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Perché i mercati vedono nero nei dati congiunturali di Germania e Francia

Il commento giornaliero ai mercati finanziari a cura di Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr

 

L’apparente screzio tra Usa e Cina che aveva affossato l’S&P 500 a mercati europei chiusi venerdì sera è stato debitamente depotenziato dalle parti. I Cinesi hanno dichiarato nel week end che la cancellazione delle visite non implicava alcun incidente, ma era dovuta ad altre cause e che queste sarebbero state riproposte in altra data. L’US trade Representative ha definito i colloqui preparatori “costruttivi” e entrambe le parti hanno chiarito che i contatti continuano. Bloomberg stamattina riporta che il Vicepremier Liu He giungerà a Washington attorno al 10 ottobre per incontrare Mnuchin e Lighthizer. Insomma, entrambe le parti sembrano voler preservare il dialogo.

La “distensione” ha prodotto, in apertura, un rimbalzo dei future azionari Usa, a recuperare gran parte della discesa di venerdì. Non che l’azionario cinese si sia fatto prendere troppo dall’entusiasmo, peraltro. Tutto il “China complex” ha mostrato significative perdite, senza motivi specifici, finendo per contenere il sentiment nell’area, se si esclude Mumbai, che continua a riprezzare la crescita grazie allo stimolo fiscale appena annunciato. Per il resto abbiamo indici invariati o quasi.

La settimana prossima si tiene il Congresso del Partito, e si festeggia il 70mo anniversario della fondazione: le Autorità permetteranno che i mercati vi giungano con un tono debole? Ai posteri l’ardua sentenza.

Sul sentiment dell’area può aver in qualche misura pesato il fiasco delle esportazioni sudcoreane dei primi 20 giorni di settembre (-21.8% anno su anno da -13.3%), il calo più forte dalla grande crisi. Va notato che settembre scorso aveva visto un balzo (+14%) e quindi la base giova un brutto scherzo. Ma certo, otticamente, non è un bel segnale.

L’Europa si è accostata ai PMI flash con un tono incerto, ma non pessimistico. Le attese erano per numeri grossomodo in linea con i precedenti.

Tutt’altro. I dati sono tutti in calo significativo, e tutti abbondantemente sotto attese.

Andando nel dettaglio, la Francia si rimangia il recente miglioramento con il dato composite che perde 1.6 marcando il minimo da 4 mesi. Sorprendentemente, sono i servizi a calare di più (-1.8 a 51.3) mentre il calo del manifatturiero (-0.8 a 50.3) è più contenuto ma riporta l’attività sull’orlo della stagnazione.
E veniamo al disastro tedesco.
Il manifatturiero, maglia nera d’Europa, perde ulteriori 2.1 punti, marcando, a 41.5, il minimo dal 2009. l’economista di Markit, Phil Smith, ha definito i numeri “semplicemente terribili”.

I servizi, che finora avevano tenuto, mantenendo l’attività generale in espansione, cedono 2.3 punti a 52.5, e il sottoindice new orders termina a sua volta in contrazione. Il risultato è che il dato composite (-2.6 a 49.1) termina sotto la soglia di espansione per la prima volta dal 2013.
I dati aggregati Eurozone riflettono quest’andazzo, con il manifatturiero che cade ulteriormente in contrazione, e i Servizi che si indeboliscono significativamente riuscendo a malapena a mantenere il dato composite sopra la soglia di contrazione. E il confronto dei numeri mostra che anche nel resto d’Europa vi è stato un deterioramento, sebbene di entità inferiore.

La prima cosa che emerge da questi report sui mercati, è che il trasferimento della debolezza dal settore manifatturiero ai servizi, prima solo accennato, ha recentemente preso momentum. Una circostanza che deve far preoccupare per lo stato della domanda interna e anche per gli Usa, dove l rallentamento del manifatturiero è più recente, e la forbice coi servizi assai larga.
La seconda è che, per quanto l’escalation sul fronte trade possa aver alimentato incertezza, questo brusco calo giunge inatteso (quanto meno nell’entità) e sembra indicare che la fase di stabilizzazione dell’attività europea, osservata nel corso del 2019 su livelli bassi, si evolverà in un ulteriore indebolimento.
Il sunto è che i rischi di recessione si intensificano in Eurozone visto che il report è coerente con una crescita di 0.1-0.2% trimestre su trimestre.

Ovviamente i mercati hanno accusato. L’azionario ha preso la via del ribasso con decisione, guidato dal settore bancario che, oltre a essere a leva sull’economia, vede svanire la possibilità di un irripidimento delle curve dei tassi. Infatti i bonds hanno accelerato al rialzo, con gli investitori per il momento poco inclini a far distinzioni di emittente. Comprensibile la reazione dell’€ che è rapidamente sceso sotto quota 1.10, mentre i metalli preziosi, che già si erano ripresi venerdì sera con le news sul trade, hanno ripreso a splendere.

Come accennato sopra, la reazione dell’azionario e degli asset in generale non sembra nemmeno così brutta, a fronte del tono delle news. L’impressione è che a offrire un po’ di supporto al mercato sia la percezione che numeri così preoccupanti possano dare ulteriore impulso al dibattito fervente in Europa sull’insufficienza dello stimolo fiscale. A cominciare dalla Germania, che al momento si sta arroccando sul bilancio in pareggio, ma il cui Ministro delle Finanze aveva dichiarato giorni fa che, all’occorrenza, l’approccio si poteva cambiare. Vediamo se le prossime 24 ore producono qualche effetto.

Naturalmente, l’attenzione è corsa ai PMI flash US, in pubblicazione nel pomeriggio: una debacle simile avrebbe visto il report segnalare contrazione per l’economia Usa. Coerentemente con la reazione dell’equity europeo, i future Usa hanno perso i progressi e sono andato in negativo di frazioni di punto, livello su cui ha aperto l’S&P 500.
I numeri Usa sono però risultati di tutt’altro tono, il che rende ancora più strana la debacle Ue. Il manifatturiero ha addirittura accelerato più del previsto (51 da 50.3 e vs attese per 50.4) mentre i servizi hanno marginalmente deluso (50.9 da 50.7 e vs attese per 51.4). Il risultato è un piccolo miglioramento dell’attività in aggregato (composite + 0.3 a 51), che rimane poco sopra la stagnazione. Peraltro, qui in US abbiamo anche gli ISM e le survey regionali, cosa che rende i PMI meno rilevanti.

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