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Conad

Perché gli strepitii sindacali su Conad-Auchan sono bizzarri

L'articolo di Mario Sassi, già manager in aziende della grande distribuzione

Leggendo i comunicati stampa dopo l’incontro tra Auchan e Filcams Cgil, Uiltucs Uil, Fisascat Cisl, si ha l’impressione che ci sia una pesante sottovalutazione di ciò che sta avvenendo.

Siamo di fronte ad un grande gruppo della GDO francese che ha deciso di lasciare il nostro Paese cedendo, ad un importante gruppo cooperativo italiano, CONAD, l’intero perimetro di sua competenza ad esclusione della Sicilia. Un fatto di un’importanza senza precedenti per l’intero comparto della GDO.

Un’operazione da far tremare i polsi a chiunque e che quindi è inevitabile che vada ponderata bene e a fondo nei tempi, nelle modalità e nelle conseguenze. E tutto questo in costanza di una crisi profonda di un format, quello degli IPER, a cui nessuno, fino ad oggi, ha ancora trovato risposte credibili per rilanciarlo. Se mai fosse possibile. Non c’è un semplice switch da commutare.

C’è un percorso lungo, faticoso, irto di difficoltà che l’ad di Conad ha stimato in 3/5 anni. Al contrario, per una parte del sindacato, Conad sarebbe reticente perché non si è presentata immediatamente con un piano industriale dettagliato, comprensivo di risposte precise per tutti i diciottomila dipendenti, e ricco di risposte plausibili alla crisi del format.

Non che mi aspettassi un salto di qualità degli interlocutori sindacali vista la partita e la posta in gioco ma, sinceramente, almeno una prova di serietà di fronte ad un avvenimento senza precedenti per l’intera categoria me lo sarei atteso..

Innanzitutto l’incontro avrebbe dovuto avere come oggetto esclusivo la comunicazione di Auchan sulle ragioni che l’hanno portata alla decisione di lasciare il nostro Paese. I numeri che giustificano le difficoltà e le motivazioni della inevitabilità della scelta. Compresa la sua irreversibilità. Se non si parte da qui, si continua a sbagliare strada.

Se Auchan getta la spugna e (s)vende le sue attività nel nostro Paese questo, e non altro, è un primo motivo di riflessione. Certo, alla crisi strutturale del formato Iper, Auchan ci ha poi messo del suo. C’è una situazione internazionale complessa, ci sono nubi sul futuro del nostro Paese, forse c’era la convinzione che il management che presidia l’azienda in Italia non sarebbe stato in grado di rimetterla in carreggiata. Un’azienda comunque rassegnata alla sconfitta, che, a partire dalla decisione di cedere le sue attività che non è di oggi ma risale nel tempo, si è messa sul mercato alla ricerca di un interlocutore credibile. Questo però non la esime dalle sue responsabilità.

Rivolgersi a Conad pretendendo fin da subito un progetto industriale definito, organici garantiti a prescindere, superamento di ogni problema di sovrapposizione, non solo è ingenuo pretenderlo da parte del sindacato, ma sarebbe anche sintomo di poca serietà presentarlo oggi da parte della stessa Conad.

La presenza dell’amico Marco Marroni della Uiltucs UIL al tavolo Conad/Auchan a mio modesto parere, rappresenta una garanzia. Credo sia l’unico tra i negoziatori sindacali presenti al tavolo che ha una storia e una conoscenza della GDO. Ho “discusso” spesso con lui ma gli riconosco che sa di cosa parla.

Quello che è avvenuto è un dato che però deve far riflettere.

La più importante operazione di acquisizione mai avvenuta nel settore della Grande Distribuzione viene gestita dalle organizzazioni sindacali di categoria in una situazione di oggettiva difficoltà. I segretari confederali non sono impegnati in prima persona al Mise (almeno non risulta) e quindi l’uscita di scena di un importante gruppo francese e l’avvento di una importante realtà italiana avviene con funzionari del Mise nuovi che non conoscono il contesto, un sindacato sostanzialmente in affanno e un compratore che ha una volontà precisa ma che si cimenta, per la prima volta, in un’operazione di grandi dimensioni.

Capisco ovviamente il rapporto con i lavoratori e le loro preoccupazioni per il posto di lavoro ma innanzitutto occorre affermare che le responsabilità di chi lascia, dal punto di vista sociale e di rispetto per il nostro Paese, si dovrebbero ritenere concluse solo alla fine di questa operazione. La pretesa di avere da Conad un piano industriale e garanzie tutte da costruire non può essere l’alibi per “buttare in caciara” una vicenda che abbisogna di essere valutata con la necessaria calma in ogni sua parte.

Non credo che Conad abbia avuto il tempo di valutare l’azienda in ogni sua parte. In genere, in casi analoghi, viene stabilito un valore complessivo di riferimento che deve trovare conferma nei successivi passaggi. E questi passaggi devono ancora avvenire.

I manager dovranno essere valutati, soprattutto in caso di sovrapposizione, così come le diverse aree della sede e della logistica. Gli acquisti no food nella fase di transizione sono un’altra operazione complessa che va valutata con grande attenzione vista l’incidenza che hanno sulle vendite Iper già in difficoltà.

Poi lo stesso lavoro di valutazione e di ascolto deve coinvolgere tutti i punti vendita che, ad oggi, saranno stati visitati rapidamente visto che nessuno se n’è mai accorto… e cito solo alcuni tra gli elementi principali. Tutto questo abbisogna di tempo. E senza parlare del franchising…

L’obiettivo di Conad è rilanciare l’azienda, non certo chiuderla. Quindi la garanzia occupazionale complessiva c’è se l’operazione viene gestita con intelligenza e collaborazione tra le parti. Non c’è alcun motivo per drammatizzare una vicenda lunga e complessa. Né di strumentalizzarla.

 

Estratto di un articolo pubblicato su mariosassi.it

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