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Titoli

Perché i Btp se ne fregano delle turbolenze nei mercati

Analisi del buon andamento dei Btp nonostante le fibrillazioni dei mercati la scorsa settimana. L'approfondimento di Liturri

A una settimana dal panico e dai titoli a caratteri cubitali sui giornali per la forte correzione dei mercati azionari, è bene fare il punto ed evidenziare l’andamento del nostro Btp.

La sintesi è che dopo cinque giorni di grande volatilità sui mercati finanziari mondiali di mezzo mondo (azionari e obbligazionari, sia pure in direzioni diverse) il Btp è rimasto fermo come una sfinge, con lo spread in lieve rialzo ma comunque sotto 150. Un equilibrio impensabile fino a qualche anno fa. Soprattutto in uno scenario in cui la Bce è da pochi mesi venditrice netta dei nostri titoli e il Tesoro è costretto a significative emissioni di titoli pubblici per coprire un fabbisogno di cassa in calo, ma che resta su livelli storicamente elevati, soprattutto a causa delle compensazioni dei crediti del Superbonus.

È questa la fotografia che ci restituiscono i mercati e i dati pubblicati in sequenza da Mef e Bce negli ultimi giorni.

Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo a venerdì della scorsa settimana, quando dagli Usa sono arrivati dati che hanno mostrato un significativo indebolimento del mercato del lavoro e hanno avvalorato uno scenario recessivo, anziché quello di un “atterraggio morbido” dell’economia Usa. Rendendo probabile un taglio dei tassi a settembre da parte della Fed addirittura per 50 punti base.

Il risultato è stato quello di un brusco calo dei rendimenti (rialzo dei prezzi) del bond decennale Usa (da 3,94% in apertura a 3,79% in chiusura) e del Bund tedesco (circa 15 punti di rendimento in meno), notoriamente considerati “porto sicuro” in situazioni di avversione al rischio. Movimenti di entità e rapidità davvero rilevante per di titoli governativi così liquidi.

Nelle stesse ore, il Btp decennale è rimasto inchiodato intorno al 3,65% non beneficiando del cosiddetto “fly to quality”, ma nemmeno subendo una fuga degli investitori che, in situazioni del genere vendono i titoli più rischiosi a favore dei “rifugi sicuri”.

Stesso copione nella giornata di lunedì, apertasi con la scossa tellurica proveniente dal mercato giapponese. Btp incollato intorno a quota 3,65%-3,70%. Nonostante uno dei movimenti preferiti degli investitori – fatto saltare dalle mosse della Bank of Japan – fosse stato a lungo quello di indebitarsi in yen a tassi molto bassi per comprare titoli ad alto rendimento, tra cui i Btp. Lo smontaggio di quelle posizioni non ha arrecato nessun disturbo al nostro decennale. Nelle giornate di martedì, mercoledì e ieri – complice il dato giunto nel pomeriggio sui sussidi di disoccupazione negli Usa migliori delle attese – è terminato il movimento di riposizionamento dei portafogli e lo spread del Btp è tornato a 145, quando era a 142 giovedì sera prima dell’inizio della baraonda. Analoga traiettoria hanno seguito anche i Bund e i T-Bond Usa.

Ma cosa ha ragionevolmente determinato questi comportamenti degli investitori? Prima di rispondere vanno aggiunti altri due tasselli fondamentali che rendono ancora più significativa la performance positiva dei nostri titoli pubblici. Il primo è l’andamento del fabbisogno di cassa statale, pubblicato mensilmente dal Mef. Questo parametro misura sostanzialmente lo squilibrio tra entrate e uscite e l’entità del ricorso al mercato, al netto delle disponibilità di tesoreria. Da qualche anno è fortemente influenzato dalle compensazioni dei crediti d’imposta per bonus edilizi. Se i contribuenti compensano, le casse del Mef si svuotano. Basti notare che, nei primi cinque mesi del 2024, il Mef ha comunicato che tali compensazioni sono cresciute di 12,6 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2023. Mai come oggi, sono i movimenti di cassa che contano e che sono sorvegliati dal Mef. Il deficit (che ragiona per competenza) è in secondo piano, infatti il Superbonus è entrato per intero nel deficit degli anni precedenti, ma si riversa sul debito in tempi successivi, man mano che avvengono le compensazioni.

Nell’altra direzione, va evidenziato il significativo aumento delle entrate tributarie, reso noto martedì, che, seppur penalizzate daldiverso calendario dei versamenti fiscali tra 2024 e 2023, a giugno mostrano un aumento del 4,1% (+10,1 miliardi). Con la ragionevole probabilità che quando saranno resi noti gli incassi di luglio e agosto, con le autoliquidazioni Irpef e Ires, l’aumento potrebbe essere ancora più alto.

Il sommarsi di tutti questi fattori ha generato da gennaio a luglioun fabbisogno di cassa del settore statale pari a 92,9 miliardi (in lieve calo da 95,3 a giugno). Nettamente più alto rispetto a 79,1 rilevati nello stesso periodo del 2023 e del 2021.

Di conseguenza, nel primo semestre del 2024 le emissioni nette sono state pari a 95,8 miliardi, dato inferiore a quello dello stesso periodo del 2023 ma nettamente superiore a quello del 2022 e del 2019. Con una importante e fondamentale differenza: non c’è più la Bce a comprare quei titoli. Al contrario, nel primo semestre – sommando i due programmi PEPP e PSPP – le vendite nette di titoli italiani sono state pari a 23,3 miliardi. Quindi il Mef ha dovuto collocare ben 119,1 (95,8 + 23,3) miliardi netti presso altri investitori (famiglie e stranieri in primis), che hanno assorbito tutto senza chiedere maggiori rendimenti. Cifra nettamente superiore rispetto a quanto accaduto nei corrispondenti periodi degli anni precedenti, quando gli acquisti netti della Bce erano stati all’incirca nulli (2023) o avevano ricoperto una quota consistente delle emissioni nette (66% nel 2022, 65% nel 2021 e addirittura 95% nel 2020).

Facile gestire le vendite di titoli quando da Francoforte ritirano quasi tutta la merce sulla bancarella. Ma il ministro Giancarlo Giorgetti ha dovuto gestire la situazione esattamente opposta: vendere pure i titoli che la Bce gli restituiva. Solo tenendo presente l’eccezionalità di questo contesto si può comprendere la straordinaria performance dei nostri titoli di Stato, per di più durante una congiuntura di mercato potenzialmente avversa.

Considerando che lo spread con il Bund è già una misura approssimativa di un premio per il rischio che l’Italia paga all’investitore, la solidità del Btp si spiega con il prevalere di una positiva valutazione del rapporto rischio-rendimento dei titoli italiani. Tenuto conto, da un lato, delle prospettive di sufficiente crescita e della nostra solida posizione di esportatore netto e di creditore netto sull’estero e, dall’altro, delle contemporanee difficoltà politiche ed economiche di Francia e Germania. Noi, a legislazione vigente, siamo già in linea con il sentiero di rientro del deficit che sarà richiesto dal Patto di Stabilità riformato, al contrario della Francia dove le correzioni saranno vere e quindi non siamo più nel 2011, ai tempi dei sorrisi tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al G20 di Cannes. Ad oggi, questi sono i fatti.

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