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affari e finanza

Perché Bing di Microsoft sborserà 780mila dollari a Gedi (Repubblica)

L'Agcom, in una prima assoluta, ha stabilito l'equo compenso dovuto da Microsoft a Gedi per l'utilizzo dei suoi contenuti giornalistici sul motore di ricerca Bing. La commissaria dell'Autorità, Elisa Giomi, però ha votato contro sollevando alcune perplessità... Tutti i dettagli

 

Gedi – editore, tra gli altri, di Repubblica e La Stampa – riceverà 780mila dollari in due anni da Microsoft. A stabilirlo è stata l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), la quale ha deliberato per la prima volta l’equo compenso che il gigante tech deve al gruppo presieduto da John Elkann per l’uso online delle pubblicazioni di carattere giornalistico sul motore di ricerca Bing.

Ma cifre a parte, si tratta di un precedente che potrebbe aprire una nuova fase nella lunga battaglia in corso tra editori e piattaforme web.

LA SOMMA CHE MICROSOFT DEVE A GEDI

A quanto risulta al Sole 24 Ore, l’equo compenso che Microsoft deve a Gedi ammonta a 360mila dollari per il 2021 e 420mila dollari per il 2022, per un totale di 780mila dollari. Manca, invece, il 2023 poiché non erano ancora disponibili tutti i dati.

È “il primo provvedimento che coinvolge un prestatore di servizi della società dell’informazione [Microsoft, ndr] diverso dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa”, precisa una nota dell’Autorità.

I CRITERI PER CALCOLARE L’EQUO COMPENSO

L’Agcom ha spiegato che “l’equo compenso dovuto agli editori è calcolato sulla base dei ricavi pubblicitari del prestatore”, in questo caso Microsoft, ottenuti “dall’utilizzo online delle pubblicazioni giornalistiche dell’editore”. Questo, “al netto dei ricavi” che l’editore incamera, perché Bing – come gli altri motori – veicola traffico verso i suoi siti.

A questa base di calcolo – precisa sempre l’Autorità – si applica un’aliquota fino al 70%, determinata in base ad alcuni criteri, che sono:

a) numero di consultazioni online delle pubblicazioni (da calcolare con le pertinenti metriche di riferimento);
b) rilevanza dell’editore sul mercato (audience on line);
c) numero di giornalisti, inquadrati ai sensi di contratti collettivi nazionali di categoria;
d) costi comprovati sostenuti dall’editore per investimenti tecnologici e infrastrutturali destinati alla realizzazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
e) costi comprovati sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici e infrastrutturali dedicati esclusivamente alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online;
f) adesione e conformità, dell’editore e del prestatore, a codici di autoregolamentazione (ivi inclusi i codici deontologici dei giornalisti) e a standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking;
g) anni di attività dell’editore in relazione alla storicità della testata.

Infine, l’Agcom si è pronunciata sugli “estratti molto brevi”, riconoscendo dignità giornalistica anche alle sintesi degli articoli che la Rete ci restituisce quando interroghiamo i motori di ricerca.

IL REGOLAMENTO

Il regolamento Agcom sull’equo compenso, di cui l’Autorità si è dotata nel gennaio 2023, recepisce la direttiva Copyright europea e stabilisce che agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico debba essere riconosciuto un equo compenso per lo sfruttamento dei loro contenuti. Inoltre, lo scorso aprile il Consiglio di Stato, con una decisione che ha rappresentato una vittoria per Agcom e la Federazione italiana editori giornali (Fieg) nella disputa legale con Meta-Facebook, ha ribaltato la decisione del Tar che aveva sospeso il regolamento Agcom sull’equo compenso.

UNA PIETRA MILIARE

Come osserva Il Sole, la decisione dell’Agcom nei confronti di Microsoft non è particolarmente significativa per la cifra in sé (che nell’editoria non sposta di tanto la drammatica situazione in cui questa versa) quanto per la novità che rappresenta nello scontro che va avanti da anni tra editori e piattaforme web, “divisi dal tema del value gap: la sottrazione di risorse finanziarie dalla pubblicità, spostatesi inesorabilmente verso piattaforme online che utilizzano contenuti dei media tradizionali”.

Inoltre, 780mila dollari potranno non essere molti nell’editoria ma, come sottolinea il quotidiano economico, Bing non è certo fra i primi motori di ricerca per utilizzo e se si applica quindi la stessa decisione dell’Agcom ad altri l’ordine di grandezza dovrebbe inevitabilmente essere diverso.

PUNTI INTERROGATIVI

Decisione storica quindi ma non definitiva perché, come osserva Repubblica, “per le parti c’è sempre la possibilità del ricorso in sede giudiziaria”. Inoltre, la decisione è stata presa con il voto contrario della commissaria Agcom Elisa Giomi, per la quale la pronuncia dell’Autorità ha una “portata storica”, ma pone due problemi.

“Il primo – ha spiegato – è nel precedente che si crea con l’equiparazione tra estratto molto breve e pubblicazione giornalistica integrale. La direttiva Ue esenta gli estratti brevi dal pagamento dell’equo compenso mentre Agcom arbitrariamente lo applica. Il secondo problema è che l’equo compenso non è calcolato in base all’effettivo utilizzo dei brevi estratti, ma attraverso una stima dei ricavi pubblicitari del motore”.

Non ci sono invece dubbi per Alessandra Costante, segretaria generale del sindacato nazionale dei giornalisti (Fnsi): “La decisione dell’Agcom è epocale. […] Nella decisione l’Autorità usa un parametro oggettivo, fortemente ancorato alla realtà e difficilmente contestabile, dal nostro punto di vista, come il fatturato, calcolando il compenso dovuto agli editori sulla base dei ricavi pubblicitari del motore di ricerca per la consultazione di quell’articolo”.

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