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Asia

Perché l’Asia festeggia per le sanzioni Ue alla Russia

La Russia al momento non stia rispondendo alle ultime misure sul price cap con un taglio significativo della sua produzione di petrolio e di gas. Al contrario, l’estrazione è spinta al massimo e venduta a forte sconto all’Asia. L'analisi di Alessandro Fugnoli, capo strategist dei fondi Kairos

Finirà la guerra in Ucraina? Per ora sembra proprio di no. A livello militare è rallentato lo scontro sul fronte, ma solo perché l’inverno lo rende più difficile. In compenso va registrata un’escalation da entrambe le parti su nuovi fronti di conflitto. La Russia sta prendendo di mira le infrastrutture ucraine per usi civili. L’Ucraina, dal canto suo, spinge i suoi attacchi sempre più all’interno del territorio russo. Saltano così due limiti che le parti, senza dichiararlo, si erano imposte. Da parte russa si era finora evitato di prendere espressamente di mira i civili, da parte ucraina si era evitato di colpire il territorio russo se non nelle zone di confine. Ora non più.

Sul piano politico non si vedono ancora segni di cedimento nella volontà di proseguire il conflitto. Il dibattito interno in Russia, Ucraina, America ed Europa non è tale da mettere in discussione la volontà dei gruppi dirigenti di andare avanti a oltranza.

Sul piano che più conta per i mercati, quello delle sanzioni, è molto difficile che il 2023 veda un loro allentamento. È però interessante che la Russia non stia rispondendo alle ultime misure sul price cap con un taglio significativo della sua produzione di petrolio e di gas. Al contrario, l’estrazione è spinta al massimo e venduta a forte sconto all’Asia. È interesse di tutti che sia così. I russi mantengono le loro entrate, l’Asia guadagna in competitività, l’Europa paga più di tutti ma evita la grave crisi che subirebbe se il petrolio salisse oltre i 120 dollari, l’America mantiene il prezzo della benzina nella parte bassa del suo range recente. Quanto ai sauditi, che come l’India perseguono una politica sempre più indipendente dall’Occidente, 70 dollari sono ovviamente meno interessanti di 100, ma garantiscono una recessione globale (e una conseguente distruzione di domanda di greggio) meno pesante.

Che effetti avrà la riapertura cinese? La Cina, in passato, è stata un grande fattore di stabilizzazione dell’economia globale perché ha attuato politiche fortemente espansive nei momenti di crisi delle economie occidentali. Senza il forte contributo cinese, l’uscita dalla Grande Recessione del 2008-2009 sarebbe stata ancora più lenta e faticosa. Nel 2023, mentre il resto del mondo subirà gli effetti delle politiche monetarie restrittive, la Cina adotterà una linea espansiva sia monetaria sia fiscale. L’inflazione core è a zero e lo spazio per un rilancio è ampio. I primi provvedimenti, tuttavia, lasciano immaginare per questa volta un percorso molto meno aggressivo. La Cina, di fronte a un Occidente che le è sempre più ostile, non ha nessun interesse a mostrarsi collaborativa, come era invece stato il caso in passato. Le misure espansive avranno questa volta finalità esclusivamente interne e saranno prudenti.

Quanto ai consumi interni, l’allentamento graduale delle restrizioni legate al Covid avrà naturalmente effetti positivi, ma non creerà nessuna euforia. Il precedente dell’aprile 2020, quando Wuhan celebrò con tanto di fuochi d’artificio la fine della pandemia, mostra quanto lentamente i consumi si riprendano dopo uno shock psicologico di queste proporzioni.

Al margine, le misure espansive cinesi renderanno meno difficile per la Fed e la Bce mantenere il loro atteggiamento restrittivo. La domanda cinese di materie prime e di beni di consumo sarà supportata, ma i nostri tassi saranno un po’ più alti di quello che sarebbero stati se la Cina avesse mantenuto le restrizioni a oltranza. Per le borse globali, questo rappresenta un altro motivo per preferire per il 2023 la vecchia economia rispetto alla nuova.

 

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