il principio di precauzione indurrà non solo gli ipocondriaci, ma anche i governi a mantenere e incoraggiare comportamenti prudenti. Il virus, dal canto suo, potrà anche decidere di mutare, tanto per mettere alla prova i vaccini disegnati sul ceppo dell’anno prima, come succede con l’influenza tradizionale.

Per tutte queste incertezze e per le cicatrici dolorose formatesi in tutte le economie in questi mesi passati, le politiche fiscali e monetarie rimarranno ultraespansive per almeno un anno anche se il virus verrà debellato in poche settimane. In America gli elettori della Georgia, nel decidere il 5 gennaio quali senatori mandare a Washington, decideranno se l’espansione sarà più sul piano fiscale (come avverrà se il Senato passerà ai democratici) o su quello monetario (come avverrà se il Senato rimarrà repubblicano e se la Fed, come è certo, compenserà il minore stimolo fiscale con più Quantitative easing e con la ripresa dei programmi di finanziamento diretto a famiglie, imprese e, questa volta, anche governi locali). Alla fine, in ogni caso, lo stimolo sarà equivalente. Con la Yellen al Tesoro, del resto, si completa il processo di fusione tra banca centrale e Tesoro, un altro pilastro della MMT.

La stessa fusione sta avvenendo anche in Europa, con l’assunzione da parte della Bce di competenze fiscali e politiche senza precedenti nella storia degli ultimi decenni delle banche centrali. Con il decennale greco allo 0.66 nonostante il debito/Pil della Grecia sia oggi al massimo storico del 205 per cento si conferma la completa nazionalizzazione dei mercati finanziari, ricompensati della perdita del loro senso con la tranquillità dei corsi garantiti. Ma non basta. Con la Yellen al Tesoro responsabile del dollaro, la pressione al rialzo sull’euro è destinata a crescere e la Bce, lungi dall’alzare i tassi in caso di ripresa, considererà eventualmente un loro taglio ulteriore, in particolare sui finanziamenti Tltro alle banche commerciali.

Nella transizione dalla malattia alla salute, quindi, continueranno a funzionare male, come avviene da qualche tempo, le politiche tradizionali di risk parity, ovvero di diversificazione tra governativi lunghi e azionario. Per molti anni tra le due classi c’è stata correlazione inversa. Se una scendeva, l’altra saliva e viceversa. Nella fase di transizione, con i governativi congelati, l’azionario salirà e scenderà senza bilanciamento da parte dei bond.

La nuova risk parity nell’epoca della transizione, a ben vedere, sarà tutta all’interno dell’azionario. Quando le cose andranno bene continueranno a correre i ciclici e la old economy, quando ci saranno intoppi si riprenderanno tecnologia e crescita.

Quanto al breve termine, siamo in piena transizione alla transizione. Le economie sono di nuovo in recessione, in particolare in Europa, e sono destinate, a parte la tregua natalizia, a rimanere semichiuse almeno fino a fine gennaio. I mercati gettano il cuore oltre l’ostacolo ed è giusto che sia così. Per chi investe è comunque importante capire che il percorso sarà lungo e non lineare.

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