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Draghi

Perché Draghi (e non Colao) scombussolerebbe l’asse Pd-M5s

Colao e Draghi sono figure di enorme prestigio e dalle credenziali atlantiche impeccabili. Ma lo schema-Draghi imprimerebbe discontinuità nelle relazioni internazionali. Ecco perché. L'analisi di Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar

 

I due nomi che vanno per la maggiore tanto per il post-Covid quanto per il post-Conte sono quelli di Vittorio Colao e di Mario Draghi.

Si tratta di figure di enorme prestigio e dalle credenziali atlantiche impeccabili. Le due ipotesi, tuttavia, non appaiono del tutto interscambiabili nemmeno sotto il profilo dell’atlantismo e della Cina. Ecco perché.

L’ipotesi-Colao presuppone l’invarianza dell’attuale maggioranza politica e cioè del tandem giallo-rosso, Pd-M5s.

A spendersi per essa è stato prima di tutto il mondo andreattiano. Si tratta dello storico triangolo Brescia-Trento-Bologna, cioè della componente catto-dem che dispone degli addentellati più forti nel mondo bancario (Giovanni Bazoli), nelle cancellerie europee (Enrico Letta) e nei think tank.

Il mondo andreattiano con la Cina ha coltivato a lungo rapporti più che cordiali. Di recente, tuttavia, anche al suo interno si registra qualche raffreddamento.

Il mondo liberal americano, che rimane un riferimento importante per gli andreattiani, ha infatti dichiarato Pechino persona non grata a partire dai grandi temi morali (diritti umani, libertà d’informazione, ambiente). Lo testimoniano i numerosi editoriali al curaro contro la Cina del New York Times.

L’ipotesi-Draghi, invece, muove da un altro presupposto: che la torsione sociale ed economica divenga così intensa da rendere necessario un allargamento del perimetro della maggioranza e un governo di unità nazionale.

Questa seconda ipotesi è più marcatamente atlantista della prima. Verrebbe infatti molto diluito il peso della formazione più filo-cinese dell’emiciclo parlamentare, M5s.

Inoltre Draghi, dopo aver fatto il Cincinnato per qualche mese a Palazzo Chigi, avrebbe le carte in regola per essere eletto al Quirinale. Sarebbe una discontinuità secca rispetto all’attuale inquilino, Mattarella, che tra Washington e Pechino sceglie la seconda per assecondare il Vaticano sinizzato di Bergoglio.

Con Draghi, insomma, si spezzerebbe la principale catena istituzionale filo cinese in Italia.

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