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Perché Amazon ha vinto con Bruxelles sul fisco

Il Tribunale europeo ha annullato la decisione della Commissione secondo la quale il Lussemburgo avrebbe favorito Amazon riservandole un trattamento fiscale di vantaggio. L'analisi del tributarista Tommaso Di Tanno

 

Il Tribunale europeo ha annullato la decisione della Commissione Ue secondo la quale il Lussemburgo avrebbe favorito Amazon riservandole (dal 2006 al 2014) un trattamento fiscale tale da configurare un “aiuto di stato”.

La vicenda merita una minimale descrizione, seguita da una ponderata valutazione.

I fatti. A partire dal 2006 Amazon vara una nuova struttura operativa nella Comunità, basata sull’esistenza di due società lussemburghesi. La prima (Lux 1) è una società in accomandita semplice – cioè a dire una società totalmente trasparente e come tale produttiva di redditi non tassabili in sé medesima, ma solo in testa ai suoi soci – posseduta da entità statunitensi. La seconda (Lux 2) è un’ordinaria società a responsabilità limitata, pienamente tassabile e posseduta interamente da Lux 1. I ruoli operativi delle due si delineano così: Lux 1 stipula accordi con società americane del gruppo tali per cui dispone di tecnologie, dati sui clienti e marchi. Per la concessione paga un importo predeterminato e si impegna a sostenere i costi (variabili) di aggiornamento e sviluppo di tali elementi. Poi concede a Lux 2 il diritto di sfruttamento delle dette risorse contro una royalty. Lux 2, a sua volta, concede dette tecnologie a controllate operative del gruppo localizzate nei vari mercati europei (vengono segnalate quelle presenti in Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Italia).

Ben prima di varare questa struttura Amazon chiede alla autorità lussemburghesi di confermare da un lato la non tassabilità nel paese dei proventi ricevuti da Lux 1 nella considerazione che si tratta di una società trasparente (pagano i soci – alle condizioni che competono loro sulla base del Trattato contro le doppie imposizioni fra Usa e Lussemburgo – ma non la società). Dall’altro, che il metodo di calcolo della royalty dovuta da Lux 2 a Lux 1 è corretta.

Quest’ultimo elemento è decisivo perché l’entità della royalty dovuta da Lux 2 a Lux 1 costituisce, per Lux 2, il costo da contrapporre al ricavato delle royalties che essa stessa percepisce da parte delle società europee del gruppo (onere, peraltro, pienamente deducibile dal reddito di queste ultime). Maggiore è, quindi, il costo che Lux 2 sopporta verso Lux 1, minore è il suo reddito imponibile in Lussemburgo. Nello stesso senso, maggiore è l’importo della royalty ricevuta da Lux 1, maggiore è l’importo liberamente trasferito dal Lussemburgo (e quindi dall’Unione europea) agli Usa senza oneri comunitari. Il metodo di calcolo della royalty è individuato nel Transactional Net Margin Method (Tnmm), metodo ben noto nella prassi internazionale come strumento di determinazione del valore di mercato di una certa transazione. Le disposizioni tributarie – e in particolare quelle che attengono a rapporti fra soggetti appartenenti a diversi ordinamenti tributari – prevedono normalmente che i rapporti intragruppo siano valutati a fini fiscali sulla base del valore che sarebbe stato pagato fra soggetti indipendenti (si prescinde, cioè, dai prezzi effettivamente praticati e si applica un valore fiscale virtuale). Esistono varie metodologie per determinare il valore di mercato di una certa transazione e una è certamente il Tnmm: ma tutti questi metodi si basano sull’individuazione di una controparte neutra teorica, sull’individuazione di una transazione comparabile e sul calcolo di un utile accettabile che tenga conto, in qualche modo, dei costi di creazione dell’oggetto ceduto o del servizio prestato. Ed è sull’alterazione di questi elementi che la Commissione europea aveva basato le sue contestazioni, sostenendo che la loro individuazione era stata condotta in modo troppo unilaterale, così da esagerare il ruolo di Lux 1 e annacquare quello di Lux 2. Con la conseguenza di sovrastimare l’importo dovuto da Lux 2 a Lux 1.

Le conseguenze

La Corte europea si limita a constatare che la Commissione non ha provato quanto affermato, dicendo, in sostanza, che Amazon ha fatto un corretto uso del Tnmm. Si può discutere la nettezza dell’affermazione, ma la ricostruzione della Corte non pare palesemente infondata.

La verità è che in questa materia non esistono argomenti inoppugnabili. Intanto perché è nei fatti impossibile trovare situazioni del tutto comparabili. Ciascun gruppo organizza le sue funzioni (e alloca, di conseguenza, i suoi costi) in ragione di circostanze soggettive, magari anche con attenzione ai risvolti fiscali. Il supporto che viene dato da ciascuna componente del gruppo è funzione del contesto di mercato in un certo momento, con le considerazioni di ordine contingente che ne conseguono (fra le quali: mercato conquistato o da conquistare). Paradossalmente è più facile accertarne il valore in un mercato complicato ma trasparente come quello finanziario – dove esistono una pluralità di operatori in grado di offrire lo stesso servizio o prodotto – piuttosto che in un mercato del tutto opaco (perché privo di alternative intercambiabili) com’è quello delle tecnologie o dello scambio di informazioni. Chi, infatti, può stabilire un “oggettivo” valore di una tecnologia? E chi ne può determinare la “ragionevole” profittabilità? Quanto stabili sono questi valori nel tempo?

Forse è meglio prendere atto che in questa materia non esistono risultati “oggettivi”, ma che essi vanno semplicemente negoziati per garantire gettito anche al paese che ospita la tecnologia, chiaro essendo che qui conteranno i rapporti di forza. Il valore di mercato (fair market value), insomma, è pia illusione.

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