skip to Main Content

Salini Impregilo

Perché Confindustria sbaglia su Progetto Italia

Tutte le critiche bizzarre o errate dell'Ance sul piano di Salini Impregilo e Cassa depositi e prestiti

L’immagine è quella del grande che mangia i piccoli. Così l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili (Ance) per bocca del presidente Gabriele Buia racconta Progetto Italia, l’operazione di consolidamento lanciata da Salini Impregilo che parte dall’acquisizione di Astaldi.
Una posizione che permette letture alternative: il tentativo di dare visibilità a un’associazione che sta pian piano perdendo peso (delle 509 mila imprese attive nel settore ne rappresenta 20 mila, meno del 5%), è forse anche il comprensibile tentativo di categoria di tirare per la giacca il governo, e in particolare Cdp, per un sostegno finanziario ai più piccoli. I numeri della stessa Ance dicono però altro e in parte smentiscono le preoccupazioni di Buia, convinto che il nuovo colosso delle costruzioni da 14 miliardi possa togliere lavoro ai piccoli e medi imprenditori.
A leggere l’Osservatorio Congiunturale dell’Ance, pubblicato a gennaio, emerge che i bandi pubblici indetti nel 2018 e superiori a 100 milioni di euro (quelli che entreranno nel mirino del nuovo colosso) sono stati appena 18, ossia lo 0,1% dei 23 mila bandi di gara pubblicati lo scorso anno. Il valore economico dei super-bandi è stato pari a 3,4 miliardi contro i 25 miliardi totali dei bandi indetti. Non solo: rispetto al 2017 il loro numero si è contratto del 33% e il valore economico del 44%. A guardare bene le paure dell’Ance non sembrano fondate. Nel 2018 rispetto a un valore del mercato delle costruzioni di 171 miliardi di euro solo 11,8 sono stati spesi nel segmento delle opere infrastrutturali nuove. E su 4 milioni di cantieri aperti appena 53 mila sono quelli riferibili a opere pubbliche.
In Italia le grandi opere sono un miraggio: quelle in corso sono poche e la maggior parte è ferma. E a pagarne il prezzo sono tantissime aziende storiche. Non solo Astaldi, ma anche Condotte, Trevi, Glf, Unieco, Mantovani e Toti, tutti gruppi che navigano in gravi difficoltà finanziarie. La fetta più grande del mercato rimane appannaggio dei piccoli, che rappresentano la maggioranza dei soggetti attivi nel settore. Il 61,4% delle imprese (312 mila) ha un solo addetto e il 90% ha un fatturato inferiore a 500 mila euro. Per la quasi totalità di queste aziende sarebbe quindi impossibile partecipare a gare oltre i 100 milioni. Per questo c’è chi ha letto la levata di scudi dell’Ance più come il tentativo di difendere lo status quo o di strappare qualche concessione in più al governo. Pochi giorni fa è stato lo stesso Buia a profetizzare un intervento di Cdp per garantire liquidità alle piccole imprese, idea cui il governo si oppone forse anche perché lo sforzo per sostenere il settore è già molto consistente e viene profuso attraverso il bonus ristrutturazione.
L’Italia è prima in Europa per il sostegno a questo settore. Secondo la stessa Ance, questi benefici fiscali hanno assicurato alle imprese solo nel 2018 un giro d’affari di 22 miliardi, quasi quanto tutti i bandi per opere pubbliche rilasciati nello stesso anno. Il costo annuale di questa operazione per le finanze dello stato equivale a circa 11 miliardi di euro, con un onere accumulato negli ultimi 15 anni (da quando gli sgravi sono cominciati) che si aggira tra i 150 e i 200 miliardi. L’idea quindi che gli interessi di chi ha costruito il Canale di Panama possano confliggere con l’esercito delle pmi merita qualche approfondimento. L’associazione di oggi, vuoi anche a causa della crisi del settore, non è più la potente rappresentanza nella quale sedevano personaggi come Franco Nobili, approdo naturale dei grandi costruttori italiani e sala di compensazione di interessi imprenditoriali e politici.
E l’uscita di Salini Impregilo (va detto che lo scorso giugno il costruttore ha comunque annunciato l’intenzione di rientrare) e di altri gruppi storici che oggi potrebbero dire addio alimenta questo distacco e nei calcoli dei suoi rappresentanti trasforma un’operazione di mercato, nata per rafforzare il patrimonio italiano rispetto ai grandi competitor stranieri, in una lotta per la sopravvivenza.
Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza
Back To Top